È voluminoso, denso e seducente il libro che Paolo Portoghesi dedica al Borromini. Immagini e riflessioni di grande rilievo, che raccontano la vita e le opere di uno dei più grandi protagonisti del Seicento visto da un altro protagonista, questa volta del Novecento. Un genio ricostruito da un maestro della critica, autore di originali studi dal Rinascimento a oggi e architetto protagonista di una delle stagioni più felici, e controverse, del secondo novecento italiano.
Portoghesi ripercorre la vita dell’artista in un viaggio che ne ricostruisce l’animo e la spinta creativa. Ad emergere è un genio “diverso”, dotato di una personalità forte, fatta di chiaroscuri su cui domina una orgogliosa indipendenza. Siamo di fronte così a un’analisi di un precoce talento, del suo volersi continuamente superare, spiccare dal contesto, vincere a ogni costo e per indiscutibile merito fino all’apice, che ne rappresenta il rovesciamento. Fino ad ammalarsi nella spasmodica ricerca della bellezza e del suo ideale.
Il genio diverso: il libro di Paolo Portoghesi sul Borromini
Oltre seicento pagine tra architettura e simbologia, tenebre e splendore, dedicate alla vita di uno dei più grandi artisti del Barocco, in una edizione rivista e ampliata del celebre testo del 1967.
Courtesy di Skira editore.
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- Valentina Petrucci
- 11 marzo 2020
Descritto nella letteratura come un visionario platonico, un architetto stravagante, bizzarro, Borromini è cresciuto in un contesto artistico alla cui definizione ha contribuito forse più di ogni altro, così dimostra la straordinaria risonanza che lo stesso ha avuto lungo i secoli, che tracciano il percorso luminoso di un uomo contraddittorio come la sua ardente fede e quella vena di segretezza che sfocerà poi nel suo inaspettato suicidio. Il libro di Portoghesi è il racconto di un continuo tentativo, da parte del Borromini, di esibire il mondo con la sua complessità semantica e iconografica, rispettando al tempo stesso le leggi dell’architettura, a lui contemporanee, nello sforzo di avvicinarsi al divino tramite opere dai volti ascetici e spirituali che s’inseriscono nello spazio urbano assecondandolo e nel contempo spettacolarizzandolo nella pratica architettonica, pensata come sorpresa nel tessuto in cui s’inserisce.
Inconsapevolmente o meno, Portoghesi sembra far proprio un prezioso suggerimento di Ernst Gombrich, che in apertura della Storia dell’arte raccontata, scriveva: “Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti”. E infatti così Borromini viene descritto, come un artista “necessario”, con una personalità che non avrebbe potuto non esserci, ma che resta ancor tutta da scoprire, sospesa tra il passato e il suo presente, sempre interpretato in un senso visionario.
Altri studi, altri capitoli monografici sono stati dedicati al talento di Borromini, pagine che narravano la sua vita e le sue opere con una scrittura simile a quella dei diari intellettuali. Affrontavano il periodo di produzione di artisti come Gian Lorenzo Bernini, Simon Vouet, Pietro da Cortona e lo stesso Francesco Borromini, definiti da Giuliano Briganti “la generazione del 1630”. Qui però le cose cambiano, il timbro si alza, il senso va in profondità ed entra nel canone barocco: oltre alla ragione, Portoghesi fa parlare il sentimento. E infatti il vero centro del libro è nei capitoli che analizzano il mondo sentimentale di Borromini, il suo linguaggio e la sua estetica fatto di forme e simboli, il colore del percorso artistico di una figura che ha assunto una posizione da co-protagonista, soprattutto a Roma, di un periodo storico che vede definirsi quelli che saranno destinati a divenire gli aspetti più distintivi della modernità. Alla luce di tutto questo è sempre più chiaro che se il Bernini persegue la contiguità il Borromini sconfina nell’illusione con effetti di meraviglia che riesce a far convivere in un’autonomia degli spazi con l’utilizzo della sua grammatica architettonica.
Inserito nel contesto delle più complesse vicende dell’arte seicentesca, e al tempo stesso sospeso in una sorta di splendido isolamento, il volume di Portoghesi delinea le peculiarità e il carattere dell’artista, dal suo sorgere sulla scena romana alla diffusione e proliferazione delle sue opere, anche attraverso la simbologia argomentata nelle facciate, nei dispositivi planimetrici o nella scansione scultorea degli spazi. Un’esperienza unica e diretta, sentimentale e personale che nemmeno le pagine di un maestro della critica del Novecento possono sostituire.
- Borromini, la vita e le opere
- Paolo Portoghesi
- Skira
- 632
Anonimo del XVIII secolo, incisione da un ritratto di Borromini, rielaborato come illustrazione dei due volumi sull’opera borrominiana stampati dall’editore Giannini nel 1720 e nel 1725.
L'interno della chiesa di Sant’Agnese a piazza Navona. L’organismo borrominiano della chiesa, portato a termine e decorato da Carlo Rainaldi, Gian Lorenzo Bernini e Giovanni Maria Baratta, ma ancora riconoscibile sotto la ricchissima veste cromatica, rende Omaggio alla tradizione bramantesca della cupola impostata sull’ottagono, reinterpretata in termini di accentuata plasticità.
Borromini a San Pietro. Scorcio delle colonne tortili e particolare del coronamento del baldacchino nella basilica di San Pietro in cui si avverte, nel disegno delle quattro membrature e nel coronamento quadriconcavo, la partecipazione creativa di Borromini all’impresa, per la quale è compensato come disegnatore.
Borromini collaboratore di Carlo Maderno. Nella costruzione della cupola di Sant’Andrea della Valle la collaborazione si esprime anzitutto nel disegno della lanterna.
Palazzo Barberini. I portali tangenti di ascendenza michelangiolesca nella sala di Pietro da Cortona e la ricchezza di elaborazione plastica testimoniano l’intervento creativo di Borromini.
Il chiostro di San Carlino. Veduta del chiostro del convento, la prima struttura spaziale compiuta dall’architetto con una semplicità di mezzi che ne ha fatto una delle sue opere più ammirate, anche dai suoi detrattori.
La chiesa di San Carlino. Osservando dal centro l’organismo si rivela nel suo impianto planimetrico e nel suo sviluppo unitario. Cerchi e ovali delle absidi si incatenano attraverso la trabeazione e trovano negli ovali della cupola e della lanterna la loro forma riassuntiva.
La sala dell’oratorio nella casa dei Filippini. La volta dell’oratorio con l’affresco di Francesco Romanelli. Le nervature che collegano in diagonale le lesene angolari prefigurano la soluzione della cappella dei Re Magi.
La Biblioteca Vallicelliana. L’ordine di snelli balaustri che rende possibile la trasparenza degli scaffali.
Assonometria della cappella di Sant’Ivo alla Sapienza.
Il palazzo della Sapienza. L’intervento di Borromini per il completamento del palazzo della Sapienza, sede dell’università romana – con la costruzione della chiesa di Sant’Ivo e dell’ala verso Sant’Eustachio – si svolge durante tre pontificati dal 1632 al 1662. Il grande cortile progettato da Pirro Ligorio e la facciata concava ideata da Giacomo Della Porta sono interpretati da Borromini come stabile basamento per il suo imprevedibile “a solo”, che Eberhard Hempel paragonava a una “tromba marina”.
L’interno di Sant’Ivo. Il contorno di base della chiesa deriva dall’intersezione di sei circonferenze con un triangolo equilatero e produce una spazialità dinamica e irraggiante che guida l’occhio verso l’alto. Un’immagine della cupola ripresa con un obiettivo fisheye.
L’interno di Sant’Ivo. Veduta dal centro della chiesa lungo l’asse longitudinale.
Palazzo di Propaganda Fide. Nel 1646 Borromini è nominato architetto del collegio e nel successivo decennio realizza l’ala sud del palazzo verso via Capo le Case. La facciata maestosa di via di Propaganda viene iniziata durante il pontificato di Innocenzo X e completata all’epoca di Alessandro VII. Nel 1660 si effettua la demolizione della cappella berniniana proprio di fronte alla casa in cui abitava lo scultore e la sua sostituzione con la cappella dei Re Magi. Il finestrone centrale simula un organismo tridimensionale, una sorta di tempietto che si affaccia verso la strada.
Palazzo di Propaganda Fide. La sopraelevazione realizzata da Borromini in un secondo tempo conclude la facciata con un effetto di vibrazione rasserenante.
Sant’Andrea delle Fratte. Dal 1653 Borromini lavora a Sant’Andrea delle Fratte per conto del marchese Paolo del Bufalo fino alla sua morte nel 1665. Vincolato a eseguire per quanto riguarda l’interno il precedente progetto del Guerra, agisce invece liberamente nel plasmare i volumi esterni. Solo i due ordini finali del campanile giungono a compimento. Il coronamento plastico del campanile con lo stemma dei Del Bufalo è forse il più eloquente dei segni borrominiani inscritti nel panorama della città. Anche qui il modello dell’albero che accresce il suo volume verso l’alto suggerisce una forma aperta realizzata con la tecnica della muratura armata con il ferro.
La cappella Spada in San Girolamo della Carità. La balaustra trasformata in un panno sostenuto dagli angeli.
San Carlino, la facciata. Il travertino è la pietra più utilizzata da Borromini, raramente però come unico materiale. Nella sua ultima opera il travertino è animato da un chiaroscuro argenteo prodotto dagli alveoli delle colonne, dalla vibrazione degli ornati, dalla densità dei risalti. Nel secondo ordine il nipote Bernardo, pur ispirandosi ai modelli in cera realizzati dall’architetto, introdusse nel coronamento un incongruo medaglione di ascendenza berniniana.