“Tutto è Architettura”, scriveva Hans Hollein nel 1968, nel pieno fermento dei movimenti progettuali, radicali e internazionali. In passato l’architettura era un’arte riservata agli edifici pubblici, ai monumenti e ai palazzi aristocratici, quindi la semplice casa di abitazione non era quasi mai coinvolta nei progetti che hanno fatto la storia dell’architettura, nonostante ben si sappia che esiste, soprattutto per questo archetipo, anche una “architettura senza architetti”, come hanno insegnato Giuseppe Pagano e Bernard Rudofsky. L’accendersi di una “modernità” nella storia, oltre ad offrire innumerevoli rivoluzioni tecniche e artistiche, ha incominciato a riconoscere nuove occasioni di architettura che erano invece dedicate alla vita privata di una nascente borghesia. Quindi anche se è vero che tutto è (potenzialmente) architettura, e dovendo scegliere solo opere pubblicate sulla Domus, la selezione non si è dedicata alle tipologie più tradizionali del progetto pubblico, come chiese, musei, stazioni, biblioteche, teatri, scuole, etc, ma si è concentrata sulla precisa tipologia della casa, ovvero l’architettura del privato, intesa come luogo privilegiato dell’abitare. Navigando, o per meglio dire immergendosi nella meravigliosa miniera d’oro che è l’archivio Domus, si è tentato di mappare le architetture domestiche più interessanti e innovative, tra quelle più in sintonia con lo spirito del tempo e del futuro prossimo dell’architettura di allora, in una interessante visione retrospettiva in chiave contemporanea. È una selezione di “assoluti relativi” non pretenziosa di essere esaustiva. Domus nel corso della sua storia ha avuto il merito di riuscire a pubblicare talenti, in velocità e con la freschezza dell’informazione colta e curiosa. Usando una ideale “macchina del tempo” - ovvero l’archivio - le 50 case selezionate sono per la maggior parte opere di nomi emergenti nel momento della pubblicazione, scoperte di giovani progettisti dotati, segnalati dalla rivista appena si affacciavano con realizzazioni di una carriera che oggi è parte della storia. L’ordinamento rispecchia una successione cronotipologicotematica, in una rapida trattazione di un contesto complesso, con fili rossi che si intrecciano dentro parentesi che si aprono e si chiudono, conducendo il discorso fino alle ultime riconosciute eccellenze che Domus ha saputo cogliere appena sbocciate. In questa sequenza, ci sono dei raggruppamenti per temi di ricerca, degli addensamenti per aree geografiche, dei passaggi per affinità elettive, oltre ad alcuni focus sulle architetture italiane ordinate per sintonia e relazione tra gli autori. In fondo, anche il nome della Domus fa riferimento alla casa, tipologia nella quale è sempre possibile ritrovare opere straordinarie - che grazie all’architettura diventano ordinarie - di questa moderna arte dello spazio.
50 architetture da conoscere: case nel mondo e nella storia
Dalla casa che Wittgenstein costruì per la sorella a quelle dei nostri giorni, un viaggio globale attraverso quasi un secolo di archivio Domus in cerca delle abitazioni che hanno fatto la storia.
View Article details
- Matteo Pirola
- 28 marzo 2024
Il caso architettonico di una casa progettata da un filosofo, che contribuisce indirettamente alle teorie della nuova Architettura Moderna che da Vienna (passando per Parigi) stava influenzando l’Europa. Dopo aver scritto il suo Tractatus Logicus Philosophicus, Wittgenstein usò il progetto e la costruzione di una casa per la sorella come esercizio di logica e di fantasia applicato alla verifica pratica quotidiana, per uscire da uno stato di crisi esistenziale. Qui lavorò con rigorosi criteri di razionalità e secondo un processo di riduzione, per arrivare alla massima “semplicità”, dove tecnica, estetica ed etica si bilanciano e tracciano i tre punti di un unico piano ideale e reale.
Immagine apertura: Aldo Ernstbrunner
In un luogo magnifico che oggi si chiama Cap Moderne, in Costa Azzurra, si trova una delle due sole case che realizzò Eileen Gray (per sé stessa), manifesto costruito di una Architettura Moderna in nuce, scritto da una delle prime donne progettiste - libera, autonoma, audace, autrice - che riuscì, nonostante vicissitudini personali che divennero professionali, a farsi ammirare da tutto il mondo dopo essere stata dimenticata da tutti. Questa casa, chiamata enigmaticamente E1027, è un’opera d’arte totale, dove lo spazio unico e continuo contiene tutto - attrezzature, arredi, complementi, impianti, sistemi, informazioni - e tutto è colorato/disegnato/progettato da una delle menti più innovative e nascoste che gli Anni Venti d’Europa hanno potuto esprimere.
Immagine apertura: Manuel Bougot
L’Architettura Moderna in Italia venne chiamata Razionalista da un Gruppo di 7 novelli architetti e, grazie anche a questo primo edificio residenziale ad appartamenti multipiano del giovane straordinario maestro comasco, si posero le basi per una stagione limpida, duratura e storicamente rilevante internazionalmente. I volumi cominciavano a diventare puri e a disegnare una nuova città, gli spazi interni sono ambienti luminosi che cercano una relazione con l’esterno e in questo caso con, a pochi metri, lo specchio d’acqua del lago. Un nuovo ordine nasceva secondo una logica d’uso, di costruzione e di una estetica astratta, resa concreta dalla tecnica e abitabile da una nuova visione della vita moderna.
Immagine apertura: Giuseppe Albano
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Nei loro progetti urbani per residenze multipiano, Asnago e Vender sono ancora oggi autori di culto, tutti da scoprire tra le pieghe della città diffusa che ogni tanto si sofferma schiudendosi in capolavori. A metà degli anni ’30, abbracciate le istanze razionaliste più pure, gli architetti lavorano alla massima espressione di chiarezza architettonica con un linguaggio senza retorica, dove ogni elemento si evidenzia e si mostra per quello che è, in una semplicità complessa con la dote di “schematizzare senza inaridire”. Oltre agli spazi logicamente chiusi dentro il blocco edilizio, per la salubrità della vita domestica, l’attenzione va agli spazi comuni e a quelli aperti, sul tetto e soprattutto in aggetto con balconi, balconate e ballatoi in cui la tradizione milanese viene reinterpretata, ridisegnata e aggiornata nello spirito del tempo.
Immagine apertura: Marco Menghi
Per casa propria, l’architetto Luigi Figini, attua programmaticamente i 5 punti dell'architettura di Le Corbusier che risalivano a pochi anni prima. La casa si risolve così in un omaggio diretto alla più celebre Ville Savoye parigina, con un sorprendente volume architettonico puro, un parallelepipedo sospeso su esili pilastri come trampoli, che svetta con il lato corto sul fronte stradale del caratteristico Villaggio dei Giornalisti e contiene spazi coperti su due livelli comunicanti, integrati da scorci aperti, terrazze scoperte, giardini pensili e affacci urbani. I netti tagli orizzontali (a nastro) sottolineano il paesaggio circostante vicino e in lontananza il frastagliato profilo alpino.
Immagine apertura: Arbalete
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Il giovane Franco Albini fa della casa per la sua nuova famiglia un documento dell'abitare contemporaneo e di quel razionalismo che negli interni e negli allestimenti - che purtroppo spesso non ci sono più per via del loro carattere effimero - è riuscito a sperimentare notevoli soluzioni di chiarezza spaziale, rigore ordinatorio e “fantasia di precisioni”. L’interno dell’appartamento è in una delle “case tipiche” di Gio Ponti, e viene ridisegnato con linee funzionali ed esili che tracciano attrezzature che articolano e organizzano gli spazi. Quinte tessili e leggere scorrono e si spostano amplificando o rimodulando le viste interne, mentre superfici materiche colorate riproporzionano campiture delle pareti per avere un sottordine spaziale secondo le localizzate attività. Gli oggetti e le presenze parlano di una miscela perfetta di arredi antichi e arredi moderni progettati ad hoc da Albini con un linguaggio d’avanguardia che produce innovative idee tipologiche e soluzioni arredative inedite, come - per citare un poker d’invenzioni - due cassettiere antiche messe di schiena, delle pertiche terra-cielo che portano quadri girevoli e luci orientabili, la straordinaria radio in cristallo e la “mitica” libreria Veliero. Oggi l'appartamento non c'è più ma è comunque possibile scoprirne gli oggetti al vero e capirne la storia visitando la Fondazione Franco Albini.
Immagine apertura: Marco Menghi
Le case di Carlo Mollino, architetto, designer, ingegnere, fotografo, scrittore, artista, surrealista e molto di più, crescono intorno alle storie di vite vissute e soprattutto ancora da vivere. Casa Miller è un suo manifesto nascosto, abitazione fatta per un fantomatico committente che in realtà è uno dei suoi modi di essere. Come una conchiglia intorno al suo abitante, questa “abitazione” è tutta un interno, un ambiente fluido e denso, fatto di una costellazione complessa di opere, immagini, oggetti, arredi, pareti, filtri, specchi, colori, spazi in cui si intrecciano soluzioni idealmente pratiche e altre puramente espressive. Espressione di sé stesso, una casa autoritratto d'autore o, come magistralmente descrive il testo rivelatore di Carlo Levi su questo progetto, una casa come “romanzo [...] che non si appaga in generale di svelare l’umano in forme assolute bastevoli a sé stesse”.
Mentre teorizzava i 5 e più punti dell’Architettura Moderna, Le Corbusier dava risposte progettuali che spesso gli storici lasciano come eccezioni - che confermano la regola - e che servono a ricordarci che tutto era più complesso di come ce lo presentano alcune storie. Il progetto è eccentrico come il suo committente, Charles de Bestegui, collezionista d’arte e surrealista lui stesso, e la casa oltre ad essere abitata doveva essere cornice per grandi feste folies di quegli anni ’20 parigini. Lo spazio si sviluppa in una promenade architecturale su più livelli, in una unione promiscua di interno ed esterno, aperto e chiuso, sopra e sotto, passato e presente, realtà e sogno. Tra installazioni elettromeccaniche che spostavano pareti vegetali e camere oscure a panorama, la casa culmina con la “stanza del sole”, dove un pavimento di erba rasata è circoscritto da pareti bianche di media altezza che incastonano un camino in stile e lasciano il cielo terso come soffitto.
Immagine apertura: ©FLC by SIAE 2022
La Maison de Verre è una delle architetture monumento (“casa-pilota”) di un periodo particolarmente ricco di innovazioni, trasformazioni, “entusiasmo e pensiero”, dove la classica idea di architettura si sposa con il nuovo concetto di industrial design. Il nome ci parla di un materiale principale, il vetro, che non è semplicemente trasparente ma, con dei moduli lenticolari, costituisce la membrana principale delle facciate che danno su degli interni urbani (cortile e giardino) e determina un diaframma traslucido che filtra e orienta la luce naturale e artificiale (di notte con dei fari posti all’esterno). Dentro c’è un nuovo mondo, un organismo chiaro seppur molto articolato e tecnologico, su più piani, con varie funzioni, altezze e spazi interconnessi: un teatro dinamico di elementi attrezzati e mobili per la vita contemporanea.
Immagine apertura: Subrealistsandu
Questa casa di vetro rappresenta alla perfezione come la modernità dell’architettura, che era avanguardia negli anni ‘20, si sia trasformata e concretizzata nel dopoguerra, con una idea di spazio, struttura e materia che si è fatta più complessa e organica. Lina Bo (Bardi), personaggio straordinario e figura unica del territorio italiano, espatriata per seguire i suoi sentimenti, progetta e costruisce questo capolavoro fatto ad arte con cemento, ferro, vetro, colori, natura. In una sorta di “ala che vola”, un volume trasparente sospeso a mezz’aria su una sottile palafitta metallica e immerso nel cielo brasiliano, si trova la zona giorno, letteralmente tale, piena di luce, sole, aria, verde, atmosfera che si concretizza in una grande loggia architettonica vetrata per vivere osservando il paesaggio (ed essendone osservati). La zona notte invece è protetta e riservata nel resto dell’abitazione che è ben radicata a terra sul pendio di una collina, con una scatola architettonica con corte a giardino piena di vegetazione tropicale e muri solidi che disegnano il recinto privato dell’abitare.
Immagine apertura: Lucas Medeiros
L’oggetto architettonico è una struttura pura, addirittura di bianco dipinta, sospesa su un verde prato immerso in una foresta ai bordi di un fiume. Questa casa è un brano reticolare di acciaio e vetro che contiene il minimo arredamento pratico per il massimo abitare idealizzato. Mies van der Rohe ebbe l’occasione, non poco travagliata, di lavorare su un progetto minuto ma prezioso e che forse considerò anche troppo suo, nella sua stretta e momentanea relazione con la committente Edith Farnsworth. Aldilà degli aneddoti privati e personali, Mies provò a realizzare una casa che lasciasse “entrare l’esterno”, con una struttura in evidenza per un volume unico di vetro trasparente, una distribuzione sapiente degli ambienti semi-pubblici e semi-privati intorno a un nucleo di servizio, centrale e opaco: un’opera d’arte d’abitare, cosa che solitamente risulta anche poco confortevole.
Immagine apertura: Victor Grigas. By SIAE 2022
La Glass House di Philip Johnson è solo uno dei due corpi architettonici progettati dallo stesso architetto, nello stesso momento, per lo stesso luogo: un parco in cui iniziò a realizzare dei padiglioni per abitare immersi nella natura e nell’arte. Quasi come una competizione in contemporanea, dell’allievo che vuole superare il maestro e amico Mies van der Rohe, questa casa di vetro è un volume trasparente appoggiato sul terreno, con una cornice nera tridimensionale fatta di profili strutturali perimetrali. Ogni lato del parallelepipedo ha un accesso all’ambiente centrale e diretto, in cui sono distribuite senza margini fisici, se non nel caso del bagno, le attrezzature di indizio delle funzioni primarie: cucina, pranzo, soggiorno, studio, letto, oltre alla non casuale e importante presenza di un quadro e di una scultura. Nel secondo padiglione chiamato Brick House invece, sapientemente disassato, a pochi passi e prospicente il precedente “padiglione di soggiorno”, si trovano camere da letto e uno studio, spazi intimi e privati, senza vista diretta esterna, illuminati solo da lucernari zenitali e da alcuni oblò circolari.
Immagine apertura: Staib
Una casa che nasce intorno a una roccia, che da una parte si immerge in un’ansa acquatica e dall’altra diventa letteralmente la prima pietra di un’architettura, fatta da un padiglione trasparente e curvilineo per recepire tutti gli stimoli ambientali e offrire un soggiorno e un riposo immerso nella natura. Nella definizione di un “modernismo tropicale”, Niemeyer lavora sperimentando il rapporto esterno/interno con una continuità tra naturale e artificiale affidata alla libertà della linea curva che va dove vuole, dove può o dove deve. La casa si adatta ai dislivelli del terreno e quindi a quota elevata si trova la zona giorno di accesso, una sorta di soggiorno-veranda-portico, mentre la zona notte si trova sottostante, riservata e apparentemente secondaria, che si affaccia su un altro giardino verso la costa.
Immagine apertura: Nelson Kon
La casa sulla cascata è forse la casa più famosa del mondo e tutti, addetti ai lavori o amanti dell’architettura ne hanno almeno sentito parlare. Questa è forse anche la casa più isolata al mondo, sperduta in una valle americana, immersa nella foresta e costruita sopra un torrente nel preciso punto di un suo sonoro salto di quota. Con questa architettura il vecchio maestro americano dimostrava la giovinezza delle sue idee e scriveva il capitolo più importante di quel suo manifesto teorico della cosiddetta “architettura organica”. Un’architettura che vive di relazioni con l’ambiente, nel rapporto continuo tra esterno e interno ed esterno, nella costruzione di spazi chiusi collegati a spazi aperti da abitare - qui le ampie terrazze a sbalzo dove le chiome degli alberi tracciano una volta naturale - nell'uso di materiali attenti alla costruzione e al contesto. L’essere umano, qui, non può non sapere di essere una parte del tutto.
Immagine apertura: Sxenko
Era chiamata “casa come me” questa casa-dolce-fortezza abbarbicata su un promontorio roccioso in mezzo al mediterraneo. Curzio Malaparte, autore letterario poliedrico e talentuoso, chiamò inizialmente Adalberto Libera, che era uno dei più raffinati modernisti, a disegnare una casa unica per un luogo raro. Da subito Malaparte partecipò così attivamente al progetto che nella storia questa casa è considerata un autoritratto dell’autore e abitante che, da artista, fece dell’architettura un’opera d’arte totale da vivere. Dentro, potremmo dire esserci solo un “semplice” soggiorno e delle camere con vedute incorniciate, mentre fuori, il volume compatto si rastrema verso terra offrendo una monumentale scalinata che si raccorda con i dislivelli naturali e sbarca sulla copertura piana: terrazzo infinito tra cielo e mare con una piccola “nuvola” architettonica di intonaco bianco, approdo delle attività primarie e vitali di questo luogo architettato che diventa paesaggio.
Immagine apertura: Peter Schüle
Spazi fatti di luce e colore, poche linee, poche cose, tutta atmosfera “lirica” (scrive Ponti). Che si sia dentro o fuori, mura ortogonali fanno da margini articolati che proporzionano le quinte di ambienti abitabili in un paesaggio ascetico, in una dimensione poetica. Luis Barragan, autore unico in quel Centro America che ha adottato il modernismo europeo declinandolo secondo sensibilità e potenziale espressivo, realizza una casa labirintica che a volte si contorce velocemente su sé stessa ma che si risolve ogni volta e si apre sempre su vani placidi, calmi, lenti, fatti di sola luce e colore, poche linee, poche cose, tutte giuste.
Immagine apertura: 準建築人手札網站 Forgemind ArchiMedia. By SIAE 2022
Villa Mairea, progettata per gli amici collezionisti d’arte e soci di Aalto per l’impresa Artek, con cui lo stesso architetto realizzava i suoi iconici arredi in legno curvato, è un esempio perfetto e compiuto di quel “design organico” che proprio lui teorizzò ed elaborò tra la fine degli anni ‘20 e l'inizio dei ‘30, contrastando - ma in realtà integrando - quella idea asettica di design purista e funzionalista della prima avanguardia del Movimento Moderno in architettura. Qui, immersi nella natura finlandese, i volumi pur regolari e razionali sono sempre lavorati nei margini, che sono a loro volta disegnati in ogni parte, per rendere lo spazio una entità “organica” che avvolge le attività dei corpi e che dialoga sempre con l’esterno a cui gli spazi sono collegati direttamente e naturalmente. Le proporzioni e i rapporti, le luci e le ombre, i materiali e le superfici, parlano sempre una lingua soave che accoglie, accompagna e conforta il lento svolgere della viva vita quotidiana.
Immagine apertura: Ninara
La rigida simmetria ortogonale del più puro razionalismo geometrico, fuori dal disegno tecnico si dimostra un ottimo strumento per capire come poi lo spazio, che ha un orientamento solare e degli affacci sempre diversi, possa arricchirsi delle condizioni “al contorno” per offrire, a parità di dimensioni, degli ambienti diversificati e personali. Al centro un nucleo compatto con i servizi di bagni e cucina che prendono luce e scambiano aria dall’alto, ai margini delle nicchie a C introverse in muratura di mattoni a vista che offrono spazio alle camere, al soggiorno e al pranzo. In mezzo, in between, un interno percorso lineare perimetrico e continuo, modulabile con delle pareti divisorie mobili, attrezzate e scorrevoli, in legno chiaro. Agli angoli di questo percorso delle logge trasparenti con una teoria di serramenti, che alternativamente possono aggregarsi agli spazi intermedi, modulando gli ambienti e garantendo il contatto con il paesaggio esterno, immerso nella placida campagna svedese.
Immagine apertura: Sebastian F
Nel lavoro di Louis Kahn la severità delle forme delle architetture più celebri e la tettonica dei volumi puri e monumentali, quando incontrano la dimensione dell’abitare domestico, diventano occasione di una relazione con la scala umana in cui le proporzioni si fanno più sofisticate e i risultati sensibili. Qui la geometria dell’involucro diventa una antropometria dello spazio. Due massicci volumi ortogonali paralleli e contigui, compatti e sordi verso l’ingresso la cui facciata ospita delle misurate feritoie, come due padiglioni complementari ospitano la zona notte e i servizi da una parte, dall’altra una zona di ampio soggiorno a doppia altezza. Sul lato verso il giardino invece la doppia facciata è totalmente trasparente per cercare quella integrazione con la natura che anche il più formalmente rigoroso degli architetti necessita, in una pur continua apparente composizione di meccanica elementare, dove lievi distorsioni determinano il valore specifico del dettaglio architettonico.
Immagine apertura: Smallbones
Una torre isolata svetta nel paesaggio, tra lago e montagna, tra orizzontale e verticale. Il volume compatto e massivo a pianta quadrata è un guscio geometrico alleggerito da feritoie e riquadri sul paesaggio, su cui si affacciano, in una composizione per sottrazione, gli ambienti abitabili interni, chiusi o aperti. Si entra dall’alto dove, in contrasto con un volume così presente, l’ingresso è invece esile ed etereo, e avviene tramite una passerella reticolare sospesa. Da una scala centrale si scende fino quasi a terra, ruotando intorno al nucleo e trovando le funzioni abitative che si affacciano tutte su spazi esterni ma coperti: ampie terrazze su “vuoti” progettati, visivamente connessi e tridimensionalmente articolati, contenuti dall’involucro principale.
Immagine apertura: Alo Zanetta, courtesy Mario Botta Architetti
Il progetto di questa casa è un percorso complesso il cui sviluppo, iniziato da Angelo Masieri, scomparso prematuramente, fu proseguito dal suo collega coetaneo Bruno Morassutti e dal loro maestro Carlo Scarpa, a loro volta tutti discepoli (in)diretti di quel Frank Lloyd Wright che negli Stati Uniti aveva scritto l’inizio della storia dell’Architettura Moderna. Scarpa lascia il più possibile invariato il volume progettato preliminarmente, anche in rispetto alla tragica scomparsa del giovane architetto, e interviene autorevolmente sulla copertura che non era compiuta. Questa si risolve in un forte segno orizzontale che sbalza dal corpo architettonico e traccia uno spazio ortogonale coperto ma aperto, che protegge il perimetro inclinato dello spazio abitabile per mediare ulteriormente nella relazione tra interno ed esterno, segnalata principalmente dai caratteristici serramenti verticali e dalle finestre nell’angolo centrale della facciata sul giardino.
Immagine apertura: Gianantonio Battistella©CISA- A. Palladio
Una casa per Umberto Riva è un luogo sacro e laico contemporaneamente, dove tenere insieme, in uno spazio ritagliato e ricucito su misura, le tante sfaccettature della vita quotidiana, tra arredi, complementi, oggetti e opere d’arte. Il suo lavoro molto paziente, indaga ogni passo, ogni palmo, prendendo in considerazione la distribuzione e l’organizzazione di tutti gli spazi ammissibili, anche i più piccoli e di tutti i servizi possibili, anche i più inaspettati. Così ogni frammento dei suoi interni è una storia densa di dettagli fatti di materia e forma, materiali e logica, funzione e movimento, luci e ombre, sorpresa e buon progetto, di quelli che rimangono nella memoria della storia.
Immagine apertura: Giovanni Chiaramonte
Una casa che completa il trittico di esemplari opere affiancate e affacciate sul litorale di Ostia, esercizi plastici e vigorosi tra architettura e scultura, tipici del secondo tempo della vita professionale dell’architetto romano. Case introverse per il ristoro dell’animo umano in relazione con la natura tra soli colori azzurri e blu, tra mare e cielo. La Califfa è la più piccola e si erge monolitica e ruvida, tanto chiusa come una torre difensiva d’avvistamento verso l’entroterra, tanto aperta (potremmo dire squarciata) verso il mare a mezzogiorno. Da fuori, dalla città da lasciarsi alle spalle, nel volume semicilindrico si intravedono e si intuiscono solo alcune piccole feritoie, come branchie di un animale marino spiaggiato, che si aprono e fanno filtrare la luce verso l’interno e orientano la vista verso l’esterno.
Immagine apertura: Giorgio Casali
Da un giovane talentuoso (e purtroppo inspiegabilmente poco famoso) architetto italiano, Vittoriano Viganò, per un celebre architetto, scultore e pittore francese, André Bloc, direttore de l’Architecture d’aujourd’hui e fondatore di “Espace” gruppo di ricerca sperimentale tra architettura, scultura e spazio. In un concetto di interno ed esterno che si annullano in un’unica unità, la casa (le cui pareti sono tutte trasparenti e gli unici volumi chiusi sono cucina, bagno e camera degli ospiti) si riduce a sole due lastre orizzontali di solaio in cemento armato a vista a forma trapezoidale, una che traccia un pavimento “galleggiante” sul pianoro in cima alla collina e una che definisce un soffitto/tetto piano a sbalzo sul paesaggio sottostante. Qui, in uno strabiliante oggetto strutturale e scultoreo si trova una scala che, con 100 gradini a mensola, collega per direttissima, il molo lineare sul lago.
Immagine apertura: Paolo Monti
Per la propria serenità e vita familiare, Jorn Utzon realizza una casa radicale fatta di pietra, aria e sole a picco sul “oceano” mediterraneo. Cinque unità indipendenti e disassate ma interconnesse, disarticolano un percorso lineare che segue la costa e che va dal luogo più pubblico - una corte porticata aperta sul fronte mare - al luogo più privato - la camera da letto matrimoniale - avendo come snodo un soggiorno chiuso e silenzioso, una sorta di cappella laica di contemplazione nella visione delle immagini della natura, dove “palpebre” architettoniche regalano scorci come quadri nitidi senza cornice. Questi spazi monomaterici e primordiali, in cui le attrezzature principali sono arredi fissi e presenze scultoree, vanno ben oltre il rigore della forma che si integra invece con la fluidità dell’atmosfera luminosa e il movimento dei corpi nel vento.
Immagine apertura: Frans Drewniak
Questa abitazione, parte di un programma di architetture d’autore dedicate alla residenza in un contesto isolato nella natura, è uno dei risultati di una nuova generazione di architetti latino americani che disegnano case archetipiche e spazi da abitare in cui cose minime diventano protagoniste grazie alla massima attenzione sui singoli elementi e alla rinnovata relazione tra arte e architettura. Qui, le espressività della materia e della forma (poche materie tra legno e cemento, e poche forme primarie), nel loro incontro univoco determinano superfici e volumi in cui non si sente il bisogno di riempire gli spazi, lasciando al vuoto la possibilità di esprimere il suo potenziale insieme ai corpi e al paesaggio, da contemplare e che li contiene.
Immagine apertura: Cristobal Palma
La Casa Nascosta è un progetto in divenire che testimonia la volontà di uno dei più originali autori della nuova generazione di architetti latino americani di intendere l’architettura della casa come rifugio primario in cui rinchiudersi per poi riaprirsi ad un’altra dimensione personale e intima ma sempre connessa con l’immensità e la forza della natura inviolata. È un progetto radicale che, non sapendo o non volendo decidere quali siano i confini tra arte e architettura, usa la plasticità delle forme nette - i setti portanti e inclinati - e la fisicità della materia grezza - il cemento armato a vista - per determinare spazi rarefatti che si concentrano sul “sentire” le cose, dall’interno all’intorno.
Questo progetto di abitazioni popolari a basso costo, proposto dal collettivo Elemental con la direzione di Alejandro Aravena, ha voluto promuovere linee guida generali di un modello costruttivo prima ancora che architettonico, per la riqualificazione di un quartiere degradato alla periferia della cittadina cilena, dove decine di famiglie hanno potuto trovare una casa e una comunità ben oltre il rifugio precario di emergenza. La tecnica è stata impiegata con i minimi mezzi per il massimo risultato, garantendo innanzitutto la solidità strutturale e il facile mantenimento dei volumi primari che solitamente le persone comuni non possono realizzare con modalità permanenti. Da questa base comune e ripetuta serialmente, ogni unità ha dato vita ad una edilizia “da completare”, con l’espansione e l’adattamento graduale dei volumi originari, programmaticamente modificabili con interventi di autocostruzione degli abitanti.
Immagine apertura: Sara Maestrello
Alvaro Siza è il miglior rappresentante di quella generazione di architetti che è riuscita a superare il Movimento Moderno, imparandone il metodo - il modo, appunto - e aggiornando continuamente il linguaggio estetico fatto di dinamismo compositivo, realizzato con forme chiare e spazi ordinati. Senza mai risultare retorico o nostalgico, e pur partendo spesso dal vernacolare, il lavoro di Siza è sempre attento al paesaggio, che si integra nei suoi interventi e alla società con i suoi abitanti. Questo speciale progetto residenziale pubblico, il cui processo non fu isolato e durò molti anni, era dedicato all’integrazione delle comunità svantaggiate attraverso i metodi partecipativi tra architetto e cittadini. Il risultato è una schiera in linea di piccoli volumi abitativi su due livelli, con affacci comuni e patii privati, che prova a risolvere con la massima economia e una dose di utopia il problema e l’opportunità della casa popolare.
Immagine apertura: Torchondo
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Tra le tante architetture di Magistretti che sembrano “anonime” - nel senso di quel buon progetto che si integra con la città e appare senza essere appariscente - queste due case, di due tipi distinti ma complementari e realizzate con gli stessi materiali, insieme completano lo stesso isolato urbano e risolvono contemporaneamente la cortina edilizia milanese e la sua storia tradizionale e tipica, fatta di corti, cortili e giardini da scoprire. Sul profilo esterno del lotto, un corpo compatto in linea ospita appartamenti grandi dove i locali di servizio sono rivolti verso la piazza trafficata mentre le camere e il soggiorno sono rivolte verso il verde aperto e illuminato da Sud Ovest. Proprio nel giardino si svolge il secondo episodio di questo progetto, con una torre isolata visibile dalla strada, che offre spazi abitativi sperimentando varie tipologie di appartamenti, dalle più compatte alle più articolate e libere, anche su più piani e ognuna con più affacci aperti e abitabili.
Immagine apertura: Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Una archtitettura che fa scuola, svetta in quella che allora era periferia Nord, dove un corpo residenziale compatto e solido - rivestito del tipico klinker splendente in litoceramica vetriata color caramello - si conclude con un profilo superiore arcuato, poligonale e asimmetrico che segue il massimo volume ottenibile dal regolamento edilizio. Le facciate sorprendono per la libertà compositiva data dalla varietà delle aperture con serramenti a filo facciata (a nastro, angolari, isolati, oscurati con sorprendenti pannelli di vetro nero e con l’eccezione di un doppio bow-window per lo sbarco dell’ascensore interno) e dalla loro disposizione irregolare, che testimonia l'importanza di dare la giusta luce e il giusto affaccio agli ambienti interni che così si caratterizzano verso l’esterno, che è quindi il “semplice” risultato specchiato della vita interna.
Immagine apertura: Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Gli architetti hanno progettato ad ogni scala dimensionale, dal complemento d’arredo alla struttura prefabbricata, passando per l’architettura e gli interni. Questa casa inventata, fatta con tre cilindri di tre livelli sospesi ognuno su un singolo pilastro “a fungo”, riassume le loro ricerche tipologiche e offre un capolavoro in quel “quartiere giardino” limitrofo agli impianti sportivi di San Siro a Milano. Il piano terra è uno spazio aperto continuo e vegetale per le attività comuni, così come la copertura ospita un terrazzo pensile collegato all’attico dell’ultimo piano. I tre volumi indipendenti diventano semi tangenti in un nucleo di servizi centrale e le facciate sono nastri continui liberi che aprono visuali e che si tamponano o si aprono secondo la distribuzione interna voluta da ogni abitante. Al centro di ogni cilindro una colonna strutturale scatolare è permeabile ed abitabile, parte dal capitello della colonna alla base e percorre tutti i piani, irrigidendo il nocciolo e liberando tutto lo spazio circolare a sbalzo.
Immagine apertura: Marco Menghi
Questa abitazione urbana parla dell’idea di Aldo Rossi dell’architettura della città e della sua forma pubblica, che si differenzia da quella “elevata e a misura del privato”. La strada disegna la linearità delle facciate, che rimangono comunque permeabili al piano terra grazie ai portici e ai passaggi che collegano il fronte esterno con quello del giardino interno. Mattoni rossi per i paramenti con alcune righe di elementi gialli che evidenziano gli interpiani, vetro per ampie superfici a serra e serramenti riquadrati e cruciformi verdi e bianchi, ripidi tetti in rame verde e torri come guglie che contengono scale e ascensori, sono gli elementi chiari e riconoscibili del linguaggio rossiano che caratterizzano questo nuovo pezzo di città ricostruita. Dove questa nuova cortina edilizia - che si affacciava sul muro che ancora divideva la città - piega ad angolo, si trova una bianca colonna gigante, astratta-pernondire-metafisica: gesto postmoderno di reinterpretazione della storia, un riferimento urbano per un punto caratterizzante della città.
Immagine apertura: Gunnar Klack
Sottsass si definiva un architetto anche quando disegnava oggetti d’arredo e d’uso, né designer né, tantomeno, artista dunque, ma progettista che si prende cura dello spazio e delle forme utili che i corpi vivono con partecipazione. Le case progettate da Sottsass sono ancora poco indagate ma è proprio qui che si capisce la portata del suo pensiero che va ben oltre l’oggetto e il disegno. Mettendo insieme forme metafisiche primarie piene di energia, salti di scala e una idea di composizione per parti, il suo linguaggio ricco di stimoli cromatici, materici e plastici rimanda a un paesaggio contemporaneo di interni (anche all’aperto, sì) fatti di immagini nitide e stimolanti che rifuggono la negativa distrazione superficiale per offrire una positiva distrazione profonda.
Immagine apertura: Richard Bryant
In questa villa costruita dopo un viaggio di scoperta del Centro America, dei suoi territori e dei suoi artisti, Ponti ha messo tutto sé stesso mettendo in atto tutto il suo modo di pensare architettura, nell’interno e nell’esterno, due ambiti che purtroppo spesso si pensano separati ma che altro non sono che i due lati della stessa “medaglia”, medaglia preziosa che è l’architettura stessa, margine permeabile tra intimità, dentro, fuori e società. Cercando sempre la massima espressione di leggerezza delle architetture moderne, contro l’impressione del peso delle architetture passate, il risultato rispecchia l’idea di un edificio che si appoggia al terreno, e non si radica, come una farfalla leggiadra sul petalo curvo di un fiore profumato. Così sulla cima di una collina che domina la metropoli sottostante e ammira la catena montuosa retrostante, si trova questa abitazione per una famiglia di colti committenti, amanti dell’arte contemporanea e della natura vivente. L’edificio si presenta come un corpo unico poligonale con una copertura “volante” forato da aperture differenziate e impaginate in muri portati, che non chiudono cioè la scatola spaziale ma si piegano e si assottigliano lasciando aperti spiragli (d’ombra di giorno, luminosi di notte) negli spigoli di solito solidi. Dentro è una pura manifestazione ambientale dove “ogni spazio si apre per più lati sull'altro, determinando una serie di mutevoli spettacoli architettonici, composti e integrati gli uni con gli altri, con vedute incrociate, attraversamenti, d’infilata e dall’alto in basso, e viceversa.”
Immagine apertura: Paolo Gasparini
Questo progetto è uno dei risultati di una serie di abitazioni sperimentali - questa la Case Study House Nr.8 - promosse dalla rivista americana Arts & Architecture, per realizzare case tipo, moderne, efficienti ed economiche, per il ripopolamento successivo alla fine della seconda guerra mondiale. Gli Eames proposero un modello che fecero proprio, abitando e lavorando in questa architettura per tutta la vita. Si tratta quindi di una casa-studio, composta da due volumi ortogonali a doppia altezza, allineati e separati da una piccola corte aperta, addossati da un lato al crinale di una collina e affacciati dall’altro su un bosco di eucalipti che si apre sull’oceano. Nella composizione irregolare della natura si inserisce quella “esatta” dell’architettura, fatta di esili strutture di elementi prefabbricati in metallo a vista, chiuse da superfici “impaginate” con pannellature opache colorate e vetrate trasparenti, filtrate da tende, apribili e modulabili per una continuità costante tra esterno ed interno. Se da una parte si riconosce l’esperienza funzionale e tecnica che determina la struttura volumetrica, rigorosa e leggiadra, dall’altra parte si dichiara una visione fantastica di colori e forme libere date, oltre che dagli arredi e dai complementi, dagli oggetti e opere collezionate che completano e rendono vitale l’interno sempre mutevole.
Immagine apertura: Gunnar Klack
Una casa manifesto e autoritratto di un pensatore radicale che si contrapponeva alla ripresa sterile degli stili storici e soprattutto al nascente postmodernismo. Nella vasta periferia borghese ma anonima di Santa Monica, dove abitazioni in stile neocoloniale si susseguono in modo ordinato ed eclettico, proprio partendo da una casa preesistente, Gehry realizza un ampliamento che, nonostante il malcontento del vicinato, abbracciava un nuovo registro linguistico, con una nuova estetica del non finito, secondo il non-stile del cantiere, con un collage di elementi semilavorati che determinano un nuovo involucro per spazi di ingresso, soggiorno e svago. Avvolgendo il vecchio volume abitativo su tre lati, nel nuovo spazio avviene uno scontro-incontro tra vecchio e nuovo, tra solido e precario, tra tradizione anonima e innovazione d’autore. Lamiere, reti, compensato, impianti a vista, pezzi di recupero, strutture non ortogonali, incastri che simulano l’improvvisazione, compongono così, in un modo che venne poi anche chiamato “decostruttivismo”, una nuova architettura come “somma delle parti”, dove l’occhio che intravede prospettive distorte non riesce a cogliere un disegno ordinato d’insieme e dove l’apparente disordine diventa un nuovo linguaggio espressivo che parla di caos e di vitalità tutta da addomesticare.
Immagine apertura: IK's World Trip
Nel periodo in cui il “minimalismo” diventava il nuovo linguaggio comune dopo gli anni ‘80 ricchi di eccessi edonistici, tra iperdecorazione e high-tech, e gli anni ’70 delle ricerche sperimentali e radicali, Lacaton & Vassal interpretano questa iniziale ricerca dell’essenza delle cose, come decrescita serena e consapevole, sia tecnica che estetica, raggiungendo da subito un risultato che farà scuola nei decenni successivi fino al riconoscimento finale attribuito con il Premio Pritzker per l’Architettura. Per una famiglia con due bambini e un budget molto limitato, disegnano una capanna primitiva contemporanea, fatta con una struttura metallica che determina il volume principale, tamponabile con diverse trasparenze modulabili e apribili, e una struttura lignea interna che traccia i locali più protetti. Questa semplice e perfezionata sequenza e stratificazione di strutture ed elementi offre il massimo con il minimo, facendo diventare l’economia insieme all’etica e alla società, uno dei capitoli sempre significativi, ma spesso non considerati, dell’architettura.
Immagine apertura: Philippe Ruault
La casa (di Rem Koolhaas) si inserisce nel contesto di un quartiere residenziale a bassa densità e ricco di vegetazione sul versante di una dolce collina da cui si può ammirare il profilo del centro di Parigi. Il lotto trapezoidale allungato e in pendenza, per garantire una cornice alberata, fa disegnare un impianto articolato e asimmetrico, dove due volumi trasversali sospesi su dei pilotis rivisitati e affastellati, ospitano le zone notte dei genitori e della figlia e sono sfalsati per permettere la vista, con delle tipiche “finestre a nastro”, verso il centro città. Un corpo longitudinale centrale, come una lama strutturale perpendicolare la strada, fa da connessione e contiene il soggiorno comune e vetrato, mentre sul tetto ospita una speciale piscina invisibile dal piano terreno. Il giardino è disegnato da Yves Brunier mentre gli interni sono ridefiniti da Petra Blaisse, in un unicum continuo di struttura, volumi, percorsi, superfici, natura. Sono gli anni di una prima post-postmodernità rivisitata secondo nuovi canoni che contemplano la complessità delle cose.
Immagine apertura: Dimitra Sapanidou
In un lotto gotico lungo e stretto nel centro medievale della città, il progetto di una abitazione pubblica si sviluppa apparentemente sulla ricomposizione di un vuoto in cui la facciata comunica il suo sviluppo interno. Partendo da questo grado di vincolo - che quelli bravi trasformano in grado di libertà - gli architetti adottano provocatoriamente un elemento proprio della strada (il modulo con il disegno sinuoso caratteristico dei tombini urbani) per impaginare un pesante sipario di ghisa che si chiude e si schiude liberamente a libro, per filtrare la luce o proteggere dalla vista esterna. Dentro, gli spazi nudi e longitudinali di dividono in due ambiti intorno a una piccola corte che approfitta di un affaccio su un giardino laterale e diventa un cavedio degradante per offrire la migliore illuminazione interna.
Immagine apertura: Detlef Schobert
Da fuori questa casa mantiene tutte le caratteristiche tipiche del cosiddetto “lotto inglese”, stretto e lungo, che di solito dentro ha vani articolati intorno a cavedi e scale impacchettate. Pawson invece prende possesso di tutto lo spazio, lo svuota e lo ridisegna, svolgendo linearmente una scala minima su un lato, che risulta illuminata da un lucernario zenitale e che aggiunge luce anche agli ingressi degli ambienti di ogni piano. Dopo un ingresso su soggiorno e terrazzo, salendo si giunge a due piani superiori di zona notte e studio, mentre scendendo pochi gradini si scopre un piano inferiore in cui la zona giorno si estende, apparentemente senza soluzione di continuità, verso un piccolo giardino che, vista la continuità degli arredi, si integra e moltiplica lo spazio abitabile tra interno ed esterno.
Una casa per la sorella, che aveva subito un lutto e che per un po’ voleva vivere isolata, in un abbraccio ideale offerto da una forma a U per una abitazione intima, introversa e introspettiva che cercava relazione con il cielo, con la terra e la natura da accudire per rifiorire. L’architettura è qui un ritratto che l’architetto fa del paesaggio interiore della persona che abita la casa, con le funzioni primarie collocate negli spazi lineari e lo spazio curvilineo - e in tensione - lasciato libero di essere abitato dai pensieri e dalle attività quotidiane. Dopo un lungo periodo di elaborazione del lutto la casa è stata demolita volontariamente e consensualmente.
Immagine apertura: OfHouses
La forma circolare è quella che, seppur perfetta nella sua continuità, più fa perdere l’orientamento in un contesto omogeneo o organico come è un bosco, in cui ci si sente immersi nel momento in cui si perde il contatto con i suoi margini. È questa la forma primaria scelta per progettare una casa che, come una sezione ingrandita di un albero - anche lui circolare - con rami che si irradiano dal centro, ospitasse anche uno spazio espositivo per l’arte contemporanea. Intorno a questo “vuoto” eccentrico che allarga lo spazio interno si svolgono le attività comuni mentre l’ingresso, una terrazza, un balcone, un pozzo di luce e una sala da bagno si irradiano e si intrecciano nel contesto vegetale che da fuori abbraccia l’architettura.
Immagine apertura: Shinkenchiku-sha
L’idea tradizionale dell’abitazione compatta si esplode e si espande in una scacchiera urbana dove giocare con i ritmi della vita quotidiana. Qui, con alcune eccezioni alla regola, ogni piccolo volume è uno spazio minimo per ogni singola attività abitativa: la cucina, il soggiorno, lo studio, i bagni, la lavanderia, le camere da letto, sono spazi-funzione isolati uniti da punti di vista o passaggi diretti, in un intreccio integrato di pieni (vani abitabili dall’ipogeo al sopraelevato) e di vuoti (giardini, cortili, sentieri) organici gli uni agli altri. Moriyama San vive in alcuni di questi spazi, mentre gli altri li affitta temporaneamente per rendere sempre reattiva e vibrante la vita di questi alloggi “monoambientali”.
Immagine apertura: Norimichi Kasamatsu
Un modo per reinterpretare la “scatola” architettonica, è sicuramente quello di “giocare” con l’idea del contenuto e del contenitore. In una successione spaziale che vede un nucleo riservato al soggiorno, una cornice destinata alla zona notte e una corona dedicata al giardino, questa abitazione separa e sequenzia le funzioni con una permeabilità astratta fatta di riquadri e ritagli di tre solidi parallelepipedi di cemento armato bianco. Questi gusci determinano un continuo alternarsi di intervalli in una ininterrotta “relazionalità spaziale” tra l’idea del dentro e del fuori, mentre una profondità tridimensionale si chiude o si apre filtrata dalle aperture rettangolari ricavate nei contenitori e mai allineate, ma nei cui scorci si intravede l’interno, o dai quali si intromette l’esterno.
Immagine apertura: Eduardo Pintos
Di norma si collega l’idea di muro alla divisione, alla separazione e all’isolamento. Per questa architettura il muro invece è anche condivisione. La struttura portante di questa architettura residenziale per due famiglie è un “semplice” muro centrale, possente e serpeggiante. Questo determina un’alternanza di spazi concavi i quali, dall’altra parte, corrispondono ovviamente a spazi convessi. Al tempo stesso permette ai solai di librarsi senza ostacoli verso il paesaggio. La distribuzione è verticale e avviene con tre rampe di scale leggere che seguono l’andamento spezzato della linea poligonale e conducono ai tre piani. Lì si trovano le funzioni abitative con ingresso e studio al piano terra, la zona giorno e pranzo nel mezzo e le camere da letto in cima. Il muro spesso in cemento armato a vista non permette trasparenze e contiene anche tutti gli impianti necessari, mentre l’involucro esterno di questo volume sfaccettato con pianta esagonale irregolare è totalmente trasparente, oscurabile solo dalla candida leggerezza di tendaggi perimetrici.
Immagine apertura: Walter Mair
Vivere in una caverna contemporanea è un’occasione che riporta l’essere umano a contatto con le attività primarie della vita, del suo scorrere nel tempo relativo e dell’abitare nelle sue forme più semplici e dirette. Questa casa (di Aires Mateus) semi-ipogea si colloca ai margini di un nuovo lago artificiale che ha sommerso alcuni avvallamenti e sta lentamente cambiando le condizioni ambientali di una regione in cui caldo e aridità determinano una caratteristica vegetazione. Da fuori è quasi invisibile, mentre al suo interno gli spazi dalle forme pure si aggregano intorno a una cupola netta, semi aperta verso il paesaggio e sotto la quale mirare le nuove anse acquatiche che sono naturalmente luogo di nuova vita.
Immagine apertura: Aires Mateus
Un recinto primordiale isola e livella un’oasi interna dal paesaggio rurale, naturale e collinare. Alti muri di bordo in cemento a vista pigmentato di un rosso roccioso, hanno minime aperture e svettano liberi come una scatola aperta, piegandosi per ombreggiare pertinenze d’abitare. Dentro, un hortus conclusus con essenze vegetali e una vasca acquatica lineare, su cui si affaccia una dimora che gravita intorno a un soggiorno e uno studio. Questi spazi sono circumnavigati da un corridoio semicircolare ombroso e continuo, che conduce alle tre stanze da notte, ognuna con patio indipendente. Ogni camera riceve luce da aperture zenitali, inscritte in ellissi di dimensione diversa, ma allineate su un orientamento unico lungo il quale orbitano le proiezioni solari di questi spazi aperti protetti.
Immagine apertura: Valerio Olgiati / Archivio Olgiati
Ogni progetto residenziale per questo studio è una ricerca su un tema architettonico, affrontata inventandosi gli strumenti di indagine della stratificazione degli spazi domestici e di conseguenza con un nuovo linguaggio per ogni nuovo messaggio tecnico ed estetico. L’intenzione è quella di liberarsi da metodi precostituiti con l’ambizione di costruire ogni volta un contesto e non solo di partire da esso. Questa è una casa in un bosco, ed è contemporaneamente un bosco in una casa. Grazie a una planimetria circolare fatta di linee spezzate, una sequenza di stanze con doppio affaccio trasparente si rincorre e si rincontra dopo un giro, creando un “interno aperto” e, ribaltando il significato del suo contrario, un “esterno concluso” dato dal bosco – l’elemento esistente in natura più simile all’architettura - nel quale l’edificio è immerso.
Immagine apertura: Filip Dujardin
Nel giardino stretto e lungo di una piccola casetta verticale esistente su strada (che rimane come spazio per gli ospiti), una nuova idea di casa orizzontale si svolge con quattro spazi identici in linea, caratterizzati da usi (e costumi) diversi: un cortile, una piscina con servizi, un soggiorno con letto, cucina e tavolo, e un giardino. Sopra gli spazi centrali, una copertura scorrevole a falde trasparenti apre e chiude gli ambienti per la vita estiva e invernale e la sequenza delle singole funzioni, fatte con pareti mobili, attrezzature e accessori, non si limita all’existenzminimum ma invita all’uso diretto e consapevole di tutto, anche se poco, quello che serve davvero.
Immagine apertura: Bas Princen