Provengono da importanti collezioni private e musei di tutto il mondo le opere di Francis Bacon (Dublino, 1909-Madrid, 1992) e Alberto Giacometti (Stampa, 1901-Coira, 1966) radunate alla Fondazione Beyeler per questa mostra-confronto che i tre curatori Catherine Grenier, Michael Peppiatt e Ulf Küster hanno organizzato partendo da un’attenta ricostruzione dei rapporti biografici tra i due maestri e i temi formali che intercorrono tra le loro opere in mostra, impressionanti per numero e qualità.
Basilea. Bacon e Giacometti, due giganti a confronto
Un’importante mostra alla Fondazione Beyeler racconta le carriere parallele di Francis Bacon e Alberto Giacometti, evidenziandone similitudini e differenze.
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- Riccardo Conti
- 28 maggio 2018
- Basilea
Ernst Beyeler, il grande collezionista svizzero fondatore del museo ebbe un rapporto diretto con entrambi gli autori, e molte opere di Bacon e Giacometti rappresentano notoriamente passaggi importanti di quel prezioso libro di storia dell’arte che è la fondazione Basilese. Non sorprende quindi di ritrovare in mostra opere fondamentali lì custodite, come il celeberrimo Homme qui marche II (1960) di Giacometti e la Lying Figure (1969) che proprio Bacon in una lettera indirizzata a Beyeler riconosceva come una delle sue opere più importanti. È del 1965 la bella foto in bianco e nero che immortala i due artisti in un dialogo intenso sullo sfondo della personale di Giacometti alla Tate Gallery di Londra che da lì a poco avrebbe inaugurato. È da questa immagine emblematica che i curatori hanno strutturato un percorso espositivo che sottolinea analogie e omologie formali, ma anche posizioni antitetiche eppure ugualmente intense che vedono sempre al centro un unico tema, ossessivamente perseguito: quello della figura umana.
La narrazione prosegue con la figura che li fece incontrare: la comune amica e artista Isabel Rawsthorne che nei primi anni sessanta introdusse i due artisti, personalità estremamente importante nel corso delle rispettive carriere, come testimoniato dalle molte opere in mostra che la ritraggono. Nelle nove sezioni tematiche che compongono l’allestimento si svelano quindi i tratti che accomunano le loro visioni, a partire dalla loro capacità di ordinare ciascun elemento nello spazio. In tal senso sono veri e proprio dispositivi visivi quelli adoperati dai due, a partire da Giacometti che pensò una serie di intelaiature, tra cui La Cage del 1950 (qui esposta nelle due versioni in gesso e bronzo) la cui invenzione risale probabilmente a quel congegno spaziale e artistico rappresentato dalla leggendaria Boule suspendue del 1930: opera ancora surrealista e inesauribile nella sua lettura simbolica. Anche Bacon comprese la necessità di dipingere le sue figure inserendole in strutture simile a “gabbie” che da un lato ne aumentano la resa tridimensionale e dall’altro amplificano il senso di frustrazione umana di quei corpi, stravolti al limite della riconoscibilità: ne è esempio una tela raramente esposta, Figure in Movement del 1972, nella quale il corpo deformato appare come imbrigliato nella griglia che ne frustra il dinamismo.
Il tema del dolore e di tutto ciò che esprime la carne prosegue nelle altre sale e rammenta al visitatore di quanto Bacon, grazie ad un intenso studio e confronto con la pittura sacra imparò ad esprimere i tormenti del corpo. Proprio dalla tradizione figurativa cristiana il pittore irlandese fece suo il formato del trittico, che nei molti esemplari in mostra esprime in maniera sublime con i loro interni popolati da inquietanti e mostruose figure che sembrano ammassi di carne ululante. Diverso, ma non meno incisivo il racconto del corpo in Giacometti che nella la sua opera plastica e pittorica, attraverso i busti-ritratto del fratello Diego, le filiformi figure femminili e alcuni frammenti anatomici evidenziano il rapporto dialettico tra la massa centrale e lo spazio che le avvolge e le corrode. I contorni continuamente frantumati suggeriscono e insieme vanificano le presenze umane che appaino tanto più leggibili quanto più osservate da lontano. Come già accennato è dunque questo un aspetto centrale in tutte le opere esposte: il persistere della figurazione nell’opera di due giganti dell’arte rivendicarono strenuamente il loro essere “realisti”, lambendo con le loro rispettive carriere tutte quelle avanguardie che proprio dalla figura e dalla tradizione pittorica e scultorea volevano invece affrancarsi.
Tale distacco e lento addio non poteva manifestarsi senza dolore: in Bacon la resistenza del corpo s’esprime con aggressività: “Non c’è tensione in un quadro se non c’è lotta con l’oggetto”, scrisse il pittore nel 1955, mentre in Giacometti l’immagine dell’uomo sembra arrendersi e riflettere il senso di fallimento, di autoflagellazione che permea l’opera dell’artista svizzero e che il peculiare impiego del gesso, con il suo aspetto fragile e incompleto, incarnano alla perfezione. La leggenda di entrambi gli artisti si è consolidata anche grazie all’attenzione che grandi intellettuali rivolsero al loro lavoro (Giacometti trovò in Sartre un grande sostenitore e Deleuze dedicò a Bacon l’importantissimo saggio del 1981 Logique de la sensation) e fa un certo effetto pensare che le genesi di tali riconosciuti capolavori, che nelle grandi sale della Beyeler esprimono tutto il loro valore spaziale, sia da ricondursi ad ambienti angusti e affastellati. In questo senso la video-installazione che completa la mostra alla Beyeler vuole suggerire al visitatore l’atmosfera dei rispettivi studi privati degli artisti: due microcosmi privati che rivivono qui grazie alle tecnologie digitali e che riflettono tutto il portato umano e struggimento artistico dei due.
- Bacon – Giacometti
- Catherine Grenier, Michael Peppiatt e Ulf Küster
- 29 aprile – 2 settembre 2018
- Fondation Beyeler, Basilea