C’è davvero, nell’architettura contemporanea tedesca, una tendenza a realizzare delle tipiche German birdcages? La cosa è certo più complessa di quanto si ritenga comunemente. Per dirla in modo meno capzioso: si sarebbe imposta una tendenza a omogenizzare, a imporre una struttura ripetitiva alle facciate degli edifici rispetto a una differenzazione ed eterogeneità dei corpi di fabbrica e del loro rapporto con l’ambiente urbano?
A Berlino, nel mese di febbraio, l’inaugurazione ufficiale del Bundesnachrichtendienst (BND), ossia la sede centrale dei Servizi segreti federali tedeschi, ha costituito un’occasione memorabile per ripercorrere la storia dell’architettura berlinese. Il complesso, progettato da Jan Kleihues, fa pensare alla rinascita di un Classicismo prussiano che negli anni Trenta sfociò nelle progettazioni di Albert Speer per la Welthauptstadt Germania (Germania capitale del mondo), rigurgitante potenza, con la Cancelleria di Hitler quale coronamento della megalomania nazista. Ora, la monumentale costruzione di Kleihues, coi i suoi 260.000 m2 coperti, si avvicina senza sforzo alle dimensioni del Pentagono e, con le sue 14.000 finestre-feritoia che si ripe- tono senza fine, provoca addirittura le vertigini a chi si trovi a passare sulla Chausseestrasse nel distretto Mitte di Berlino. Forse si tratta di un effetto intenzionale, in modo che a nessuno venga in mente di avvicinarsi più di tanto a questa roccaforte di calcestruzzo. I contrappesi simbolici, evidenti soprattutto nella struttura esterna, restano comunque nient’altro che interventi cosmetici: quello che predomina è il suo carattere di fortezza che si erge nel centro della città di fronte a un insediamento piuttosto frammentato di locali residenziali e commerciali.
La centrale dei Servizi segreti, ospitata in precedenza a Pullach, un sobborgo di Monaco di Baviera, esibisce ora tutta la sua potenza nel centro della capitale tedesca grazie a una struttura in beton lunga circa 300 m per nove piani di altezza e con una monotona facciata a griglia. Non è comunque necessario volgere lo sguardo indietro fino agli anni del Terzo Reich, e al carattere rappresentativo dell’asse Nord-Sud progettato da Albert Speer e Wilhelm Kreis: è sufficiente ricordarsi dei progetti per la Berlino riunificata dopo il 1989, quando il padre di Jan Kleihues, Josef Paul Kleihues, si fece interprete del dogma dominante di una “ricostruzione critica”.
Lo storico dell’arte e dell’architettura Heinrich Klotz, che fu personalmente attivo come perito nel concorso per Potsdamer Platz, nel 1994 criticò soprattutto Hans Kollhoff, che all’epoca presentò il suo progetto per l’edificazione a blocchi perimetrali di Potsdamer Platz usando come modello per la rinascita dell’“isolato berlinese” il Palazzo dell’Amministrazione del gruppo editoriale Scherl (1927) realizzato da Otto Kohtz , un edificio caratterizzato da una ripetitiva articolazione seriale di facciate e piani attici sfalsati. A suo tempo, il progetto di Kollhoff non fu realizzato e gli fu preferito l’edificio Sony di Renzo Piano; tuttavia il messaggio architettonico che ne trapelava apertamente, e che non rimase senza conseguenze, tendeva a superare, pur conservandola , la multiformità degli isolati parcellizzati. La critica pungente di Heinrich Klotz culminò nell’accusa secondo cui Kollhoff si “avvicinerebbe al cosiddetto Classicismo prussiano” e tradirebbe “riecheggiamenti dell’architettura fascista”. Nel complesso Klotz, che era direttore e fondatore del Deutsches Architekturmuseum di Francoforte, riteneva che nella nuova tendenza architettonica che si stava diffondendo a Berlino si potesse individuare un “nuovo rigorismo”.
Anche nel progetto di concorso di Kollhoff per la riprogettazione dell’Alexanderplatz, che proponeva una griglia di base omogenea con l’unica variazione costituita da alcune torri, la critica di rigorismo non è del tutto fuori luogo. Anche se queste visioni della “città normale” (come si dice nel bando per il concorso di progettazione urbana Luisenstadt/Heinrich-Heine-Strasse) non furono realizzate, è inevitabile che esse abbiano influenzato un’intera generazione di architetti. Le Leibniz-Kolonnaden di Kollhoff (2000) nella Walter-Benjamin-Platz fanno risorgere le immagini di una Berlino passata, l’Europäisches Haus (1999) a Pariser Platz rende omaggio al modello di una struttura uniforme della facciata con serie ripetitive di finestre. E anche la Delbrück-Haus (2003) di Potsdamer Platz, nonostante le discontinuità volumetriche e la pronunciata articolazione del corpo dell’edificio, non fa nulla per nascondere l’influsso della Città analoga di Aldo Rossi, un principio ordinativo urbanistico di carattere globale.
La domanda è dunque se l’architettura tedesca attuale sia determinata più dalla complessità e dalla molteplicità, da sviluppi sperimentali e innovativi, che non da forme monotone, posture rappresentative ed esibizioni di potenza. Se si considera – quand’anche da un punto di vista arbitrario – ciò che negli ultimi anni si è affermata come la media dell’architettura tedesca di alto livello, la preoccupazione per lo standard qualitativo dominante non può che apparire altamente problematica. L’architettura high-tech, diligentemente sfruttata in tutte le sue potenzialità, produce oggi en masse modelli inconsistenti di una città futuristica come, a Düsseldorf, il Vodafone Campus di HPP, oppure opere pretenziose, totalmente prive d’ispirazione come il LeibnizInstitut für Astrophysik di Potsdam (BHBVT, 2010), con quella noiosa articolazione seriale di facciate. Un tempo, almeno, lo stesso studio di architettura, che allora si chiamava Busmann + Haberer, progettava il Museo Ludwig di Colonia (1976).
La domanda è dunque se l’architettura tedesca attuale sia determinata più dalla complessità e dalla molteplicità, da sviluppi sperimentali e innovativi, che non da forme monotone
Werner Sewing alluse tempo fa al fatto che il razionalista Oswald Mathias Ungers, dopo aver abbandonato nel 1967 Berlino sconvolta dai moti studenteschi ed essersi trasferito a New York e alla Cornell University, avesse lasciato il campo urbanistico ai suoi collaboratori Hans Kollhoff, Jürgen Sawade, Christoph Mäckler e Max Dudler. L’insegnamento architettonico di Ungers, così come il suo rigoroso controllo del progetto dallo schizzo originario fino ai dettagli apparentemente insignificanti – tradotti addirittura in modelli archetipici nelle sue case private Haus II (1988), nell’Eifel, e Haus III (1996), a Colonia Müngersdorf – ha esercitato un’influenza predominante su numerosi giovani architetti negli anni Novanta. Ciò appare evidente nel Bundesarbeitsgericht (Tribunale federale del lavoro) di Erfurt (1999) realizzato dall’ex collaboratrice di Kollhoff Gesine Weinmiller, per quanto sia stata attenta a bilanciare la severità del corpo dell’edificio ortogonale e la compatta struttura a griglia con un leggero spostamento delle aperture delle finestre.
Anche Max Dudler non ha mai adottato acriticamente l’eredità razionalistica di Ungers. All’architetto svizzero, infatti, non interessa un’armonia formale ininterrotta, ma un gioco di variazioni che conduce la struttura della facciata, la disposizione delle finestre e il corpo dell’edificio nell’atmosfera di una tensione reciproca. Nel complesso residenziale a tre piani Lindenhof (2018), nel quartiere berlinese di Lichtenberg, Dudler ha ottenuto questa tensione soprattutto attraverso una disposizione differenziata delle finestre e dei balconi. Anche la Diözesanbibliothek (Biblioteca Diocesana) di Münster (2005), fortemente caratterizzata dalle forme ortogonali, vive della relazione atmosferica ambientale con la medievale Liebfrauenkirche situata nelle vicinanze. In questo modo, Dudler riesce a sciogliere l’invarianza dello schema ordinativo di Ungers senza rischiare strappi troppo bruschi.
Diverso è il caso dell’edificio del Bundesnachrichtendienst di Jan Kleihues. L’edificio monumentale è completamente isolato dall’ambiente urbano nella struttura a blocchi che predomina. Questa interdizione al contatto è il segnale che la nuova Centrale invia al mondo esterno. Ormai il complesso viene percepito come una città nella città. Jan Kleihues, infatti, ha riunito in questo edificio megalomane tutti i dipartimenti una volta dispersi e ha fatto risorgere il centro del potere dei servizi segreti proprio nel cuore di Berlino, vicino a quello che fu una volta il centro di potere del governo nazista, nella Wilhelmstrasse. Questo, naturalmente, è tutto tranne che un segnale politico neutrale.
Klaus Englert (1955), critico di architettura, scrive per la Frankfurter Allgemeine Zeitung e per trasmissioni radiofoniche tedesche, svizzere e austriache. A maggio 2019 uscirà la sua ultima pubblicazione Wie wir wohnen werden. Die Entwicklung der Wohnung und die Architektur von morgen, Reclam, Philipp, jun. GmbH, Verlag, Ditzingen.