L’anno scorso, alla 56. Biennale di Venezia, l’artista svizzero Christoph Büchel allestì per il padiglione dell’Islanda una moschea, poi chiusa dal Comune e dalla Prefettura. Benché le ragioni addotte per il provvedimento fossero parecchie, compresa la motivazione che lo spazio non possedeva l’agibilità per un gran numero di visitatori, le reazioni dei media e quelle generali attribuirono il gesto alla paura dell’Islam e delle pratiche religiose musulmane. L’ostilità alle moschee è stata l’evidente motivazione di numerose controversie che negli ultimi cinque anni hanno ottenuto l’attenzione dei media.
Architecture of Faith
Da dieci anni, Hakan Elevli e Glenn Murcutt lavorano insieme al progetto dell’Australian Islamic Centre. Mentre il cantiere dell’edificio procede, una mostra alla National Gallery of Victoria racconta la storia della più grande moschea contemporanea d’Australia, simbolo di trasparenza e inclusività.
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- Philippa Nicole Barr
- 16 novembre 2016
- Melbourne
La proposta di nuove moschee in Europa e in Australia ha dovuto far fronte a opposizioni pubbliche e attenzioni giornalistiche significative. Nel 2009 la Svizzera votò la messa al bando dei minareti nei progetti di nuove moschee. L’anno scorso in Australia un gruppo di cittadini di Bendigo portò la sua opposizione alla costruzione di una nuova moschea fino all’Alta Corte australiana. Su questo sfondo di drammatiche contestazioni Glenn Murcutt, il più apprezzato architetto d’Australia, l’unico australiano che abbia mai ottenuto il Premio Pritzker, ha silenziosamente lavorato degli ultimi dieci anni all’Australian Islamic Centre. Il Centro islamico comprende la più grande moschea contemporanea d’Australia ed è stato progettato per la comunità musulmana di Newport e Melbourne come simbolo di trasparenza, inclusività e fede.
Nei quartieri più periferici di Melbourne un gruppo di coraggiosi ha costituito una comunità islamica locale, e cittadini non musulmani, amministrazioni locali, con l’architetto di Melbourne Hakan Elevli e con Glenn Murcutt, hanno lavorato insieme al progetto, per dimostrare che l’architettura è in grado di unire culture differenti e di integrarle nell’ambiente locale tanto da creare una realtà specificamente australiana e musulmana, in vero stile australiano. Il progetto non supera solo il timore dell’impossibilità di una convivenza, ma parallelamente crea la prospettiva senza paragoni di una cultura a venire in cui le differenze creino distinzioni ma siano alla fine sublimate nel condiviso rispetto per la natura e per il clima.
Alla National Gallery of Victoria oggi “Architecture of Faith” racconta questa storia in una mostra e con una serie di visite al cantiere della moschea in costruzione a Newport, nello Stato di Victoria. Elevli ha fatto recentemente da guida a una di queste visite, illustrando la vicenda, le idee dei titolari del progetto, e il modo in cui esse si sono tradotte negli aspetti architettonici di cui è responsabile insieme con Glenn Murcutt.
Per Murcutt tutto deve avere uno scopo. Il progetto parte dai requisiti fondamentali dell’edificio e ogni caratteristica deve ricollegarsi a uno di questi requisiti. Da esperto architetto ha sviluppato un rapporto con il committente che ha consentito l’accettazione di questa impostazione, anche se quest’ultima metteva in discussione – in modo addirittura provocatorio – l’idea di come debba esser fatta una moschea. Come spiega Elevli le cose più importanti per l’architettura musulmana sono l’orientamento verso la Mecca e il fare in modo che nessuno passi davanti a chi prega: “A parte questo non ci sono requisiti veri e propri”.
Il principio di Murcutt secondo il quale tutto deve avere uno scopo ha esercitato un’influenza profonda sul progetto della moschea, perché l’architetto ha iniziato a togliere di mezzo tutte le caratteristiche associate per convenzione con le moschee ma non obbligatorie. “Glenn non fa mai nulla senza entusiasmo, e perciò ha iniziato a spiegare la sua idea alla comunità islamica, dove nel mondo islamico ero compreso anch’io.” L’idea riguardava l’ingresso, la forma e la struttura, i riflessi e la luce, il minareto e la cupola. In realtà gli ultimi due elementi, che sono quasi sinonimo di moschea, non furono nemmeno realizzati. “In passato non esistevano microfoni, per cui la cupola era necessaria per amplificare il suono”, spiega Elevli, “ e alla fine della giornata salivano sul minareto, così la gente capiva che era l’ora della preghiera. Ma con lo sviluppo dell’amplificazione elettronica questo genere di struttura non è più indispensabile.”
Al posto della cupola la copertura principale ospita 96 lucernari colorati di rosso, verde, azzurro e giallo. I lucernari sono triangolari e orientati a nord, sud, est e ovest. Ciò garantisce che nel percorso del sole l’interno sia sempre illuminato a sufficienza, ma di una luce che cambia continuamente, proiettando motivi decorativi sul pavimento e sulle pareti interne. Oltre a questa funzione i lucernari fanno da bocche di ventilazione: nelle giornate calde si aprono verso l’esterno per consentire all’aria di invadere l’edificio, supplendo alla necessità della climatizzazione. Altri riflessi vengono creati dalla vasca e dai giochi d’acqua intorno all’edificio, mentre sulla parete della qibla (la direzione della Mecca) nel tardo pomeriggio una sottile cascata riflette il sole nella sala di preghiera, creando un senso di quiete grazie alla luce che si riflette sulle pareti.
È evidente che Murcutt ha fatto del suo meglio per fare di questa moschea una moschea australiana contemporanea, che accoglie tutto e tutti, anche la luce. Risponde all’ambiente circostante e ai requisiti di un progetto d’architettura islamico, ma dimostra anche apertura, una trasparenza che ha un senso in una terra dal clima caldo e dalle lunghe distanze. La quieta oscurità e l’intimità di molti spazi sacri europei – che siano chiese o moschee – non è adatta a questo ambiente. Come dice Elevli, “l’idea di Glenn era di far salire questi bei raggi di sole da dietro la moschea, che vuol dire farci entrare nella moschea”. Queste caratteristiche adeguano la funzionalità al contesto e mettono l’edificio in armonia con il suo ambiente: “Tutto è stato costruito in modo complicato, nulla è standardizzato, nulla è prefabbricato, tutto è su misura”, dichiara Elevli. “È una specie di edificio d’alta moda.”
In definitiva, mentre la moschea doveva rappresentare e favorire la pratica religiosa islamica, uno dei suoi obiettivi fondamentali come monumento era quello della semplicità, della bellezza e dell’accoglienza di chiunque la visiti. “Possiamo rendere tutto trasparente, possiamo renderla inclusiva”, dice Elevli. “Invece della consueta oscurità e dei bagliori dell’interno delle chiese e delle moschee qui ci sono giochi d’acqua dovunque, che rispecchiano la natura.” È un progetto che media le differenze tra ospiti e residenti, non musulmani e musulmani, giovani e vecchi, e soprattutto insediamenti preesistenti e nuovi arrivi, usando l’architettura come ponte tra queste divisioni. “Se si vuole capire una cosa bisogna diventarne parte, avere un atteggiamento inclusivo, se si vuole che una cosa ci rappresenti: questo è ciò che questa comunità vuole che la moschea sia. Ora, con tutti i problemi che la cosa comporta, sta diventando più che altro una questione di comunicazione, ma prima credo che fosse un’altra cosa.”
“Sono un musulmano australiano, di cultura turca, e questo è un modo per dichiarare ‘Siamo come voi, non c’è nessuna differenza tra noi e voi, mi piacciono le cose belle, mi piacciono gli ambienti comodi, mi piacciono i parchi, mi piacciono i paesaggi, mi piace la bella architettura: proprio come a chiunque voglia vivere in questo modo’. E questo è un modo per comunicarlo. Sono entusiasta di quello che sta succedendo. Mi piace venire qui, qui mi sento in pace e credo che tutti dovrebbero esserne orgogliosi, credo che dovrebbe essere una cosa di tutti.”
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Hakan Elevli ha rilasciato l’intervista durante una recente visita al cantiere dell’Australian Islamic Centre, attualmente in costruzione.
fino al 19 febbraio 2016
Architecture of Faith
National Gallery of Victoria
Federation Square, Melbourne