Anche i grammatici hanno intuito la natura della guerra: alcuni sostengono che essa si chiama «bellum» per antitesi, perché non ha niente di buono né di bello; la guerra è «bellum» nello stesso senso in cui le Furie sono le «Eumènidi». Altri preferiscono far derivare la parola «bellum» da «bellua», belva: perché è da belve, non da uomini, impegnarsi in uno sterminio reciproco. Così Erasmo da Rotterdam descrive la guerra.
La guerra
L’arte ha raccontato la guerra con capolavori come La Battaglia di Ponte Milvio o Guernica, nei quali si mostra prima di tutto l’importanza della pace. Una lezione che non abbiamo ancora imparato.
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- Valentina Petrucci
- 04 marzo 2022
Tutto il mondo si è svegliato la mattina del 24 febbraio con una notizia terrificante: Vladimir Putin attacca l’Ucraina. Sgomento. Paura.
L’arte ha raccontato nel corso dei secoli guerre e battaglie, sempre per dovere di cronaca o come narrazione che prendeva poi forma di denuncia sociale. Una scusa intellettuale quindi, che si schierava quasi sempre a favore della giustizia, della pace.
Nel 1520 Raffaello dipinse nelle sale dei palazzi vaticani La Battaglia di Ponte Milvio. Una battaglia cruciale, combattuta nel 312 tra l’Imperatore romano Costantino I e l’usurpatore Massenzio, imperatore in Italia e Africa non riconosciuto dalla Tetrachia. Quella battaglia determinò il potere di Costantino che dopo la sua vittoria divenne a tutti gli effetti l’unico sovrano occidentale dell’impero e che sancì la fine della Tetrachia imponendosi così come unico Imperatore.
La scena è ricca di personaggi, convulsa, si muove da sinistra verso destra dove l’imperatore Costantino appare nel centro trionfante. Una distesa infinita di corpi riempiono l’affresco. Imponenti, forti, muscolosi corpi che si affrontano e si avvolgono l’un l’altro dando movimento all’intera scena che il maestro di Urbino sceglie di descrivere dando poco spazio alle architetture e collocandola geograficamente solo attraverso il Tevere, fiume che vede la fine del tiranno Massenzio.
Che cos'è la guerra? un omicidio collettivo, di gruppo, una forma di brigantaggio tanto più infame quanto più estesa.
Come abbiamo detto prima le battaglie vengono rappresentate per stigmatizzare eventi cruciali della storia o come bandiere in cui solo racconto vede il male vincere sul bene. Nella contemporaneità il fine si sposta sulla denuncia di questi eventi tragici come la Guernica di Picasso.
La sera del 26 aprile del 1937 la legione Condor della Luftwaffe lancia bombe incendiarie sulla cittadina basca di Guernica. Un massacro, più di duemila persone uccise. Un dipinto immenso quello di Picasso, un manifesto universale contro la forza assurda e becera della guerra, una dichiarazione contro Francisco Franco dove l'artista si schiera apertamente per la prima volta. Bianco e nero i colori scelti, un’opera monocroma che racconta atrocità.
Una madre con un bambino morto tra le sue braccia, un toro, emblema della Spagna offesa e disperata, un cavallo nitrisce disperato, donne che cercano di fuggire, un uomo travolto dalle fiamme, nessuno viene risparmiato.
Picasso mette in scena una grisaille contemporanea che reinterpreta la strage degli innocenti in pieno stile cubista. L’assenza dei colori detta la disperazione, l’impianto scenico l’argomenta. Molti i richiami alla pittura antica, dove i quasi 8 metri di lunghezza ricostruiscono un antico politico medievale con un tipico schema triangolare dove nell’opera in esame il vertice corrisponde al polso della donna al centro della tela che sorregge la lampada e che segna l’asse simmetrico che sostiene l’intera opera.
Un grido di dolore, come quello che sconvolge il popolo Ucraino e l’Europa intera, un’opera sempre attuale Guernica, che condanna ogni guerra, così come quella di Raffaello che pur esaltandone il fine condanna la tirannia. Argomenta ancora Erasmo da Rotterdam : “Che cos'è la guerra? un omicidio collettivo, di gruppo, una forma di brigantaggio tanto più infame quanto più estesa.” Una guerra che deve vedere presto una fine così come quell’uomo solo al comando che deve recuperare ancor prima la ragione.