Il contesto della formazione all'architettura in Italia mette i suoi numerosi studenti di fronte a un paradosso della pratica professionale: da una parte, il curriculum accademico impone attenzione a un pragmatismo quasi dogmatico, dall'altra i neolaureati entrano in una realtà che offre limitate occasioni di applicare il loro sapere tecnico. Da studenti, hanno raggiunto un notevole livello di competenza, ma nel mondo dell'edilizia non c'è posto per loro. Un anno dopo la laurea, solo il dieci per cento trova un lavoro stabile in un grande studio e quasi il venti per cento non trova lavoro per nulla. In realtà, l'architetto medio accede a una congrua parte del complesso dell'edilizia italiana solo a quarant'anni – mentre nel resto d'Europa questo accade a trent'anni – e, a sessant'anni, non ha nemmeno raddoppiato la propria percentuale di progetti.
Lo scenario implica che, al momento in cui iniziano a incidere con interventi reali sull'ambiente costruito, gli architetti italiani siano per forza di cose saldamente radicati in una posizione fortemente burocratica (quando non nettamente nepotistica) e commerciale all'interno di una rete di potere. Non c'è da meravigliarsi, quindi, che le grandi opere pubbliche di oggi siano molto più interessanti dal punto di vista politico e finanziario che non per la qualità architettonica e urbanistica. Appartiene a questo genere di progetti l'area di Porta Nuova a Milano, uno dei più grandi siti europei di recente pianificazione e costruzione, realizzato (a dispetto di una quantità di vicissitudini legislative e logistiche) a spese del microtessuto preesistente e con scarsi contributi della comunità locale. All'ombra dei grattacieli che vanno sorgendo a Porta Garibaldi, tuttavia, un piccolo gruppo di studenti di architettura sta intessendo una diversa modalità creativa, in una sottile contestazione delle predominanti condizioni dell'accademia e dell'architettura convenzionale.
Parasite 2.0, collettivo di studenti ventitreenni del Politecnico di Milano, nasce dalla frustrazione per la natura – sotterranea ma al tempo stesso priva di fantasia – dei progetti universitari. Il loro primo lavoro ha assunto la forma di una modesta sperimentazione nel corso del Salone del Mobile del 2010: un sistema domestico di tavolo con due sedie installato in una nicchia dimenticata accanto al ponte che attraversa i binari alla stazione di Porta Genova, a sottolineare il completo disinteresse generale per lo spazio pubblico in un'atmosfera meramente commerciale.
Parasite Trip
L'ultima serie d'installazioni di Parasite 2.0, il collettivo di studenti del Politecnico di Milano, ci accompagna attraverso alcune spettacolari catastrofi architettoniche italiane dal Rinascimento a oggi.
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- Tamar Shafrir
- 17 gennaio 2013
- Venezia
Da allora, il collettivo ha elaborato una robusta metodologia operativa, messa alla prova in molteplici siti dalla Sicilia a Venezia. Ogni intervento viene definito da un insieme di parametri adattabili: le dimensioni dipendono dal numero dei partecipanti e dal tempo a disposizione, lo scenario dipende dalla ricerca condotta sul campo su siti abbandonati ma accessibili, la tipologia dipende dal risultato atteso in termini di uso dello spazio pubblico. Terminato il lavoro, il gruppo lo lascia sul posto perché venga usato o semplicemente osservato dai passanti curiosi.
La storia del modernismo in architettura è piena di movimenti di rottura analoghi, da Archigram a Haus-Rucker-Co, fino allo stesso Superstudio italiano. Questi gruppi d'avanguardia avevano forse motivazioni di genere differente: il loro contesto era la proliferazione ideologica dell'architettura sociale del dopoguerra in un'epoca di apparente abbondanza materiale, e quindi il loro lavoro aveva ben poco bisogno di materializzarsi realmente per suscitare una critica. Molti dei loro progetti esistevano in quanto architettura teorica visionaria e non come edifici reali, senza alcuna penalizzazione del loro patrimonio culturale in quanto architetti.
Parasite 2.0, d'altra parte, definisce il suo contesto come architettura del dopo crisi, immaginando un "futuro primitivo" che si nutre voracemente dei ruderi del vecchio mondo. Per i membri del collettivo, insediati sulla soglia del mondo del possibile, una congettura di questo tipo richiede espressioni di reale attività costruttiva più che immagini radicali. Non è una sorpresa, data la portata con cui l'attuale tecnologia dell'immagine d'architettura si è integrata nell'infrastruttura della speculazione commerciale. Nello stesso spirito, Parasite 2.0 ignora la tecnologia d'avanguardia dell'architettura contemporanea, che esclude la grande maggioranza della popolazione da qualunque tipo di partecipazione; e auspica invece una forma di "competenza inconsapevole" che usa materiali a buon mercato o casuali che permettono d'improvvisare sul posto e di rispondere alle caratteristiche locali. Il loro ultimo lavoro, Parasite Trip, è iniziato come parte di GrandTour_projects, la collezione di progetti curata da Stefano Mirti per la Biennale Architettura di Venezia. Quando li hanno informati all'ultimo momento che il loro lavoro avrebbe dovuto essere radicalmente ridimensionato per ottenere l'autorizzazione del padiglione italiano, non hanno abbandonato il progetto: hanno semplicemente ricollocato le loro installazioni nel loro ambiente naturale (lo spazio pubblico) e le hanno realizzate in piena notte, senza il fastidio di chiedere un'autorizzazione ufficiale. Le installazioni consistono in un percorso che va da Milano a Venezia, attraverso spettacolari catastrofi architettoniche italiane dal Rinascimento a oggi.
Parasite 2.0 auspica una forma di competenza inconsapevole che usa materiali a buon mercato o casuali che permettono d'improvvisare sul posto e di rispondere alle caratteristiche locali.
Una delle soluzioni è una rete strutturale aperta di polietilene stirato, realizzata nella non finita stazione milanese di San Cristoforo, di Aldo Rossi, e sulle colonne della chiesa veneziana di San Francesco della Vigna. Il gruppo ha anche colonizzato edifici abbandonati – tra cui l'Istituto Marchiondi Spagliardi di Vittoriano Viganò a Milano e il forte dell'isola di Sant'Andrea nella laguna veneziana – con escrescenze gonfiabili luminescenti a misura d'ambiente, che spuntano come braccia negli spazi vuoti. Infine il collettivo si è fatto pioniere di una nuova tipologia a porto Marghera: dalle viscere di una vecchia fabbrica di alluminio emerge un soffio di fumo colorato, espressione istantanea dello "spirito" di un edificio vivente. Parallelamente a queste differenti costruzioni il gruppo ha anche pubblicato un manifesto a fumetti, disegnato un artista di nome "3", che visualizza i suoi principi etici e tattici. Parasite 2.0, oltre ad aver elaborato un linguaggio espressivo, ha anche lanciato alla comunità dell'architettura italiana e al grande pubblico una sfida emozionante. A giudicare dai loro saltuari contatti con la polizia il concetto di cancro spaziale o di dipendenza edilizia è ancora al di là di ciò che l'osservatore medio accetta come architettura. Ma se le istituzioni continueranno a negare ai giovani italiani l'ingresso nei canali ordinari, essi troveranno inevitabilmente una strada alternativa per dar forma attivamente all'ambiente costruito. Parasite Trip è stato completato con la collaborazione di IRA-C (Interaction Research and Architecture in a Crisis Context).