Da ottobre 2017 miart pubblica su social network, website e riviste immagini e teaser video di “Prisma”, campagna di comunicazione stratificata il cui progetto è stato affidato alla collaborazione tra il coreografo Alessandro Sciarroni, il duo di video-artisti Masbedo e la fotografa Alice Schillaci, riuniti sotto la direzione artistica di Mousse Agency. Questo mescolarsi di discipline si propaga anche fisicamente in città attraverso la collaborazione istituzionale tra miart e il festival Fog: in fiera (dal 13 al 15 aprile) sarà infatti visibile l’opera video, mentre nelle serate dell’11 e 12 aprile andrà in scena la performance sul palco del Teatro dell’Arte in Triennale. Un progetto complesso che ci siamo fatti raccontare dai Masbedo.
Masbedo a miart 2018: Il presente ha molte storie
Il duo di videoartisti racconta com’è nato l’ultimo progetto per miart, sviluppato insieme con la fotografa Alice Schillaci, con un preciso obiettivo: “comunicare l’arte con l’arte”.
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- Angela Maderna
- 10 aprile 2018
Come è nata “Prisma”?
Alessandro Rabottini (direttore artistico di miart, ndr) ha avuto l’intuizione intelligente di voler comunicare l’arte attraverso l’arte, così ci ha chiamati proponendoci di lavorare insieme ad Alessandro Sciarroni. La sua idea era che insieme avremmo potuto creare qualcosa di visivamente forte, legato al tema onirico e dell’identità. Dopo una prima fase di confronto, abbiamo deciso di lavorare su una forma che nasce dall’inizio di uno spettacolo di Sciarroni, “Cowboys” nelle cui coreografie i performer utilizzavano degli specchi. È stato quasi naturale pensare di lavorare su questo aspetto con il video.
Cosa vedremo durante la fiera?
Ci saranno dei video all’ingresso di miart e una performance alla Triennale. Sarà una sorta di featuring incrociato, mentre i video saranno più un Masbedo featuring Sciarroni, quella che andrà in scena in teatro sarà invece uno Sciarroni featuring Masbedo. Si chiama campagna di comunicazione, ma gli abbiamo dato l’attenzione che normalmente riserviamo a un progetto artistico, si tratta di un progetto complesso.
Come avete lavorato con Alessandro Sciarroni?
Era necessario trovare il modo per scorrere sullo stesso binario ed è venuto naturale lavorare su una sorta di strana leggerezza e sospensione messa in campo dagli specchi, anche se poi in verità in questa performance di leggero non c’è nulla perché è molto densa, anche musicalmente. Il mondo di Alessandro Sciarroni è un mondo minimalista e molto preciso, per entrarci è necessario avere la giusta delicatezza altrimenti si rischia di sbagliare, ma abbiamo trovato un buon equilibrio.
Cosa vedremo dentro al Teatro dell’Arte?
La performance per come l’abbiamo concepita insieme è una sorta di loop, in cui lo spettatore può entrare e uscire quando lo ritiene opportuno. Ci saranno tre momenti molto particolari, evidenziati anche da due strutture musicali molto differenti (uno è quello in cui parte la musica di Bright Eyes che è quasi un corpo contundente). In questo caso, però, abbiamo lavorato con Alessandro Sciarroni sulla struttura della performance più che andare ad allagare il palco con i video, abbiamo agito per sottrazione. Siamo entrati più nell’apparato di costruzione, per esempio dando una dimensione del palco quasi filmica, che ricordasse il classico 16:9 del cinemascope, oppure abbiamo scelto insieme di lavorare con le musiche di Abul Mogard perché sono coerenti con l’impiego della rifrazione, il suo è un mondo di ambienti sonori strazianti che si ripetono. È una performance in cui alla fine il soggetto è lo specchio e il video viene assorbito all’interno della rifrazione, ma quello che è interessante è che nessuno vedrà da dove viene questo video.
Perché “Prisma”?
Perché ci piaceva l’idea della rifrazione dei colori, in un’attitudine lisergica, se si pensa al caleidoscopio per esempio, questo produce immagini che non possono essere collocate sul piano della realtà. La base di qualsiasi macchina che riproduce un’immagine a livello ottico poi è un pentaprisma e ci sembrava un bell’elemento.
Parlavamo d’identità e pensando alle immagini che abbiamo visto in questi mesi mi chiedevo che ruolo ha l’identità in questo lavoro? Ci sono specchi che negano l’identità individuale (contraddicendo in qualche modo la loro stessa funzione), ma anche volti che si moltiplicano…
Sinceramente non è tanto un discorso sulla negazione o moltiplicazione dell’identità, quanto sulla trasformazione degli specchi in apparati immaginativi. Il tema è quasi più onirico perché all’interno dello specchio il viso viene sostituito da un’immagine sorprendente. Il grande territorio di questo lavoro è la magia che apre a paesaggi e temperature emotive. Per esempio, nella parte in cui i performer agiscono in sospensione con gli specchi, che sono veri e quindi oggetti che potrebbero ferire, il loro corpo è straziante e lascia percepire una ferita d’identità nella quale però gli specchi diventano una feritoia per l’immaginazione.
Nel vostro lavoro avete sconfinato spesso rispetto al mondo dell’arte, questa volta vi siete misurati su un terreno molto dibattuto anche storicamente, che è quello dell’incontro/scontro tra arte e comunicazione...
Be’ sì, diciamo che ci viene naturale sconfinare. Ma anche in questo caso è capitato, non lo abbiamo deciso a tavolino, tra l’altro pensandoci è abbastanza incredibile perché tutto il nostro lavoro è sull’incomunicabilità. L’idea era quella di creare qualcosa che richiamasse quasi una bellezza sciamanica. Quello che è interessante qui è che si parla d’immaginazione, il fine non è comunicare un prodotto, piuttosto di raccontare una storia, anche in accordo con il claim di miart di quest’anno che è “Il presente ha molte storie”. Si cerca di comunicare l’arte con l’arte.
- miart 2018, fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea di Milano
- 13–15 aprile 2018
- fieramilanocity, padiglione 3, gate 5
- Alessandro Rabottini
- Alessandro Sciarroni, Masbedo, e Alice Schillaci (Mousse Agency)
- Prisma
- Teatro dell’Arte, Triennale
- 11–12 aprile 2018