Georg Baselitz (nato Hans-Georg Rem, a Deutschbaselitz nel 1938) è senza dubbio sin dalla fine degli anni Sessanta uno dei nomi più centrali dell’arte contemporanea tedesca, e sicuramente quello che più tenacemente si è confrontato con la pittura dal Dopoguerra in poi. In occasione dei suoi 80 anni, la Fondazione Beyeler ha quindi pensato a una grande retrospettiva curata da Martin Schwander, nata in collaborazione con l’Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington che ha il merito di riassumere l’intensa carriera dell’artista in grandi “capitoli” che scandiscono in decadi le sale della fondazione con opere fondamentali per intendere lo sviluppo progressivo dell’arte di Baselitz dagli esordi fino a opere inedite realizzate solamente lo scorso anno.
Il percorso comincia con le opere degli anni Sessanta, come le Fratture e gli Eroi: dipinti per nulla invecchiati, tanti sono le eco di quelle forme in molta pittura di autori contemporanei ancora giovanissimi. Queste sue prime tele, generalmente annoverate nella tendenza neo-espressionista, ricevettero all’epoca un’accoglienza mista da parte della critica oltre che a suscitare scandalo; erano tele difficili da collocare e da apprezzare per ciò che molto spesso ritraevano, costituendo i lavori più intimi e oscuri del giovane Baselitz. Arti amputati, corpi deformi e intenti a masturbarsi senza alcun eros, di cui il capolavoro maledetto The Big Night Down The Drain (1963) è chiara espressione, mostrando tutto il fardello e il dolore dell'isolamento di un artista giovane e totalmente post-ideologico.
Ecco poi affiorare con gli anni Settanta altri modi, altri temi e soprattutto altri colori a testimonianza di uno sguardo più speranzoso che proseguirà persino in un certo umorismo fino agli anni Ottanta, dove la palette cromatica si fa più lussureggiante, le pennellate più dinamiche e fisiche. Come già ricordato, Baselitz sperimenta in quei primi Settanta una pittura stesa con le mani nude che manifesta sulla tela un impeto controllato più simile all’attitudine di uno scultore che si confronta con la materia, plasmandola, piuttosto che quella di un pittore che calibra con il pennello le forme della sua fantasia. Appartiene a quegli anni l’idea che rese ancor più celebre l’artista tedesco, di rappresentare le sue figure capovolte, come la grande aquila, Adler (1972), esposta in mostra. Un gesto apparentemente semplice ma dalle innumerevoli implicazioni, che sarebbe persino lesivo dell’opera in sé tentare di ridurre a un’interpretazione univoca. È però interessante ricordare come un’altra versione più piccola dell’aquila poco prima citata, fu scelta e appesa dall’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder nel suo ufficio della rinnovata cancelleria di Berlino per dare un messaggio di rinnovamento e discontinuità del suo mandato rispetto ai suoi predecessori.
L’intuizione che ebbe Baselitz nel ribaltare le sue figure, fu il frutto di un approccio assai più mentale alla pittura, il modo di ripensarla tutto tedesco che accomuna la sua opera a quello dei suoi compatrioti Sigmar Polke, Gerhard Richter e Anselm Kiefer. Allo stesso tempo però le sue tele capovolte e i suoi colori che andarono accendendosi sempre di più durante i primi anni Ottanta, permisero a Baselitz di essere immediatamente riconosciuto anche negli Stati Uniti. Agli occhi americani le opere di Baselitz si situavano in un punto indefinito tra le opere di un Willem de Kooning ancora figurative, e le opere degli anni Settanta di Philip Guston: ugualmente appassionate, disinibite nell’uso del colore e capaci di ridefinire il soggetto umano reinventandolo. Gli esempi di questo periodo esposti in mostra ne rappresentano anche un nodo simbolico: al centro della settima sala sono collocate quattro potenti sculture Dresdner Frauen, realizzate incidendo direttamente grandi blocchi di legno con una sega elettrica e successivamente dipingendoli con un giallo intenso che ricorda quello di Emil Nolde o quello che solitamente contraddistingue le casseforme da cantiere. I volti sfigurati ci parlano ancora di distruzione, come fossero grandi monumenti bombardati. Tutt’attorno però le tele guidano il visitatore in un immaginario che ricorda quello di esperienze coeve alla pittura di Baselitz che spaziano dalla Trasavanguardia al graffitismo di Basquiat.
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L’uomo è però sempre al centro dei suoi interessi. La figura maschile per lo più è protagonista di questa indagine quasi antropologica che Baselitz propone di opera in opera, come se l’epopea dei suoi Eroi fosse continuamente da scriversi. Osservando i dipinti più recenti, alcuni dei quali giganteschi e mai prima esposti, ciò che più colpisce sono le nuance e le velature di bianco traslucido, grigio o rosa e le figure dai contorni imprecisi che sembrano fluttuare come disegni a china ingranditi. Osservandoli più da vicino, il visitatore può notare le impronte circolari lasciati dalle lattine di vernice, rivelandone la genesi, ossia di tele realizzate sul pavimento, con gocce di pittura nera, dalla linea controllata ma in parte casuale, esattamente come nel dripping di Pollock.
È affascinante percorrere la mostra in ambedue i versi come un palindromo, per testimoniare questa progressiva scomparsa e ricomparsa della forma umana che culmina – o comincia – in un corpo gigantesco e quasi astrale, come fosse una costellazione (la grande opera che accoglie i visitatori nel foyer) contraddistinta da una pittura leggera e quasi immateriale, per ritornare indietro, nella disperazione comica dei primi capolavori: omuncoli, brandelli di carne e piccoli feti in tele di dimensione ridotte, ma dal peso insopportabile.
- Alla Fondation Beyeler:
- Georg Baselitz
- Date di apertura:
- 21 gennaio – 29 aprile 2018
- Sede:
- Fondation Beyeler
- Indirizzo:
- Baselstrasse 101, Basilea
- Curatore:
- Martin Schwander
- Al Kunstmuseum Basel:
- Georg Baselitz. Works on paper
- Date di apertura:
- 21 gennaio – 29 aprile 2018
- Sede:
- Kunstmuseum Basel
- Indirizzo:
- St. Alban-Graben 8, Basilea
- Curatore:
- Anita Haldemann