La cosa forse più interessante dell'ambiziosa mostra "Architektonika 2" dell'Hamburger Bahnhof è il modo in cui riesce a evitare di adottare qualunque criterio architettonico specifico (per esempio la funzionalità, la sociologia o l'ecologia). Anzi, le opere propongono le proprie prospettive individuali e conflittuali, e mostrano i rispettivi punti di intersezione e di conflitto, per quanto i vari punti di vista sullo spazio non possano essere messi a confronto facilmente.
È un fatto che risulta evidente dall'accostamento di un Dan Graham d'annata, analitico (Split-Level, "Two Home Home", Jersey City, 1966, e Homes for America, 1972) a un tardo, esperienziale Carl Andre (07515 Karlsplatz, 1992), oltre che dall'accostamento di un tardo, esperienziale Dan Graham (Portal, 1997, e Children's Pavilion, 1991, giocosa collaborazione con Jeff Wall) alle fotografie di Tobias Zielony, in cui persone e abitazioni popolari sono congelate nella loro iconografia di provocazione e di minaccia.
L'assenza di un criterio di controllo è decisamente insolita in una mostra d'architettura, e forse questa si può meglio definire una mostra d'arte sull'architettura. Il caso limite di questi fisici esperimenti concettuali è l'installazione di Bruce Naumann, a grandezza naturale, Room with My Soul Left Out, Room That Doesn't Care (1984), in cui il visitatore entra in uno di quattro corridoi perpendicolari che confluiscono in un pozzo centrale. Quando ci si avventura sulla grata metallica al centro dell'installazione un corridoio sprofonda immediatamente in basso, un altro si apre in alto. Un minimalismo architettonico quanto mai rigidamente lineare, un'intersezione aperta a ogni esito – o a nessuno.
Architektonika 2
Le opere d'arte e architettura in mostra all'Hamburger Bahnhof propongono le proprie prospettive individuali e conflittuali, i rispettivi punti d'intersezione e di conflitto, rimanendo sempre comunque difficilmente confrontabili.
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- Zachary Sachs
- 15 novembre 2012
- Berlino
Fa spesso la sua comparsa la risonanza storica della città ospite: Nina Fischer e Maroan el Sani combinano con ironia simboli culturali in Klub der Republik (2004) – modello del Palast der Republik, l'ex sede del Parlamento della Germania Est – traboccante di pulsanti ritmi tecno. Wedding Therese di Hermann Pitz (1984) riflette sulla divisione e sull'unità politica: ne fa parte il telaio di una finestra proveniente da un'installazione realizzata a Kreuzberg, a Berlino Est, ripresa a due anni di distanza come parte di un involucro in forma di televisore nel quartiere di Wedding (diviso in due dal Muro). Il ricomparire di caratteristiche di questo o quel lato o aspetto della città, oggi però in forma di simulazione o di riferimento, mostra la separatezza della città non solo in quanto muro, ma in quanto specchio in cui si verifica una regressione infinita tra interno ed esterno, tra passato e presente. L'opera più brillante e audace non sta dentro la mostra in sé, ma si esprime come protagonista di un video: Dammi i colori di Anri Sala. In una buia sala sotterranea la proiezione mostra un tetro paesaggio urbano notturno: la macchina da presa tremola mentre scorre lungo le immagini del piano sequenza di una città in rovina. Una monotona voce fuori campo descrive la scena in albanese: "La città era morta. Pareva una stazione di transito, dove ci si ferma solo in attesa di qualcosa". Poi un'inquadratura fissa muta ritrae un edificio in attesa di tinteggiatura e di lavori; mentre un raggio di luce lo percorre lentamente, la griglia dell'impalcatura disegna un traforo d'ombre sulle campiture color arancione, giallo oro e verde pallido della facciata.
Ora la voce fuori campo viene sostituita dalla figura di Edi Rama, sindaco di Tirana dal 2000 al 2011, seduto nella parte posteriore di un furgone, che illustra pacatamente il suo punto di vista sulla trasformazione della città. Indicando le rovine delle strade dice: "Tutto questo paesaggio riflette il pluridecennale sradicamento del pensiero individuale nell'indifferenza dello Stato". Rama, passandosi una mano sul mento e parlando lentamente, descrive come, dopo la caduta del regime comunista albanese, un'epoca di quasi totale anarchia abbia devastato servizi e strutture della città. Il primo progetto importante di Rama nella capitale fu quello di dipingere a colori brillanti, provocanti gli edifici dei viali principali: per motivi architettonici oltre che politici. I primi si riferivano alla trasformazione delle abitazioni che erano proliferate dopo il collasso del comunismo: "Aggiungendo un balcone, un piano o un negozio non era importante quale forma si sarebbe venuta a creare…" I colori sarebbero serviti a "legare tra loro tutti i volumi".
Ma l'obiettivo più audace era sociale e politico: suscitare, tramite la vistosità e l'intensità dei colori e dei relativi motivi decorativi, un qualche dialogo civile. Rama, in un intervento del 2002 alla Tate Modern, descrisse le condizioni del popolo minuto all'inizio del suo mandato: i cittadini, dichiarò, avevano perso il senso di appartenenza a una comunità. Perfino le parole che erano in rapporto con lo spazio pubblico erano state avvelenate dalle peggiori connotazioni. I colori, pensava, potrebbero prenderne il posto. Vennero condotti dei sondaggi per verificare le reazioni. Ad alcuni cittadini piacevano le tinte prescelte, a molti no. Ma se si chiedeva loro se volevano proseguire nel progetto la maggioranza favorevole era assolutamente predominante. "Il tema del giorno nei caffè, nelle case, per la strada era 'quali sono i colori migliori'". La pura e semplice tinteggiatura, a quanto pare, era riuscita a creare, grazie al suo carattere provocatorio, una nuova concezione dello spazio e quindi un senso dell'ordine civico. Da altri punti di vista, affermava Rama, i colori sono cosmetici "come un abito, o come un rossetto. Qui sono organici".