Il mondo di Guerre Stellari non ha uno stile architettonico unico perché non esiste un solo mondo di Guerre Stellari. La sua vocazione è raccontare una galassia ampia e quindi mondi diversi. Differenti per creazione (le diverse trilogie) e differenti per locazione (i vari pianeti ognuno con una sua storia, un suo clima e una sua civiltà che lo abita). In ogni caso è a tutti gli effetti lo sforzo più grande che il cinema abbia mai fatto di costruire un proprio universo a partire dal design e non dalla trama. Una visione di un futuro remotissimo delle città, delle periferie, dei villaggi e di quelle che sono propaggini di diverse zone del nostro di mondo. È importante infatti tenere a mente che non solo il nostro pianeta è l’unico che conosciamo davvero, quindi l’ispirazione per ogni cosa, ma anche che un film come Guerre Stellari viene girato nel nostro mondo. Non è un film d’animazione né un film come Avatar (fatto di set virtuali), ma uno in cui gli attori devono trovarsi su veri luoghi di ripresa. Le location quindi non possono che essere deserti, foreste, città e tutto quello che si trova sulla Terra ma che, a tratti, non riconosciamo come tale.
L’architettura di Star Wars
Un tuffo nel design dell’universo di fantasia forse più ambizioso di sempre, indistricabilmente legato alla nostra realtà, con molte ispirazioni brutaliste, un po’ di spaghetti western e una figura chiave, quella di Ralph McQuarrie.
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- Gabriele Niola
- 04 maggio 2021
Il ruolo di Ralph McQuarrie
A partire da questo il lavoro fatto per differenziare i pianeti è stato da subito molto figlio dell’architettura, cioè di come gli esseri che li abitano hanno edificato e organizzato la vita sociale. L’obiettivo di Lucas era quello di dare personalità al racconto, differenziare il film da tutti gli altri come era riuscito con successo in THX 1138 (la cui fortuna era stata soprattutto di design), il risultato andò molto al di là delle intenzioni quanto a capacità di influire sul vero design del nostro mondo e sulla capacità del cinema di immaginare il fantastico a partire da progetti che fossero prima di tutto funzionali, sia per i palazzi che per i mezzi o per le divise. E il merito è sostanzialmente di Ralph McQuarrie.
Guerre Stellari è infatti uno dei pochi casi nella storia del cinema di un film che è stato scritto assieme a un designer, Ralph McQuarrie per l’appunto.
Guerre Stellari è infatti uno dei pochi casi nella storia del cinema di un film che è stato scritto assieme ad un designer, Ralph McQuarrie per l’appunto. Lucas doveva convincere la 20th Century Fox a dargli un budget per la sua idea e per agevolare la decisione pensò di partire dalle illustrazioni invece che dalla trama (ancora da scriversi in forma definitiva), di fargli subito vedere quel mondo come sarebbe venuto prima di avere una storia propriamente detta. McQuarrie entrò in scena quindi immediatamente e, dopo che Guerre Stellari fu approvato, continuò ad avere un ruolo cruciale nel dar forma a quel mondo, influenzandone la trama. Per Lucas il design non era solo una questione di stile ma un modo per suggerire un mondo più grande di quello che pensava sarebbe stato un film solo.
Da Tatooine a Rem Koolhaas
Il primo incontro con l’architettura che dominerà la trilogia originale di Guerre Stellari è il gigantesco mezzo in cui si imbatte Luke e dal quale recupera i droidi. Un mezzo che sembra un camion della spazzatura sviluppato in altezza ed un esempio perfetto di quello che il film metterà in scena da lì in poi, cioè il brutalismo applicato alla fantascienza. Non a caso è bastato trasformare solo di poco quel mezzo nel 1998 per farlo diventare diventata la casa della musica di Rem Koolhaas a Oporto o ancora la sede della Lucasfilm a Singapore.
Il brutalismo in sé è la corrente cui la prima trilogia si ispira di più per tutto quello che non sono i palazzi reali e religiosi (che pure un po’ ne rimangono contaminati). Tatooine, il pianeta desertico in cui vive Luke Skywalker, è un trionfo di brutalismo che prende ispirazione dalla Tunisia dove effettivamente sono state girate quelle parti. Gli igloo in cui vive la famiglia che ha adottato Skywalker, al pari di Mos Eisley dove incontiamo Han Solo, sono infatti installazioni brutaliste che simulano i granai di Ksar Ouled Soltane. C’è tutta della tecnologia arrugginita ad adornarlo ovviamente ma l’ispirazione è quella.
E se per gli interni delle navi spaziali, specialmente della Morte Nera, sono le superfici riflettenti ultralisce di 2001: Odissea nello spazio ad aver fatto da ispirazione (e non è un caso, Lucas aveva assunto tra i designer Colin Cantwell che aveva lavorato a quel film), quella forma tonda così perfetta con un’ansa in cima, è essa stessa un’idea brutalista che mette in primo piano i materiali. Si presenta come un blocco unico, un masso che vaga nello spazio che finge di essere un pianeta ed è animato come se fosse una città. È quasi più bella nella sua seconda versione (non ancora terminata) che nella prima, quella completa. Non è un caso che la semplicità geometrica del suo design sferico la renda subito memorabile perché è molto vicina alla direzione in cui le nostre architetture stavano andando in quegli anni. Così tanto da aver poi ispirato il progetto del Rak Convention Center di Adam Marcus.
Il bello, il brutto, l’Impero
In quella prima fase preparatoria del film, fatta di bozzetti e illustrazioni, McQuarrie aveva di fatto creato tutto il look del film e una volta partita la produzione bisognava solo metterlo in scena. Lì interviene un’idea di Lucas che all’epoca fu una rivoluzione anche maggiore della prominenza del design nella fase di preparazione: il fatto che tutto apparisse usato, che i palazzi fossero rovinati e le uniformi lise (tutte tranne quelle dell’Impero). Lo aveva rubato a Leone che si era inventato il West sudato, sporco e liso, solo che applicato alla fantascienza creava un mondo vissuto, sembrava quasi che avessero girato lì nei veri ambienti della galassia. Un senso di realismo fortissimo in un film che era totalmente irreale, creò un matrimonio strano e particolare tra quelle inquadrature ravvicinate di caschi mezzi rotti o scacchiere rovinate, tecnologie che funzionano e non funzionano e poi i totali grandiosi. Le vedute e le costruzioni, come anche la fantastica città nel cielo del pianeta Bespin che si vede ne L’impero colpisce ancora.
L’ispirazione per quella metropoli era la Chemosphere House di John Lautner costruita vent’anni prima. Il film porta quell’idea alle estreme conseguenze e ci aggiunge un twist vagamente bizantino (che è l’idea di design dietro molti degli edifici non minacciosi della prima trilogia). Qui si ritrova un tema tipico della costruzione edilizia di fantascienza, ovvero la progettazione in verticale. Anche se quella gestita da Lando Calrissian è una città che si sviluppa in orizzontale (con un diametro di 16 Km!), in realtà in basso si trovano le parti meccaniche e in alto i quartieri residenziali che godono del lavoro fatto sotto di loro (come insegnava Metropolis e come avrebbe ripetuto Blade Runner, differenziando molto bene il design di ciò che sta in alto con quello del livello strada). L’impero colpisce ancora contiene inoltre un’altra grande idea di architettura: la base dentro ai ghiacci sul pianeta Hoth. La si vede all’inizio del film ed è un rifugio completo di tutto, dall’hangar, agli uffici. Tutto scavato nella neve, in perfetta armonia con un ambiente che non può essere piegato ma soltanto abbracciato. Nasconde e serve da riparo come si vede nella sezione.
Nel Ritorno dello Jedi infine c’è l’ultimo pezzo da 90 di architettura di Guerre Stellari, il palazzo di Jabba The Hutt. Immaginato come un tempio, con architetture tonde brutaliste che si fondono con ispirazioni bizantine (come la basilica di Santa Sofia o la Moschea Blu di Istanbul) ha un fascino incredibile e parla di mondi lontani ed esotici. La sala principale dove si trova Jabba ha un eccezionale ingresso ampio in curva, mentre i saloni non sono molto ampi, come invece si potrebbe immaginare vista la megalomania del proprietario. Sembra un pezzo di design industriale (C3PO dice che somiglia più a una fonderia che altro) recuperato e poi adattato ad altri usi, ma la sua bellezza è senza tempo. Curiosamente solo pochi anni prima era terminata la costruzione dell’osservatorio metereologico di Śnieżka in Polonia che lo ricorda tantissimo.
Tra New York e Singapore, con un po’ di Blade Runner
Contrariamente a quel che si può immaginare la seconda trilogia non ha fatto passi indietro rispetto alla prima. Anzi. L’esigenza di lavorare su un universo espanso porta Lucas a mostrare il mondo antecedente a quello degli eventi già raccontati come più brulicante, denso e complesso. Ogni ambiente deve fornire l’impressione di poter ospitare più storie di quella che vediamo, se non di avere una propria storia dietro di sé. E proprio proseguendo nell’idea di un design netto e funzionale per ogni pianeta, uno che suggerisca non solo l’unicità di quel luogo ma anche come quelle strutture possano consentire e organizzare la vita in quei luoghi, nasce la città dei Gunga (la razza di Jar Jar Binks) tutta Art Nouveau e nasce soprattutto Coruscant. Coruscant è la capitale della vecchia Repubblica, pescata direttamente dal concetto di Ecumenopoli dalle idee dell’urbanista greco Constantinos Apostolou Doxiadis: un’unica città grande quanto un intero pianeta, il risultato di secoli di urbanizzazione selvaggia e unione di megalopoli. Il centro più vitale possibile. Coruscant ovviamente somiglia alle nostre metropoli più affollate, unendo il classico skyline di New York con quello più moderno di Kuala Lumpur o Singapore, è fatta a strati, la si solca con mezzi volanti ed è così densamente abitata che praticamente mai ci viene fatto vedere il livello strada. Vediamo sempre le vedute. Echi di civiltà occidentali con guglie altissime che sembrano minareti.
Essendo la capitale, Coruscant ospita palazzi eccezionali. Il primo è il tempio Jedi, immaginato come una piramide maya con guglie sulla cima. Senza dubbio influenzato da quel che Syd Mead aveva fatto per la Los Angeles di Blade Runner e le sue piramidi (i primi disegni di McQuarrie sono inequivocabili), si spinge un passo più in là di quel design. La sua dimensione è nettamente superiore a quella delle altre costruzioni intorno a lui; alto un chilometro, è pensato come una roccaforte anche se è un luogo di culto, unendo la necessità di difendersi all’idea di formazione di una generazione di Jedi nell’arte del combattimento. C’è l’accoglienza e la grandezza di un edificio quasi scolastico, la magnificenza delle grandi moschee ed il senso di fortezza. Come sempre poi nell’organizzazione degli spazi di Guerre Stellari, le zone cruciali sono decentrate, in questo caso le torri. Il design, fin dalla prima trilogia, prevede che in qualsiasi struttura ciò che conta non stia mai nel corpo principale di veicoli o edifici, tantomeno in quella più grande (si pensi all’abitacolo da cui si pilota il Millennium Falcon, spostato di lato) e anche qui è in cima alle torri che si svolgono le scene cruciali.
Coruscant infine è anche la sede del senato, una struttura che oggi può ricordare il Louvre di Abu Dhabi e che all’interno ha la gigantesca camera in cui tutte le popolazioni della galassia hanno un seggio. 1024 posti a sedere fluttuanti, tutti del medesimo tipo a simboleggiare anche visivamente l’uguaglianza. Al centro un podio altissimo su cui siede il cancelliere supremo. Il colpo d’occhio è pazzesco e rende l’idea di cosa possa essere una repubblica galattica. Qualcosa tra il bulbo di un fiore e un accumulatore di energia solare.
Di minor impatto visivo, ma di grande impatto narrativo, è poi la raffineria di plasma di Naboo, dove alla fine di La minaccia fantasma Qui Gon Jinn e Obi Wan Kenobi combattono Darth Maul. È un luogo di lavoro e non di vita, è fatto di macchinari e di un sistema di compressione che crea i compartimenti a chiusura automatica che servono per animare il combattimento. Soprattutto, come spessissimo capita in Guerre Stellari, è una raffineria che estrae plasma dal centro del pianeta quindi ha dei precipizi dove qualunque cosa cada si perde per sempre. Perché in Guerre Stellari quando qualcosa finisce, una mano, un imperatore o una vittima, cade sempre giù fino a scomparire.
E nonostante Lucas non abbia avuto nulla a che fare con la terza trilogia, anche lì poi si ritroveranno molte di queste sue ossessioni di design.
Quando il design viene prima di tutto
Ogni elemento di questo futuro fantasy deve suggerire una storia dietro, e questo vale anche per il singolo design dei mezzi, come lo speeder con cui Luke Skywalker si muove su Tatooine, una decappottabile scassatissima che sembra avere 100 anni. Di nuovo anche qui i concept di Ralph McQuarrie sono molto chiari, mettono insieme l’esigenza di rappresentare le macchine come animali, specie per i mezzi dell’Impero che si vedono nella prima trilogia (somigliano ad elefanti, galline o nel caso dei Tie Fighter insettoni) con un’idea funzionale. I suoi disegni sembrano più modelli per far entrare l’oggetto in produzione che concept di qualcosa che nessuno costruirà mai. Le tuniche dei funzionari dell’impero viaggiano tra Moebius ed il Vaticano mentre la visione originale di Darth Vader, con la maschera che rivela in maniera più diretta la sua ispirazione da respiratore, rivela che in una prima bozza gli sarebbe dovuta servire a poter sopravvivere nello spazio.
Non venendo dopo la sceneggiatura ma prima, i bozzetti e i progetti di Guerre Stellari rivelano la vera natura di tante idee, poi modificate e passate attraverso i doveri dello storytelling, ma immaginate per prima cosa per evocare. E questo ha fatto la trilogia da sempre, evocare qualcosa di altro: un mondo pieno di possibilità.
Immagine di apertura: Had Abbadon di Ralph McQuarrie. Credit: Abrams Books e Lucasfilm Ltd. & TM. All Rights Reserved