Alla Cité de l’Architecture et du Patrimoine va in scena il “Metodo Piano”: Paesaggi, Altezze, Confronti, Patrimoni Urbani, Brani di Città e Materia. Queste le sei sezioni per comprendere il genio del maestro italiano e del suo Building Workshop. Ogni tema comprende due o tre progetti fra più recenti dello studio (tutti realizzati dopo il 2000, tranne uno).
Il metodo Piano
A differenza di tante altre retrospettive dedicate al lavoro di Renzo Piano, la mostra alla Cité de l’Architecture parla apertamente del processo che porta alla realizzazione delle sue visioni.
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- Salvator-John A. Liotta
- 22 dicembre 2015
- Parigi
A differenza di tante altre retrospettive dedicate al suo lavoro, in questa mostra si parla apertamente del processo che porta alla realizzazione delle sue visioni. In tal senso, mai titolo è stato più esplicito: metodo viene dal greco méthodos e significa “ricerca, indagine” e deriva a sua volta da hodós ovvero “strada, via”. Il suo metodo, Piano, lo racconta come un’azione inclusiva. Ovvero un processo costruttivo collettivo per il quale, alla fine di ogni realizzazione, non si sa più a chi sia venuta l’idea di progetto all’interno del suo team. E, quindi, per questo è un progetto di tutti, frutto della sommatoria delle intelligenze che vi hanno contribuito.
Piano ha grandi collaboratori e se la sua reputazione e le sue commesse sono cresciute negli anni, è grazie a un lavoro di gruppo, partecipato, collettivo che segue però delle norme, degli standard, delle piste rodate dell’architetto italiano. Si tratta di un processo orizzontale dove anche uno stagista, se ha una buona idea, può contribuire con la sua energia e sensibilità positivamente alla riuscita di un progetto. Questa dimensione artigianale – dove le scelte vengono compiute attraverso una reiterazione delle idee – viene subito proposta nella prima sezione della mostra, dedicata ai lavori di ricerca sulle strutture leggere sviluppate da Piano dagli anni Sessanta in poi.
In quegli anni, Piano non sapeva ancora che la Francia e il Centre Pompidou gli avrebbero regalato la celebrità internazionale e la possibilità di costruire un museo a New York, grattacieli a Londra, una clinica pediatrica in Uganda o un centro per le arti in Nuova Caledonia. L’idea alla base di tutti i suoi progetti è sempre la stessa: sfruttare le potenzialità dei materiali spingendo al massimo le tecniche di costruzione. Dalla materia va tirata fuori l’anima. Per mettere a punto le ipotesi che accompagnano il progetto nel viaggio verso l’incarnazione nella realtà, i collaboratori di Piano realizzano una quantità innumerevole di modelli e prototipi. Il suo building workshop di Parigi è una materioteca diffusa, dove ogni angolo è occupato da un materiale che rappresenta una nuova possibilità.
Le sue origini sono note, Piano viene da una famiglia di costruttori, il portare a compimento a regola d’arte le sue opere ce l’ha nel sangue. A differenza di tanti architetti – che per farsi notare preferiscono alzare la voce e gridare, praticando una sperimentazione formale a volte gratuita – nelle opere recenti di Piano c’è un chiaro ed evidente utilizzo di software parametrici (il parlamento di Malta e la fondazione Pathé su tutti) e un sereno utilizzo di sistemi di progettazione avanzati. In questo, sono i giovani dello studio a portare nuove visioni e modi progettuali con Piano disposto ad ascoltarli e valorizzarli.
Ma la sperimentazione del RPBW non è fine a se stessa: al contrario, essa è sempre integrata in un discorso urbano ed energetico che tiene in considerazione le persone e il loro comfort. Renzo Piano è come Zaha Hadid un architetto che quasi non disegna abitazioni private, per lui esiste una dimensione dell’essere architetto che è eminentemente pubblica. A differenza però di tante archistar, l’architetto italiano non ha mai smesso di considerare l’architettura come una disciplina di utilità sociale che ha lo scopo di armonizzare il nuovo all’esistente.
In ciò è esemplare una delle sezioni della mostra – “Confrontations” – dove i due progetti di Piano si misurano prima con Louis Kahn per il Museo Kimbell a Forth Worth e poi con Le Corbusier per il Monastère Sainte-Claire a Ronchamp. In entrambi i progetti viene fuori una convergenza sui temi che compongono il corpus dell’opera di Renzo Piano: un’estrema sensibilità risultante dal lavoro sulla struttura, la materia, il clima e il principio di urbanità. In sintesi questo è il metodo Piano.
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fino al 29 febbraio 2016
La méthode Piano
La Cité de l’Architecture et du Patrimoine, Parigi