Oslo ha appena aperto, a metà settembre, la sua quinta Triennale d’architettura (Oslo arkitekturtriennale, OAT), che segue di pochi giorni la terza edizione di quella di Lisbona.
Una mostra di oggetti
Curata da Rotor, la quinta Triennale di Architettura di Oslo è fatta di oggetti, ciascuno dei quali racconta la propria storia. Resta da chiarire se questi oggetti rappresentino davvero l’architettura.
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- Léa-Catherine Szacka
- 07 ottobre 2013
- Oslo
Nel 2013 entrambe le città hanno seguito una strategia analoga: innalzare una manifestazione finora ‘locale’ al livello di un impegno ‘mondiale’ lanciando un concorso d’idee per arrivare alla selezione di un gruppo di giovani curatori internazionali in funzione del loro obiettivo. Ma le prospettive adottate per le mostre che ne sono risultate appaiono diametralmente opposte. Il Portogallo ha scelto il tema dell’intangibile e della narrazione con la creazione di una piattaforma pubblica di dibattito, la Norvegia ha il suo punto di forza negli oggetti e nelle storie individuali che suscitano riflessioni e conversazioni più private. Una divergenza che, una volta di più, apre il dibattito su che cosa sia e su che cosa dovrebbe essere una mostra d’architettura.
Con il titolo provvisorio Really Sustainable (“Veramente sostenibile”) il collettivo belga Rotor, insieme con il gruppo redazionale francese Criticat, che in un secondo tempo ha rinunciato al progetto, ha vinto il concorso internazionale di idee per l’OAT 2013. L’idea originale si è sviluppata in “Behind the Green Door” (“Dietro la porta verde”), esposizione di un progetto di ricerca e – perché no – riferimento sotterraneo a quel pornofilm degli anni Settanta che iniziava con la domanda: “Che cosa significa fare l’architetto in un mondo dalle risorse limitate, un mondo che vive al di sopra della sua portata?”. La Triennale di Oslo, come Close, Closer, usa la mostra e l’idea di crisi come dispositivo analitico per creare un ricco programma di manifestazioni e di attività.
E tuttavia la parola ‘crisi’ in Norvegia non riveste lo stesso significato che in altre parti dell’area economica europea. Nel fine settimana dell’inaugurazione erano palpabili l’atmosfera francamente festaiola e l’aroma di miracolo economico. Il pubblico è stato così numeroso che è stato difficile riuscire a intrufolarsi nella porta verde e arrivare ai 340 metri quadrati dello spazio espositivo di Rotor all’interno del DogA (Norsk Design og Arkitektur Senter): il Centro norvegese per il design e l’architettura, situato in un’antica sottostazione elettrica presso Grunerlokka, l’ex quartiere industriale alla moda di Oslo.
La mostra principale comprende una collezione di oltre seicento oggetti che rivendicano la qualità della sostenibilità. Sono stati riuniti grazie alla collaborazione di più di duecento studi d’architettura, aziende e organizzazioni ambientaliste di tutto il mondo. La mostra si presenta come un gigantesco archivio, o indice di progetti, a ritroso nel tempo, che va dal 2013 al 1970. Ogni oggetto racconta una storia ed è il risultato di un processo di selezione durato oltre un anno. Convenzionale nella sua rigidezza formale e nella cronologia del racconto, quanto anticonvenzionale nel modo di rendere oggettive storie oppure edifici, la mostra rimane sostanzialmente attenta al gesto del fare architettura.
Qualche aspetto della mostra è discutibile: il fatto che tutti i linguaggi e le tecniche vengano messi sullo stesso piano, evitando ogni gerarchia e ogni differenza; lo spiazzamento di ogni oggetto dal contesto originale; e il riuso di alcune delle precedenti strategie di curatela di Rotor (come i fogli informativi staccabili e collezionabili che definiscono spazialmente una particolare area della mostra). Ma in generale la mostra è un tentativo intelligente e aggiornato di svolgere in modo critico e godibile un tema che potrebbe a prima vista apparire sopravvalutato e sterile.
Ma l’esposizione relativamente limitata di Rotor non è l’unico contenuto della Triennale di Oslo di quest’anno. Un’altra mostra, anch’essa di ricerca, è aperta al Nasjonalmuseet for kunst, arkitektur og design, il Museo nazionale d’architettura e design. Far-out Voices (“Voci fuori dell’ordinario”), a cura della studiosa Caroline Maniaque-Benton e del critico Jérémie McGowan, è una mostra organizzata intorno a una serie di interviste filmate, che apre una prospettiva sul pensiero di alcuni dei principali sostenitori dell’architettura e della tecnologia alternative (e spesso a basso contenuto tecnologico) a cavallo tra anni Sessanta e Settanta. Far–out Voices, concentrandosi su un altro ancora degli aspetti della sostenibilità e consentendo l’accesso a una serie di pubblicazioni originali e rare, fa da buon complemento alla mostra di Rotor.
La Triennale di Oslo 2013 è fatta tutta di oggetti, ciascuno dei quali racconta la propria storia. Niente grandi narrazioni, a Oslo, se non quella imponente dell’“architettura verde”. E per quanto sia possibile mettere in discussione la leggibilità di questi racconti, o il fatto che gli oggetti, nello sforzo di semplificare, siano stati decontestualizzati, si apprezza anche che Rotor cerchi qui di affrontare il paradosso della rappresentazione dell’architettura. Se si danno il tempo di comprendere veramente il significato di almeno alcuni degli oggetti in mostra, i visitatori possono riuscire a impadronirsi di alcuni degli aspetti della disciplina e quindi farsi un’idea di che cosa possa essere l’architettura sostenibile nel mondo di oggi.
Nel 2013 sia la Triennale di Lisbona sia quella di Oslo assumono una posizione critica. A Lisbona il dialogo ha luogo nell’arena pubblica delle strade e delle piazze, su grandi piattaforme circolari che ricordano vagamente lo speaker corner di Hyde Park. A Oslo la cosa è per così dire molto più tranquilla. Come spiega Maarten Gielen di Rotor, “Behind the Green Door” è una mostra che fa da innesco alla conversazione, riguardo e intorno a un oggetto. E per corroborare quest’idea i curatori hanno chiesto a personaggi noti (tra cui Mirko Zardini, Andres Lepik, Eva Franch i Gilabert) di prestarsi a speciali visite guidate delle mostre, mettendo in luce alcuni artefatti a loro scelta e incoraggiando la sovrapposizione delle possibili letture della mostra. Ma resta la domanda: questi oggetti rappresentano davvero idee dell’architettura e aprono l’architettura a un pubblico più vasto?
Fino al 1° dicembre 2013
Behind the Green Door
Oslo Architecture Triennale (OAT)