Questo articolo è stato pubblicato su Domus 970, giugno 2013
Nel 1960, quando irruppe sulla scena internazionale un ambizioso gruppo di giovani architetti modernisti giapponesi —i metabolisti—, Kisho Kurokawa, il suo membro più giovane ed estroso, ideò un progetto arditamente teorico dal titolo Città Agricola.
Il gioco della vita
Una candida griglia rialzata dal terreno racchiude al suo interno una scacchiera di corti, giardini e ambienti domestici. Makoto Takei e Chie Nabeshima usano un elemento tipicamente modernista per rafforzare il legame della Gate Villa con il contesto e la sua storia.
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- Julian Worrall
- 01 luglio 2013
- lbaraki
Il piano immaginava un sistema infrastrutturale per la produzione agricola: una griglia in calcestruzzo — dalla scala gigante e con lati di 500 metri — era suddivisa in sezioni di 100 metri da cellule di uguali dimensioni, rialzate a quattro metri di altezza dal suolo da pilotis. Le cellule avrebbero sorretto edifici residenziali e pubblici, le travi della griglia ospitato le reti di trasporto e le altre infrastrutture, mentre il pianterreno sarebbe stato riservato completamente ad attività agricole.
Kurokawa concepiva la griglia come una struttura razionale e flessibile, capace sia di rispondere alle variabili topografiche del territorio e all’irregolarità morfologica del villaggio, sia di controllarle: una gabbia cartografica con la quale domare natura e tradizione, i due spettri pre-moderni che ossessionavano il cuore del Giappone moderno. Allo stesso tempo, secondo la classica teoria marxista di metà Novecento, la contraddizione tra città e campagna sarebbe stata risolta in un unico paesaggio produttivo: artificiale e integrato.
L’influenza del sogno modernista di Kurokawa sull’architettura della Gate Villa di Makoto Takei e Chie Nabeshima / TNA non può che condizionarne la lettura, nonostante gli architetti si proclamino innocenti nell’aver recepito questo legame. Qui, in un paesaggio quasi rurale, troviamo una griglia quadrata monocroma, rialzata a un’altezza di quattro metri dal suolo da pilotis; all’interno di questo astratto ordine rettilineo sono orchestrate sia la vita della natura sia quella degli esseri umani.
Trattandosi di un’abitazione monofamiliare con un modulo di sette metri, l’edificio ha una scala e un utilizzo completamente diversi, ma condivide con Kurokawa l’ambizione di integrare sfere complementari (la casa e il giardino) attraverso una struttura reticolare uniforme. All’interno di questa evidente somiglianza esistono, comunque, differenze significative, che segnano chiaramente la distanza tra il modernismo tecnofuturista di Kurokawa e ciò che potremmo chiamare il contestualismo astratto di Takei e Nabeshima.
Il progetto è situato in una zona residenziale di una piccola città a circa tre ore di macchina da Tokyo. Il contesto del sito è costituito da fattorie, piccoli campi e corsi d’acqua; nelle vicinanze si trovano diverse scuole pubbliche, mentre dietro sorge un rilievo con un bosco. Questa collina, oggi completamente coperta dalla vegetazione, formava, centinaia di anni fa, i bastioni di un castello e il pianoro ai suoi piedi costituiva le tenute dei vassalli del signore locale.
Per il committente, originario della zona, il progetto è diventato uno strumento per ricordare questa storia, traendo ispirazione dall’immagine del signore del castello che domina dall’alto le sue terre ordinate in modo tale da formare un disegno.
Al posto della frammentazione e della dispersione del contesto, né urbano né rurale, il cliente ha immaginato un ordine complessivo e armonioso che lega il sito con i suoi dintorni. Per realizzare questa idea sono stati uniti e collegati quattro lotti adiacenti, permettendo così di costruire una casa di grandi dimensioni, che occupa come impronta complessiva un’area
di oltre 1.000 mq.
Questa sensibilità al contesto è percepibile nella scelta di un modulo di sette metri: ripreso dalla griglia strutturale delle vicine scuole, è a sua volta il prodotto di regolamenti standard per l’edilizia scolastica, considerati in passato uno dei grandi risultati della modernizzazione del Giappone.
Al livello dei rapporti spaziali interni del progetto, le travi-parete che si estendono tra le colonne sono trattate come una struttura flessibile per regolare e armonizzare i collegamenti visivi tra i diversi ambienti. Dal punto di osservazione di un gatto, cioè poco più in alto del pavimento, lo spazio appare visivamente continuo: è interrotto solamente dalla griglia puntiforme delle colonne e dalle membrane trasparenti delle pareti di vetro. Con l’elevarsi del punto di vista, il campo spaziale si modifica, risolvendosi nei confini di una stanza o di un determinato ambiente. All’altezza del tetto, la griglia assume il suo definitivo aspetto cellulare.
Oltre alle specifiche funzioni strutturali, queste travi-parete—ovvero pareti di taglio sospese—fungono anche da delineatori spaziali, le cui altezze sono state calcolate accuratamente per trovare l’equilibrio ottimale tra apertura e chiusura. Non è stato adottato nessun codice modernista che fissi le dimensioni in altezza alla maniera di un Modulor: tutto è stato definito liberamente con decisioni intuitive e consapevoli, nel corso d’intense discussioni con il cliente.
La grande attenzione alla memoria storica, al contesto e ai rapporti spaziali fanno della Gate Villa un progetto tipico della sua epoca, che non deve certamente essere considerato un ritorno alla prepotente modernità rappresentata da Kisho Kurokawa. Makoto Takei e Chie Nabeshima impiegano griglie, strutture e altri stratagemmi modernisti non al servizio di uno spazio razionale universale, ma con l’intento di rafforzare lo spirito di luoghi e ambienti specifici, arricchendoli di una sensibilità di elegante equilibrio, ordine e armonia.