Questa nota per il centesimo anniversario di Lina Bo Bardi, nata a Roma il 5 dicembre 1914, ha carattere di parti-pris, legato alla piattaforma collaborativa LinaProject.com – il progetto aperto al coinvolgimento di studiosi, conoscitori, ammiratori di “Dona Lina” che sto coordinando per l’Università di Firenze, Dipartimento di Architettura.
100 anni di Lina Bo Bardi
A valle delle mostre in corso e di quelle da poco concluse, dei cataloghi, materiali video e convegni, su Lina Bo Bardi resta molto da scoprire: architetto geniale, designer di cose e animali fantastici, pensatrice, grafica e scenografa raffinatissima.
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- Giacomo Pirazzoli
- 05 dicembre 2014
- San Paolo
Un senso di attenzione scientifica e di cura insieme emerge dalla visita compiuta in questi giorni agli ordinati scaffali dell’archivio di “Dona Lina” presso l’Instituto Lina Bo e Pietro Maria Bardi a San Paolo – nella famosa Casa de Vidro realizzata dall’architetto come casa per sé e il marito. Mentre fuori da qui, in Europa o in Brasile, grazie a numerose e spesso qualificate iniziative in corso, da poco concluse o ancora da venire – tra cui la mostra del MAXXI con Domus che inaugura a Roma il 19 dicembre “Lina Bo Bardi in Italia. “Tutto quello che volevo, era avere Storia” (realizzata con il supporto di Arper) – per questo centenario emerge finalmente con chiarezza, a livello mondiale, la figura di Lina Bo Bardi come l’architetto donna più importante del XX secolo.
Dopo gli intensi anni della formazione e la laurea a Roma nel 1939, Lina Bo si trasferisce a Milano dove, durante il periodo bellico, lavora soprattutto nel campo editoriale con Gio Ponti per Domus. Nel 1946, sposa Pietro Maria Bardi – già promotore della giovane architettura fascista che si opponeva alla via accademica di Piacentini – e con lui viaggia verso il Brasile insieme a una collezione di “arte occidentale” potenziale base per un museo, occidentale appunto. Inizia così la storia del MASP, prima nella sede temporanea di Largo 7 Aprile a San Paolo, che poi diventerà l’edificio-culto che tutti conosciamo, disegnato da Lina a partire dal 1957 e inaugurato nel 1968, in pieno regime militare e in presenza della regina Elisabetta II.
Frutto eccellente delle radici moderniste europee dell’autrice, la storia del progetto del MASP incarna ancora molto parzialmente le ricerche che Lina stessa compirà a Salvador de Bahia, dove affronta per un numero importante di allestimenti dal 1959 al 1964 l’esistente foyer del Teatro Castro Alves – in tutto simile alla sala espositiva del MASP – ovvero lo spazio che a sua volta anticipa sperimentalmente il Museu de Arte Moderna, da Bahia al Solar de Unhao, realizzato da Lina nel 1963. Arrivata a Bahia per invito dell’illuminato rettore Edgard Santos, che raccoglie attorno a sé artisti migranti talenti formidabili, da Pierre Verger al giovane Glauber Rocha a Mario Cravo – mentre Caetano Veloso e Gilberto Gil, entrambi quasi ventenni, non erano, contrariamente a quanto qualcuno ha scritto, direttamente coinvolti nel gruppo, tuttavia già ammiravano il fascino e l’intelligenza di questa donna straordinaria – è a Salvador che Lina compie il terzo passo.
Dopo essersi a suo modo dimessa da italiana e aver scelto la nazionalità brasiliana nel 1953, a Salvador Lina s’incontra con quel mondo che, in effetti, la rende sempre meno comprensibile al pensiero occidentale, men che mai alla lente di marca hegeliana che continua a fare fatica nel ricondurla a opposti dialettici come modernità/tradizione, oriente/occidente ecc. A Salvador de Bahia, infatti, Lina incontra l’Africa, l’anima negra del continente iberoamericano e, contemporaneamente, inizia a lavorare sull’idea ibrida di “arte popolare”; fino a scoprire e dichiarare che “il tempo lineare è un’invenzione dell’Occidente, il tempo non è lineare, è un meraviglioso accavallarsi per cui, in qualsiasi istante, è possibile selezionare punti e inventare soluzioni, senza inizio né fine”. Da quel tempo non lineare, il lavoro di Lina continua ad “aprirsi all’accadimento” – per ricordare il pionieristico libretto monografico di Miotto e Nicolini, pubblicato in Italia nel 1998.
Quando – dopo il golpe militare – Lina torna a lavorare a San Paolo, continua a impegnarsi senza sosta in una serie di mostre e iniziative intese come azioni politico-ideologiche sempre al limite della denuncia sociale. Terminata la dittatura nel 1985, Lina porta a compimento l’opera forse più straordinaria della propria carriera, il SESC Pompeia, 1977-1986 (niente di più formidabile della visita delle due mostre in situ, con catalogo e materiali video), industria dismessa trasformata in luogo di cultura, socialità e sport insieme. Richiamata a Salvador da Gilberto Gil, nella sua nuova veste di presidente della Fondazione Gregorio de Mattos, allestisce tra l’altro la Casa do Benin, museo-centro culturale dedicato alla storia della schiavitù – su preciso mandato di realizzare un luogo “irritante rispetto all'eurocentrismo dominante” insieme con l’etnografo di nascita francese Pierre Verger; un progetto che, sublimando e tematizzando l’intrinseco altrove proprio del Museo d’Occidente, si sarebbe completato sull’altra sponda dell’Oceano, a Ouidah in Benin, con la Maison du Bresil.
A valle delle mostre in corso e di quelle da poco concluse (tra queste anche “Lina Bo Bardi Together”, organizzata da Arper, che sta girando il mondo e che proprio oggi inaugura a Treviso), dei relativi e utili cataloghi, dei libri, dei materiali video e documentari (su tutti: il film Precise Poetry), dei convegni che contribuiscono anche a riportare attenzione sul multiforme ingegno di questa donna (vedi il recente convegno alla Sapienza), su Lina resta molto da scoprire: architetto geniale, designer di cose e di animali fantastici, pensatrice, grafica e scenografa raffinatissima.
Per esempio, quando anche gli archivi di Pietro Maria Bardi saranno altrettanto ordinati al pari di quelli di Lina, sarà da indagare ancora l’indubbiamente ricchissimo rapporto – di soli luoghi comuni genericamente discusso – della coppia, sul quale Anna Carboncini offre un primo interessante contributo (vedi il catalogo Lina Bo Bardi 100 – Brazil’s alternative Path To Modernism, 2014 p.184-191). Così come, dopo aver considerato la tecnica museografico-allestitiva di Lina, come avviene nel recentissimo e brillante catalogo di Maneiras de Expor – Arquitectura espositiva de Lina Bo Bardi, 2014, la strada è pronta per indagare il punto di vista curatorial-museografico, che fa parte del dialogo quotidiano tra Dona Lina e il Professor Bardi, coniugi-complici messaggeri tra due continenti diversi. Due continenti che per l'inafferrabile Lina diventano tre, apparentemente sempre meno lontani.
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