Sou Fujimoto è una delle figure più apprezzate, negli anni recenti, della giovane generazione degli architetti giapponesi. Ancor giovane ma ricco d’esperienza, sta gradualmente oltrepassando la soglia di quanti vengono inclusi nella generazione più recente. Molte delle sue prime idee e delle sue dichiarazioni programmatiche pubblicate dal 1995 in poi hanno preso corpo in progetti che hanno attirato attenzioni internazionali e hanno collocato il suo lavoro accanto a quello dei grandi nomi delle correnti dell’architettura contemporanea.
Fujimoto: i futuri del futuro
Una recente mostra a Tokyo ha offerto l’occasione di ripercorrere molte delle prime idee e delle dichiarazioni programmatiche di Sou Fujimoto, e il concetto di ‘futuro’, ricorrente nel percorso intellettuale dell’architetto fin dall’inizio della carriera.
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- Rafael A. Balboa,Ilze Paklone
- 16 giugno 2015
- Tokyo
Il successo della sua carriera è anche un esempio dell’attuale tendenza mediatica dominante in materia d’architettura: molte pubblicazioni e varie presenze in mostre in patria e all’estero. Non sorprende vedere che, dal 2010, ogni anno il suo lavoro sia stato presentato prevalentemente in mostre personali allestite dalle più prestigiose gallerie d’architettura di Tokyo.
Quest’anno, per festeggiare due decenni di professione, la galleria TOTO Gallery Ma, piccolo spazio di Tokyo specializzato in architettura e design, ospita la sua mostra più recente: “Futures of the Future”, “I futuri del futuro”. Anche se il titolo della mostra può apparire ridondante, quello di ‘futuro’ è un concetto ricorrente nel percorso intellettuale dell’architetto fin dall’inizio della carriera.
Il futuro è stato un’ossessione storica non solo per gli architetti, ma anche per gli artisti, e basti citare molte delle idee fondamentali del movimento dadaista di circa un secolo fa. Tra esse i ready-made di Marcel Duchamp primeggiavano nella decontestualizzazione dell’oggetto, innalzando il profano al livello dell’opera d’arte. “È arte?” era una delle molte domande poste da Duchamp. In modo non inedito ma inevitabile Fujimoto ha cercato, con questa mostra, di sollevare una questione analoga nell’ambito disciplinare dell’architettura di oggi.
La costruzione fisica di modelli è ancora uno dei più importanti strumenti di progettazione per molti architetti giapponesi: una pratica che secondo alcuni ha profonde radici delle competenze artigianali tradizionali e nell’attenzione dedicata ai concetti di scala e di materia. A sostegno del medesimo metodo Fujimoto ha dimostrato una predilezione per la costruzione fisica dei modelli fin dalle mostre precedenti. Con i suoi collaboratori ha previsto per questa mostra una raccolta di 111 modellini collocati su piedestalli neri fittamente distribuiti nel percorso della mostra: un paesaggio globale in miniatura, si potrebbe dire. L’architetto chiama invece questi modelli “piccoli semi” o “piccole proposte architettoniche che stimolano una serie di manifestazioni di possibilità”.
La configurazione spaziale della galleria TOTO Gallery Ma, sede in passato di mostre personali di parecchi importanti architetti giapponesi e stranieri, suddivide l’esperienza del visitatore in due spazi minori collocati al terzo e questo piano dello stesso edificio e collegati con una scala esterna tramite una corte aperta. La mostra si organizza in 12 affermazioni principali nascoste tra un modello e l’altro, organizzazione spaziale che i visitatori non sono tenuti a rispettare strettamente, ma a scoprire casualmente. Queste affermazioni riguardano temi dominanti del lavoro di Fujimoto, tra cui il luogo, la gradualità, la città, la densità, la foresta, il terreno, il flusso e la natura.
La prima sala è concepita come uno spazio oscuro che riceve luce esterna solo dalla preesistente finestra allungata che la collega con la corte. La grande quantità di modelli di questo spazio è esposta in modo da permettere la minima circolazione indispensabile a un’unica persona, costringendo il visitatore a osservare attentamente i particolari e a intessere un dialogo intimo con i modelli.
I modelli in mostra sono per lo più concettuali e riguardano progetti passati e attuali. Ciascuno mostra una minuscola etichetta con un breve testo che sottolinea idee e riflessioni personali dell’architetto riguardanti ciascuno degli esperimenti spaziali.
La corte all’aperto della galleria è uno spazio di cui ogni singola mostra spesso s’impadronisce a modo suo. Fujimoto ha concepito quest’area in modo analogo al precedente spazio oscuro, riempiendo lo spazio di modelli senza soluzione di continuità visiva. Una delle pareti della corte è coperta da un rivestimento riflettente, che rispecchia e distorce le immagini degli oggetti in mostra e dei visitatori. Tra i modelli esposti la recente proposta vincitrice di un centro musicale di Budapest (Foresta di musica) e lo Skyscaper/Forest, recentemente realizzato nella zona di Aoyama, a Tokyo.
Oltre ai numerosi modelli sperimentali gli altri pezzi in mostra vanno da una bottiglia di polietilene schiacciata a un portacenere, da un foglio di carta accartocciato a un colino, passando per una spugna da bagno e una scheda da computer: tutti oggetti che esibiscono accanto a sé una minuscola scala umana e sono esposti soprattutto nella seconda sala, al quarto piano. Fujimoto evita di compromettersi parlando di questi oggetti e li considera piuttosto come possibilità formali latenti. “È architettura?”, chiede in alcuni dei suoi aforismi dialettici. Una domanda che ha innumerevoli risposte, con cui l’architetto cerca di aprire nuovi percorsi, almeno per se stesso e per il suo futuro professionale.
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