Matteo Thun & Partners è uno degli studi milanesi più dinamici all’estero. Con almeno sei grandi progetti in fase di completamento e molti altri già avviati, Thun progetta edifici che promuovono l’idea dell’eye-touching, il “toccare con lo sguardo”, puntando alle qualità materiche e al valore della precisione. Per lo studio il futuro si apre agli ospedali, intesi come luoghi gratificanti e accoglienti.
Matteo Thun. L’estetica della precisione ha un suo valore
L’architetto milanese ci parla dei nuovi hotel-villaggio, della hospitecture e dell’eredità di Ettore Sottsass.
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- Marianna Guernieri
- 21 giugno 2018
- Milano
Molti dei tuoi progetti abbracciano il concetto di ‘village’. Da dove nasce?
Nasce dall’idea che qualsiasi manufatto – industriale o per il tempo libero, hotel o ospedale – debba avere volumi il più articolati possibile, che siano poco invadenti sul paesaggio urbano o extraurbano. A breve inaugureremo la sede della Davines a Parma, lungo l’autostrada Milano-Bologna. Anziché una scatola di cemento come se ne vedono tante, si tratta di un vero e proprio villaggio, dove l’articolazione in piccoli volumi lo rende meno impattante sul paesaggio.
Come interagiscono le persone dentro questi villaggi? C’è qualcosa di nuovo?
Certamente, perché è il contrario del ‘big space’: sono spazi che creano identità, spazi che hanno un nome, spazi che hanno una loro presenza affettiva. Nei volumi singoli di un villaggio traggono beneficio anche i rapporti umani.
Il legno è ancora il materiale simbolo dell’architettura sostenibile? Ci sono altri materiali che state prendendo in esame in studio? Pensiamo alla terra pressata, l’argilla, la paglia.
Sulla sostenibilità del legno e i vantaggi del legno si è detto tutto, e credo che sarebbe borioso parlarne ancora. Il legno, così come tutti gli altri – lei stessa cita l’argilla, la terra pressata – sono tutti materiali che generano sensorialità. Sensorialità vuol dire generare una voglia di toccare: eye touch. Questo non significa altro che voler toccare con gli occhi.
I vostri lavori sono connotati da una certa “morbidezza”, aggettivo da lei usato anche in passato per descrivere alcune realizzazioni, pensiamo al rivestimento del quartier generale Hugo Boss a Coldrerio o al progetto Pergola di Merano.
La morbidezza ha molto a che fare con la qualità della superficie e, nel caso del legno e dei materiali naturali, genera patina. La patina creata dal cemento non è proprio quella che sto cercando. I miei maestri erano i maestri del cemento, e devo dire che il tempo si è evoluto in un’altra direzione.
La casa prefabbricata “O sole mio” fu progettata nel 1990. Qual è il vostro rapporto con il prefabbricato?
Ovviamente noi lo usiamo soprattutto con il legno. Qual è il vantaggio a prescindere dalle qualità estetiche? I tempi di costruzione mediamente si dimezzano rispetto alle tecniche tradizionali di costruzione con cemento o acciaio. Questo perché si prepara tutto in fabbrica: i tempi di progettazione sono più lunghi ma la produzione è molto più precisa che non in cantiere. L’estetica della precisione ha un suo valore.
Sensorialità vuol dire generare una voglia di toccare: ‘eye touch’. Questo non significa altro che voler toccare con gli occhi.
In Italia siamo restii ad usare il prefabbricato leggero, penso ad esempi come l’Aquila, o altre situazioni di emergenza dove si è optato per il cemento...
Su L’Aquila penso che sia stato uno dei più grandi disastri. Dopo il terremoto stesso il secondo disastro è stato l’aver precostruito, fuori città, case per persone che non hanno mai accettato di andare a vivere là. È stato un errore strategico e politico sotto tutti i punti di vista. Più che il terremoto, la vera tragedia è stata il dopo terremoto.
Si dice che i ricchi siano sempre più ricchi. Visto che progettate anche edifici “luxury”, come sta cambiando il mondo del lusso?
Se è vero che tutte le sue domande sono molto pertinenti e interessanti e giuste, la sua valutazione sul lusso è purtroppo sbagliata. Noi non abbiamo a che fare col lusso, lavoriamo costantemente sotto a una pressione di ingegnerizzazione dei costi di quello che facciamo, che sia architettura o design. Il lusso è un’altra categoria servita da altri colleghi.
Rappresentate uno dei grandi studi di architettura italiani che lavorano su scala internazionale. Quali sono i vantaggi e le difficoltà del trovarsi in Italia e lavorare per il mondo?
Essere a Milano è fenomenale perché in primo luogo sfruttiamo la stupenda tradizione dei nostri maestri che lavoravano dal cucchiaio alla città, quindi l’approccio olistico di fare architettura, interior, design e comunicazione dalla stessa bottega. È una tradizione della cosiddetta scuola milanese. Il secondo vantaggio è che i giovani vengono molto volentieri a lavorare in Italia, soprattutto a Milano.
Anche gli architetti?
Per gli architetti è un po’ più difficile però approfittiamo del Brexit. Tanti italiani molto bravi che hanno passato gli ultimi 10-15 anni in Inghilterra o negli Stati Uniti per le note vicissitudini politiche stanno in buona parte rientrando in Italia.
Progettate ospedali, hotel e centri wellness. Come dialogano tra loro queste tre tipologie? Che faccia avrà l’ospedale del futuro?
Alla Biennale abbiamo organizzato la conferenza “Hospitecture”. Se è vero che hospes è il termine latino di ospite, è anche vero che hospitality e hospital nel loro significato sono assolutamente la stessa cosa. Dopo vent’anni che facciamo hotel in giro per il mondo ci hanno chiamati per fare ospedali con la stessa logica con la quale facciamo hotel, e siamo molto contenti di questo sviluppo perché è anche un impegno etico. Il paziente che va in ospedale oggi, domani si chiamerà ospite… Negli ospedali che stiamo costruendo, applichiamo la logica dell’albergo, dell’ospite benvenuto, del gratificarlo con tutto quello che l’ospedale negli ultimi 50 anni ha un po’ perso, e non si capisce bene perché.
Negli ospedali che stiamo costruendo, applichiamo la logica dell’albergo, dell’ospite benvenuto, del gratificarlo con tutto quello che l’ospedale negli ultimi 50 anni ha un po’ perso, e non si capisce bene perché
Da dove nasce il vostro amore per gli hotel?
L’hotel è un campo affascinante per chi opera nella scuola milanese “dal cucchiaio alla città” perché nell’hotel puoi disegnare il cucchiaio, devi disegnare l’interior, la luce e l’architettura stessa. È un gioco affascinante dove non si perdona niente perché se sei responsabile di tutto, ti prendi un impegno a tutto tondo. Il concetto dal cucchiaio alla città nell’ambito alberghiero si può esplicare al meglio.
Come ha influito nella tua vita l’essere stato tra i fondatori di Memphis?
Più che di un’eredità Memphis parliamo di un’eredità Sottsass. Ha insegnato a noi tutti di rischiare e innovare, di non essere nostalgici. Poi la grande lezione di Sottsass è stata di fare le cose il più semplice possibile. Questo è difficilissimo perché l’inganno è che la semplicità diventi semplicismo. Copiare Sottsass è impossibile, così come tutti i grandi geni non si possono copiare, però si può tentare di seguire il loro percorso.
Quali sono i prossimi progetti di architettura in fase di completamento?
In questi mesi apre la sede di Davines a Parma, sta aprendo un nuovo villaggio a Jesolo-Cavallino, apriamo a Porto Cervo delle strutture sulla spiaggia, inaugurerà tra poco un hotel all’aeroporto di Stoccarda, un altro city hotel a Basilea, a Natale un city hotel alla stazione centrale di Francoforte e in primavera apriamo il nostro primo ospedale. Ci sono altri progetti in corso ovviamente...
Com’è andato il Salone del Mobile?
Penso che sia andato bene. Forse sono critico sulla produzione di cose che con un ritmo di dodici mesi non possono offrire innovazione. Così come a Venezia si fa la Biennale, o a Milano si fa la Triennale, proporrei di seguire questa strada anche per il Salone.
Un suggerimento per i nostri lettori?
Di abbonarsi al nuovo format di Domus che mi piace moltissimo.