Quando – dopo il golpe militare – Lina torna a lavorare a San Paolo, continua a impegnarsi senza sosta in una serie di mostre e iniziative intese come azioni politico-ideologiche sempre al limite della denuncia sociale. Terminata la dittatura nel 1985, Lina porta a compimento l’opera forse più straordinaria della propria carriera, il SESC Pompeia, 1977-1986 (niente di più formidabile della visita delle due mostre in situ, con catalogo e materiali video), industria dismessa trasformata in luogo di cultura, socialità e sport insieme.
Richiamata a Salvador da Gilberto Gil, nella sua nuova veste di presidente della Fondazione Gregorio de Mattos, allestisce tra l’altro la Casa do Benin, museo-centro culturale dedicato alla storia della schiavitù – su preciso mandato di realizzare un luogo “irritante rispetto all'eurocentrismo dominante” insieme con l’etnografo di nascita francese Pierre Verger; un progetto che, sublimando e tematizzando l’intrinseco altrove proprio del Museo d’Occidente, si sarebbe completato sull’altra sponda dell’Oceano, a Ouidah in Benin, con la Maison du Bresil.
A valle delle mostre in corso e di quelle da poco concluse (tra queste anche “Lina Bo Bardi Together”, organizzata da Arper, che sta girando il mondo e che proprio oggi inaugura a Treviso), dei relativi e utili cataloghi, dei libri, dei materiali video e documentari (su tutti: il film Precise Poetry), dei convegni che contribuiscono anche a riportare attenzione sul multiforme ingegno di questa donna (vedi il recente convegno alla Sapienza), su Lina resta molto da scoprire: architetto geniale, designer di cose e di animali fantastici, pensatrice, grafica e scenografa raffinatissima.