Uno, infinito, immobile: l’Universo

Omero lo canta, l’uomo contemporaneo lo esplora. E nella pittura? Una fusione di tante materie, argomenti e idee, riportate, per lo più, sulle volte di antichi palazzi o cappelle. Con il naso all’insù ne scopriamo i segreti.

È stata lanciata, alle 19:27 di domenica 15 Novembre dal Kennedy Space Center in Florida, la navicella Crew Dragon con quattro astronauti a bordo diretti alla Stazione spaziale internazionale.  La capsula, sviluppata da SpaceX per conto della NASA, aveva a bordo tre americani Michael Hopkins, comandante della missione, Victor Glover e Shannon Walker, e il giapponese Soichi Noguchi. “È un grande giorno per gli Stati Uniti d’America, e un grande giorno per il Giappone”, ha detto il numero uno della NASA Jim Bridenstine durante la conferenza stampa.

È la storia più antica, il mistero che più si è insediato nella mente dell’uomo: cosa c’è oltre l’azzurro del cielo? Quali i pianeti e di cosa sono fatti? Ci sarà altra vita oltre la nostra? L’universo, lo spazio, il cielo, simboli di una dimensione superiore e inaccessibile all’uomo, veniva popolato dagli antichi con una moltitudine di divinità,  un grande gioco di potenze celesti che ci è stato sapientemente tramandato attraverso il linguaggio del mito e quindi, attraverso il linguaggio dell’arte. Una delle prime descrizioni del firmamento è contenuta nel XVIII libro dell’Iliade, dove Omero canta la costruzione dello scudo di Achille per opera di Efesto : “Erano cinque le zone dello scudo, e in esso fece molti ornamenti con i suoi spenti pensieri. Vi fece la terra, il cielo e il mare, l’infaticabile sole e la luna piena, e tutti quanti i segni che incoronano il cielo, le Pleiadi, le ladi e la forza di Orione e l’Orsa, che chiamano con il nome di carro: ella gira sopra se stessa e guarda Orione, e sola non ha parte dei lavacri dell’Oceano” Con queste parole, all’uomo moderno, all’uomo contemporaneo, che conosce lo spazio e l’universo, viene offerta un’immagine mitica della volta celeste, dove il legame tra le stelle e la dimensione del divino hanno uno strettissimo legame.

Creazione del Cielo e della Terra, Duomo di Monreale, 1976, Monreale, Italia

Nel mito pelagico della creazione, diffuso nel continente greco in epoca preellenica, i Titani, figli delle divinità cosmologiche Urano  (il cielo) e Gea (la terra) reggevano in coppia le sfere planetarie: Tia e Iperione regolavano il cammino del Sole, Febe e Atlante quello della Luna, Dione e Crio la sfera di Marte, Mesi e Ceo l’orbita di Mercurio, Temi e Eurimedonte il cerchio di Giove, Teti e Oceano quello di Venere, mentre Rea e Crono, progenitori, la sfera di Saturno. Nel cristianesimo poi, gli dei pagani furono sostituiti da angeli, arcangeli, a ciascuno dei quali venne assegnato un dominio su una sfera planetaria ma anche da Dio, Gesù Cristo e la Vergine o magari lo Spirito Santo che regna e veglia sull’intero globo terrestre. Una perfetta rappresentazione di questa idea, di questa diversa concezione dell’universo viene dipinta da Giotto sulla volta della cappella Scrovegni, dove il cielo, l’universo, sono abitati non solo da semplici stelle, ma sono arricchiti e modulati dalla presenza del divino: tondi che contengono le immagini dei quattro evangelisti e al centro esatto troviamo la Vergine Maria con in braccio il Cristo ancora bambino in una tipica rappresentazione medievale che il grande maestro fiorentino conserva solo nella volta, mentre si rivoluziona nei restati spazi parietali.

“E finalmente io ti domando, oh uomo sciocco: Comprendi tu con l’immaginazione quella grandezza dell’universo, la quale tu giudichi poi essere troppo vasta? Se la comprendi, vorrai tu stimar che la tua apprensione si estenda più che la potenza divina, vorrai tu dir d’immaginarti cose maggiori di quelle che Dio possa operare? Ma se non la comprendi, perché vuoi apportar giudizio delle cose da te non capite?”. Queste le parole di Galileo Galilei, padre della scienza e dell’astronomia moderna, che fu contemporaneo di un grande artista, Giovanni Antonio da Varese detto Vanosino, che tra il 1573 e il 1574 affrescò nel piano nobile di Palazzo Farnese a Caprarola la sala del Mappamondo. Cartine geografiche e personificazioni allegoriche dei quattro continenti ornano l’intera sala, insieme a ritratti di grandi esploratori e navigatori, ma alzando gli occhi le scene cambiano: lo spazio, i pianeti, le costellazioni, i segni zodiacali e i miti antichi, il tutto esaltato da un blu estremamente intenso.

Luna, Terra, Sole, Giorgione, 1510, Casa Giorgione, Castelfranco Veneto, Italia

Ogni figura è riconoscibile attraverso i suoi attributi caratteristici: Orione, il cacciatore celeste, l’Orsa minore e l’Orsa maggiore, Perseo con la testa di Medusa, Andromeda incatenata. I nomi e la posizione delle costellazioni raffigurate corrispondono alle classificazioni dell’astronomo alessandrino Claudio Tolomeo (100-178 d.c.) il cui sistema matematico pose fine all’osservazione sacrale del cielo.  

Troviamo Giove, l’unica divinità dipinta sulla volta, con la sua sempre fedele aquila e i suoi fulmini, che in questo preciso contesto tendono a indicare le imprese araldiche della famiglia Farnese. La via lattea è un nastro candido e leggero che si snoda nell’universo avvolgendo e accompagnando le figure che la abitano. La nave Argo, perfettamente riconoscibile e rappresentata senza alcuna allegoria, è tra le figure più importanti dell’astronomia classica, ma questa è una delle ultime rappresentazione nelle mappe celesti poiché alla metà del XVIII secolo venne smembrata in tre diverse costellazioni: poppa, carena e vela. Una quadriga rovesciata allude al mito di Fetonte, figlio di Helios, precipitato da Giove nel fiume Eridano, per aver guidato in maniera sconsiderata il carro solare, un mito ed una raffigurazione che alludono alla catastrofe cosmica dalla quale avrebbero avuto origine la deviazione dell’orbita solare e l’inclinazione dell’asse terrestre. Un luogo lontano, tanto divino quanto terreno, infinito per quanto riguarda lo spazio e il tempo, affascinante nel suo mistero, attraente nel suo sciame diradato di stelle, ma più noto, oggi, rispetto al più lontano ieri di cui abbiamo raccontato.

Immagine di apertura: Volta Cappella Scrovegni, Giotto Di Bondone, 1303, Padova, Italia