10 anni di Urban Age

Dopo 10 anni, la conferenza organizzata dalla LSE punta a un sempre maggior coinvolgimento degli studenti e della società civile “per formare la prossima generazione di creatori di città”.

L’urbanizzazione riguarda le dinamiche interne e il consolidarsi delle città. Il convegno “Urban Age”, organizzato ogni anno dalla London School of Economics, quest’anno ha celebrato i dieci anni di collaborazione con la Alfred Herrhausen Gesellschaft della Deutsche Bank attraverso un ciclo straordinario di convegni dedicati a questi fenomeni in 13 differenti megalopoli di quattro continenti (19 novembre – 3 dicembre 2015).

Urban Age 10: Deyan Sudjic (a sinistra) e Norman Foster

“Le megalopoli sono microcosmi con tutti i grandi problemi del nostro tempo: infrastrutture, giustizia sociale, coesione e cambiamento climatico. Se si vuole dar forma al futuro”, dichiara Thomas Mattusek, direttore generale della Alfred Herrhausen Gesellschaft, “bisogna dar forma alle città.”

Ma l’urbanizzazione è sostanzialmente molteplice: le forme che assume sono raramente equilibrate. Quando architetti, politici, militanti, accademici, dirigenti dei trasporti, ingegneri civili e imprese si incontrano, dialogano ed esprimono le rispettive differenti prospettive, spesso nascono nuove intuizioni in fatto di collegamento tra ambiente costruito e realtà sociale. Come afferma Ute Weiland, vicedirettore della Alfred Herrhausen Gesellschaft, “siamo stati i primi a mettere intorno a un tavolo sindaci, urbanisti, architetti, sociologi, storici, medici, pianificatori dei trasporti, banchieri, ONG e altri per discutere del futuro della città”. “Uno dei filoni principali qui è la riformulazione delle strategie, a trecentosessanta gradi e a differenti scale amministrative, da parte dell’urbanistica”, dice Philippe Rode, direttore generale di LSE Cities. “Che si tratti di problemi di produttività economica, di cambiamento climatico o di diseguaglianza, si sta affermando una nuova consapevolezza del fatto che la creazione del luogo è decisamente importante.”

Thomas Mattusek quest’anno ha annunciato che l’anno prossimo “Urban Age” sarà per la prima volta in Italia, con un padiglione e un convegno alla Biennale Architettura di Venezia 2016. Sarà anche organizzata una sessione al terzo convegno Habitat delle Nazioni Unite a Quito, sul rapporto tra spazio pubblico e spazio privato. Comunque quest’anno “Urban Age” ha avuto una fisionomia diversa, e questa diversità è significativa di una sfida fondamentale tanto per l’urbanistica accademica quanto per lo stesso ciclo di convegni. Nell’arco di più settimane un’aula della London School of Economics ha ospitato cinque dibattiti su problemi che andavano dal cambiamento climatico alle strategie di governo, dall’equo uso territorio agli investimenti in infrastrutture, all’inclusività sociale.

Urban Age 10

Per la prima volta i biglietti d’ingresso sono stati distribuiti con un’estrazione a sorte aperta al pubblico. Lo scopo di questa scelta era ottenere un maggior coinvolgimento degli studenti e della società civile, come dichiara Ricky Burdett, direttore di LSE Cities, “per formare la prossima generazione di creatori di città”. L’obiettivo era anche sottolineare l’esperienza di questi macroprocessi vissuta al microlivello e il modo in cui essi vengono percepiti in una terminologia familiare, che traspare dal dibattito e dalla trasformazione vissuti e agiti da individui e gruppi attivi al di fuori delle istituzioni. “La città è un luogo dove chi non ha potere riesce a realizzare una storia, una cultura, un’economia, un’economia di prossimità”, afferma Saskia Sassen, professore alla Columbia University. “È uno spazio in cui si può cambiare la realtà.”

Urban Age 10: Saskia Sassen

Per queste ragioni era opportuno in questo momento aprire il ciclo di convegni al grande pubblico, con il suo modo di reagire, aderire e resistere all’urbanizzazione. Questi processi, per quanto correttamente analizzati, non sono interamente razionali e omogenei. Il pubblico di Urban Age è un pubblico selezionato, il cui interesse è tuttavia costituito da una sottile gamma di abitudini, sensibilità, competizioni e desideri. Come ha affermato Deyan Sudjic nella presentazione del convegno, “di per sé l’idea che la città sia il prodotto di questi differenti gruppi è probabilmente il più importante presupposto ideologico rappresentato da Urban Age”. Perciò aprire il convegno a ulteriori gruppi di interesse è un gesto importante. Come afferma Rode, “le lezioni serali della LSE sono una scelta di gran successo per attrarre un pubblico più differenziato. Tenere cinque sessioni in serate differenti significa anche avere ogni volta la sala piena di persone differenti e una campagna di comunicazione su misura per ciascuna serata. I cinque argomenti riflettevano i temi chiave che secondo noi sono ancora i grandi problemi sul tappeto dopo diciannove anni di convegni”.

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Quando le idee escono dalle pagine dei libri c’è sempre un processo di mediazione. Se non c’è dubbio che le infrastrutture diano alla città una cornice talvolta oppressiva, occorre distinguere tra la forza dell’intervento materiale e le strategie di adattamento che a esse si oppongono o le fanno precipitare, che spesso hanno luogo a scale differenti e con differenti livelli di coordinamento. Perché le idee siano correttamente adottate devono anche essere rese maneggevoli, reali e condivise, in modo che chiunque le possa padroneggiare e realizzare a suo modo. Non è possibile orchestrarle. Gli urbanisti, se non imparano ad anticiparle, scopriranno che questo ‘rumore’, questa ‘reazione’ costituiscono un ostacolo e, indubbiamente, un’occasione perduta.

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Come chiarisce Norman Foster, di Foster and Partners, anche iniziative e cambiamenti di proporzioni relativamente limitate hanno il potere di rappresentare grandi differenze. Per esempio, afferma, una semplice app in grado di indicare ai cittadini cinesi il livello di inquinamento dell’aria nella loro comunità locale può servire da catalizzatore per un miglioramento. Milioni di persone muoiono ogni anno in conseguenza dell’inquinamento atmosferico ma possono essere sempre più spinti alla partecipazione e ad agire per un cambiamento se possono controllare personalmente quel che accade. Anche il Millennium Bridge di Londra sul Tamigi ha avuto un effetto di cambiamento, usato com’è da otto milioni di persone ogni anno, aumentando le presenze alla cattedrale di San Paolo e alla Tate Modern.

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In questi scenari hanno una parte, al di là della razionalità delle scelte, anche le emozioni. Le città europee oggi reagiscono a due eventi distinti: il recente afflusso di rifugiati siriani e gli attacchi terroristici parigini del 13 novembre. Questi eventi daranno luogo a nuove strategie politiche, a nuove norme, a improvvisazioni e a diffusi cambiamenti di comportamento e di abitudini che non sono interamente frutto di calcoli razionali ma di altre emozioni, paure, panico, ripugnanza. Come è possibile gestire questi sentimenti negativi nello spazio della città? È possibile raggiungere il livello di porosità necessario in metropoli differenti se le persone sono disgustate dal reciproco modo di cucinare, infastidite dal rumore che proviene da una manifestazione musicale o tendono a evitare di viaggiare in metropolitana per paura di attacchi terroristici? C’è un bisogno sempre più urgente di comprendere come le risposte potranno nascere da gruppi differenti, e in che cosa dovrebbero idealmente consistere queste risposte. Come afferma Joan Clos, direttore di UN Habitat, “la strategia di sicurezza nazionale e la strategia migratoria di ciascun paese continueranno a influire sulla qualità della sua urbanizzazione”, per lo più senza che ciò sia pienamente compreso o tenuto in considerazione.

Urban Age 10

Ciò rende ancor più urgente il compito della quantificazione. Karen Seeto, docente alla Yale University, prevede che il cambiamento climatico e l’urbanizzazione costituiranno probabilmente i due maggiori impulsi di trasformazione del XXI secolo. Nei primi tre decenni del secolo saranno edificate più aree urbane che in ogni altra epoca della storia umana. Da qui al 2050 l’urbanizzazione riguarderà tre miliardi di persone, dice Clos: il doppio del livello di urbanizzazione attuale. Che ne è delle emissioni quando i paesi si sviluppano e iniziano a costruire nuove infrastrutture? Le città sono già responsabili della maggior parte delle emissioni di carbonio da carburanti fossili. Quando inizieranno a essere costruite città nuove e sempre più grandi, ci saranno scarsi spazi per farlo correttamente. L’economista britannico Nicholas Stern, presidente del Grantham Institute on Climate Change and the Environment, ritiene che affinché le città si adattino alle pressioni e alle trasformazioni dovute al cambiamento climatico, la trasformazione urbanistica dovrà essere rapidissima. È necessario fare grandi investimenti, rapidamente e con intelligenza.

Urban Age 10

A motivo di questa urgenza occorre agire a vari livelli, coinvolgendo più persone. Afferma Nicholas Stern che chi dirige, analizza e fa proposte deve pensare a cambiare radicalmente la situazione nei prossimi due decenni. Bisogna trovar modo di comunicare il valore di questi interventi e di dar loro un senso emotivo. Occorre analizzare altre forze fondamentali della vita urbana: l’emozione, il desiderio, la cultura. Richard Sennett vi ha fatto allusione nel suo intervento sull’inclusione e sulla vita comunitaria. “Le persone possiedono un’esperienza fisica della città e un sapere non verbale che non si può tradurre in parole”, afferma Sennett. “Ci sono dimensioni di ordine urbano puramente fisiche e non verbali. E il tipo di porosità che secondo me garantisce una sorta di ordine urbano è il sentirsi a proprio agio tra persone differenti da noi. È una sensazione viscerale, come una mano stesa ad aiutare una persona a salire sul treno che sta cercando di prendere per andare al lavoro”.

Il ruolo del sentimento nella storia e nell’ordinamento delle città è stato poco analizzato in rapporto alle questioni pratiche, ma vi si intreccia continuamente. Prendiamo la normativa sul disturbo della quiete pubblica e le querele per le esalazioni maleodoranti e per il rumore: sono strumenti elaborati soprattutto per gestire le reazioni emotive alle pressioni dell’urbanizzazione, e hanno dimostrato di avere forti effetti sulle oscillazioni dei valori immobiliari, sulla salute, sull’igiene e sulle differenti idee di che cosa sia la tranquillità. Come si sentirebbe la persona che ha steso la mano per far salire un altro passeggero trafelato sul treno se in città scoppiasse un’epidemia di Ebola o di un’altra malattia infettiva?

Urban Age 10

Le città sono la nuova frontiera, il primo luogo in cui le forze globali si trasformano in abitudini personali. Qui il terrorismo, la migrazione, la guerra, il cambiamento climatico, l’inquinamento, le malattie e altri problemi diventano concreti per le persone nelle rispettive comunità, e devono diventare qualcosa da vivere e a cui reagire, in modo integrato nel tessuto della vita quotidiana: quel che lo scomparso antropologo Pierre Bourdieu chiamava habitus. Per quanto correttamente si pianifichi o si coordini, la conoscenza dell’ambiente prossimo da parte delle persone comprenderà sempre irrazionalità e sentimento. In realtà questo potrebbe essere un tratto caratteristico dell’urbanistica. Come dice Weiland, “noi non organizziamo il convegno Urban Age per decretare prescrizioni destinate alle città. Il convegno è un luogo di scambio delle prassi migliori. Ogni città deve trovare le proprie soluzioni. Deve tenere conto della propria cultura, della propria tradizione, della propria posizione geografica, nonché della propria economia e della propria situazione politica”.

Estamos presentes”, ha dichiarato Saskia Sassen nel suo intervento sulla disuguaglianza e sulla proprietà della città. E davvero a questa edizione dell’anniversario di Urban Age sono state concretamente presenti persone con interessi ordinari. Rimane da vedere chi darà l’indirizzo ai programmi d’azione e in che modo lo farà, anche se in ogni caso un’urbanistica efficace e coesiva, in grado di accelerare la soluzione di questi problemi, dipende quasi certamente dalla continuità della comunicazione. Come si può favorire questa accelerazione? È una domanda cui si dovrà rispondere in termini emotivi, analitici, sociali e fisici, con immutato senso di ricettività coordinata, nel prossimo decennio di Urban Age.

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