Un “effetto wow” esplosivo (a partire dall'eclettico Royal Pavilion di John Nash a Brighton), la “maraviglia” di barocca memoria, e allo stesso tempo una riflessione più profonda sul linguaggio architettonico, sulle tecnologie, sui materiali e più in generale su un sistema di valori da comunicare: concepiti appositamente per grandi occasioni, fiere e celebrazioni come “vetrine” dell’epoca in cui sono stati costruiti, molto spesso i padiglioni sono stati terreni di sperimentazione progettuale più che fertili. Lo dimostrano le tante architetture che, nel diventare icone di un'epoca, hanno anche segnato il passo nell’innovazione tecnologica e nella pratica costruttiva, dal Crystal Palace di Joseph Paxton, costruito per l’Expo di Londra del 1851 e manifesto delle emergenti tecnologie in vetro e acciaio, al Padiglione tedesco di Frei Otto per l’Expo di Montreal del 1967, che ha aperto la strada alle tensostrutture.
Meraviglia ed esperimento: 15 padiglioni che hanno fatto la storia
Tra Expo, Biennali e Serpentine, Le Corbusier, Ai Weiwei e la Secessione viennese, una piccola guida alla tipologia architettonica forse più libera e sperimentale dei secoli recenti.
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- Chiara Testoni
- 27 febbraio 2024
Tra i molti esempi di padiglioni – scomparsi o in pessimo stato di salute, ringiovaniti, reinventati, o ancora “spumeggianti” come un tempo – abbiamo selezionato alcune tra le più felici dimostrazioni di equilibrio tra esigenze di rappresentanza da un lato e innovazione progettuale dall’altro: da quelli che hanno mantenuto la loro funzione originaria (Royal Exhibition Building di Reed a Melbourne, Palazzo della Secessione di Olbrich a Vienna, Grand Palais a Parigi, Padiglione Tedesco di Mies van der Rohe a Barcellona, Padiglione n.40 di Vitic a Zagabria, Nordic Pavilion di Fehn a Venezia), a quelli reinventati (Biosphere di Buckminster Fuller a Montreal, Padiglione Olanda di Mvrdv ad Hannover, Padiglione Alif di Foster+Partners a Dubai); da quelli smantellati e rimontati altrove (Padiglione Esprit Nouveau di Le Corbusier a Parigi), a quelli definitivamente scomparsi (Glaspavilion di Taut a Colonia, Padiglione Urss di Melnikov a Parigi, Philips Pavilion di le Corbusier a Bruxelles, Padiglione Italia di Studio Valle a Osaka, Serpentine Summer Pavilion di Herzog&De Meuron e Ai Weiwei a Londra).
Il Royal Exhibition Building è stato realizzato in occasione della Melbourne International Exhibition del 1880, in linea con lo spirito del movimento espositivo internazionale del XIX secolo che mirava a promuovere l'innovazione attraverso l'industrializzazione e il commercio internazionale. L’opera, in mattoni, legno, acciaio e ardesia, combina elementi dello stile bizantino, romanico, lombardo e rinascimentale italiano. Il complesso è ancora in uso come centro espositivo e di eventi, ed è una frequentata meta turistica cittadina.
L’opera fu realizzata come spazio espositivo per le mostre degli artisti secessionisti e divenne ben presto uno dei più vivaci centri culturali dell'epoca. Sul volume cubico, rigoroso e quasi privo di finestre, domina la grandiosa cupola traforata, composta da migliaia di foglie di alloro (in onore di Apollo, dio delle arti) in rame laminato d’oro che si staglia nitidamente sulle superfici immacolate. L’edificio è ancora oggi un centro espositivo.
L’imponente complesso simbolo della Belle Époque fu costruito per l’Esposizione Universale di Parigi del 1900. La struttura in acciaio e vetro presenta una maestosa facciata decorata da colonne ioniche e da ciclopiche statue in bronzo. Nel corso del XX secolo, il Grand Palais ha ospitato eventi, fiere ed esposizioni, e ancora oggi nelle Galeries Nationales du Grand Palais vengono allestite mostre d’arte di rilevanza internazionale. Nella parte sud-ovest si trova il Palais de la Découverte, un museo inaugurato nel 1937 e dedicato alla scienza. Il ristorante tra le colonne imperiali offre una piacevole pausa in un’atmosfera aulica e radiosa.
Il Glaspavillon fu realizzato in occasione dell'esposizione del Deutscher Werkbund a Colonia, finalizzata a “nobilitare” il lavoro industriale e a ridurre la cesura, al tempo molto forte, tra architettura e arti applicate attraverso la realizzazione di edifici di spiccata qualità artigianale. L’edificio, a pianta centrale e coperto da una cupola, era costituito da una struttura portante in cemento armato, su cui era impostata una struttura reticolare a maglia romboidale in duplice strato, rivestita all’esterno in vetro riflettente e all’interno da piastrelle di vetro a rilievo policrome. L’edificio ebbe vita breve: fu chiuso poco tempo dopo l’apertura per l’entrata in guerra della Germania. La sua struttura in cemento armato sopravvisse al conflitto e fu destinata ad ospitare per breve tempo, prima di essere demolita, la vendita dei materiali ancora fruibili dell’Esposizione.
Il padiglione temporaneo fu costruito per l’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Parigi del 1925, come prototipo a scala reale di un alloggio standardizzato e composto da elementi prodotti in serie. L’edificio era concepito come cellula-tipo aggregabile e ripetibile alla scala urbanistica dell’Immeuble-villas, allo scopo di soddisfare il fabbisogno abitativo attraverso soluzioni rapide, economicamente sostenibili ma di qualità. Il padiglione originale fu smantellato ma nel 1977 una replica fedele è stata ricostruita a Bologna dagli architetti Giuliano Gresleri e José Oubrerie: situata nei pressi del complesso fieristico progettato da Kenzō Tange, l’opera è utilizzata come spazio espositivo.
L’opera, anch'essa realizzata in occasione dell’Exposition des Arts Décoratifs di Parigi, era concepita come il biglietto da visita del Costruttivismo russo in Europa. L’edificio era caratterizzato da un impianto rettangolare e da una struttura in legno e vetro; il volume era scomposto in due prismi triangolari, separati da una fenditura occupata dalla scala-ponte, su cui si intersecavano pannelli inclinati di copertura. Il fulcro dello spazio esterno era rappresentato dalla torre che sosteneva la scritta CCCP.
Progettato e costruito appositamente in occasione dell’Esposizione Universale di Barcellona del 1929, l’iconico edificio esprime alcuni dei capisaldi del pensiero di Mies van der Rohe: dalla pianta libera, alla rigorosa maglia strutturale, all’utilizzo di materiali pregiati, alla continuità tra esterno ed interno. L’edificio è caratterizzato da un chiaro impianto ortogonale ed è protetto da una copertura piana sostenuta da esili pilastri cruciformi, che sembra quasi fluttuare nell’aria. All’esterno l’immagine eterea dell’edificio si riflette nelle due vasche d’acqua: in quella minore, la scultura in bronzo di Georg Kolbe (“Der Morgen”) fuoriesce dall’acqua con la stessa leggerezza con cui l’edificio si erge sul suo podio di travertino. All’interno, materiali di pregio (marmo verde, travertino, onice) esaltano il carattere aulico e a-temporale dello spazio. La struttura, pensata come temporanea, è stata interamente demolita dopo la fine dell’evento e ricostruita filologicamente tra il 1983 e il 1986. Oggi ospita mostre e installazioni artistiche ed è la sede della premiazione del prestigioso EU Mies Award.
Negli anni ‘60 e ‘70, la fiera di Zagabria era una delle più grandi al mondo, punto di convergenza di ideologie politiche e sistemi economici e culturali molto diversi, soprattutto in tempo di guerra fredda. Dei 40 padiglioni originari, solo un terzo è oggi utilizzato: molti sono stati da tempo destinati ad altri usi, o abbattuti, o sono vuoti. Tra i più pregevoli e oggi tutelati rientra il Padiglione 40, costruito nel 1956 in soli cinque mesi, e caratterizzato da un linguaggio brutalista riconoscibile nel volume scultoreo e nella corposa struttura in cemento armato a vista.
Realizzato su progetto di Le Corbusier e dell’ingegnere-musicista greco Iannis Xenakis per l’Expo di Bruxelles del ‘58, il padiglione in cemento armato era composto da un gruppo di nove paraboloidi iperbolici e all’interno ospitava l’installazione “Le poème électronique”, costituita da una combinazione di luci, proiezioni e musica (composte da E. Varèse e dallo stesso Xenakis), a celebrazione della nuova era elettronica. L’opera fu demolita nel 1959.
Il padiglione di Norvegia, Svezia e Finlandia ai Giardini della Biennale di Venezia porta nella Laguna la poetica della luce e il rapporto simbiotico con la Natura, tipici dei Paesi scandinavi. L’edificio a pianta rettangolare è privo di elementi strutturali che interropono lo spazio, e coperto da una struttura piana con un doppio livello di travi in cemento armato. Il reticolo formato dalle travi sovrapposte lascia filtrare le chiome dei tre platani che, con i loro tronchi, attraversano il volume diventando parte integrante dell’edificio. La luce si riverbera diffusamente sulle superfici diafane ed essenziali, accentuate dalle scelte materiche: dal calcestruzzo impastato con una miscela di cemento bianco, sabbia chiara e polvere di marmo, alle ampie superfici vetrate.
La struttura è stata originariamente costruita come padiglione degli Stati Uniti per l'Expo del 1967. La cupola geodetica, firma progettuale della ricerca di Buckminster Fuller, generata da un intricato reticolo di tubi d’acciaio, è ancora un landmark iconico nel paesaggio urbano. Oggi il complesso ospita un museo dell’ambiente.
Il padiglione all'Expo '70 ad Osaka fu una delle prime sperimentazioni progettuali da parte dell’Italia nell’high tech. La costruzione in acciaio e vetro si componeva di 10 elementi architettonici, di cui sei “contenitori” a sezione rettangolare e lunghezza variabile inclinati di 30°, e 4 volumi tubolari inclinati di 30° in direzione opposta, secondo una configurazione che consentiva di ottimizzare la resistenza sismica dell’edificio. L’opera è stata smantellata dopo la fine di EXPO.
Il progetto di MVRDV formulava una proposta per il tema "Holland Creates Space", rivelando le potenzialità di un paese da sempre in crisi di territorio. L’opera si configurava come un ecosistema autonomo con propri cicli naturali, in cui sei paesaggi tipici olandesi (tra cui una foresta al terzo piano) venivano sovrapposti in un edificio a torre. Dopo vent’anni di inutilizzo, il progetto di recupero di MVRDV ha previsto la riconversione del padiglione espositivo in un edificio per uffici e spazi per il co-working.
Ai Kensington Gardens, le Serpentine Galleries (Serpentine e Sackler Galleries) promuovono mostre d’arte contemporanea e architettura di respiro internazionale. Dal 2000, ogni anno la Serpentine Gallery ha commissionato un padiglione estivo temporaneo a un celebre architetto: ogni padiglione viene completato entro sei mesi e installato sul prato della Galleria per tre mesi. Herzog & de Meuron e Ai Weiwei, autori del dodicesimo Summer Pavilion della Serpentine, hanno effettuato un’operazione di archeologia moderna, scavando 5 metri sotto il suolo per rivelare i resti degli undici padiglioni precedenti, su cui sono stati realizzati gli elementi portanti della nuova architettura. Una copertura piana, sospesa a pochi metri sul manto erboso, proteggeva lo “scavo”: se l’intradosso era rivestito in sughero, l’estradosso era ricoperto da una sottile superficie d'acqua che creava giochi di riflessi tra la terra e il cielo.
L’area di Expo 2020 è stata destinata, dopo la conclusione dell’evento a fine 2021, a diventare un distretto multifunzionale di servizi e infrastrutture, in cui molti padiglioni vengono conservati. Tra questi, rientra il Padiglione della Mobilità, Alif, dal nome della prima lettera araba e, per esteso, “inizio” (l’inizio di un futuro basato su strumenti e sistemi per agevolare la qualità della vita): con le sue forme sinuose e l’involucro rivestito in lamiere di acciaio inossidabile intervallate da fasce vetrate curvilinee, evoca l’idea stessa di movimento. Il padiglione, distribuito su cinque piani fuori terra e due interrati, è stato progettato con un’attenzione scrupolosa alla sostenibilità, dalla conformazione auto-ombreggiante, al fotovoltaico, al rivestimento riflettente.