Il ritorno dello Stedelijk

Con il completamento del progetto di Benthem Crouwel e la fine di un'odissea ventennale, lo Stedelijk non ha più scuse: dovrà giocare il proprio ruolo di primo piano, portando avanti i discorsi del contemporaneo.

A infilarcisi sotto – sovrastati da quella tettoia liscia e bianca che si affaccia protettiva e s'incurva come un corpo unico e alieno sulla piazza Museumplein – quasi ci si scorda dell'implicita ineleganza di un edificio che, fin dalla concezione, ricorda quasi inequivocabilmente una vasca da bagno. Non che l'estensione dello Stedelijk Museum, firmata Benthem Crouwel sia priva di qualità. Per esempio, la trasparenza della base smussa e alleggerisce l'appariscente volume, che accoglie la piazza senza schiacciarla e invita all'esplorazione dei propri ampi spazi interni, che sfoggiano – tra l'altro – l'originale facciata posteriore del più rispettabile e rispettoso edificio principale. Quanto al suo guscio sgraziato, poco importa il look: l'apertura arriva come una sana boccata d'aria alla fine di un'estenuante apnea.

Come istituzione, il Museo Stedelijk è nato da una costola del più storico Rijksmuseum nel 1874, per poi emanciparsi e guadagnarsi una propria sede – sobria ed educata, in classici mattoni rossi, progettata da A. W. Weissman – a poche decine di metri di distanza dal genitore. Fatta eccezione per gli imbarazzi dell'ultimo ventennio – che spiegheremo più avanti – la carriera del museo è stata gloriosa. Nei primi anni '60 del secolo scorso (ancora sotto la direzione del leggendario Willem Sandberg, figura chiave nella resistenza culturale locale, prima e durante la Seconda guerra mondiale), lo Stedelijk ha ospitato eventi innovativi come la mostra/labirinto "Dylaby" di Tinguely, Spoerri e soci, dando in seguito spazio a movimenti d'avanguardia come Situazionisti, Nouveaux Réalistes, CoBrA, Zero e Nul, e diventando un punto di riferimento in particolare per l'arte concettuale (insieme alla galleria/rivista Art & Project, sempre di Amsterdam). In quegli anni, la vivace programmazione del museo contribuì probabilmente all'energia creativa e politicamente rivoluzionaria che aleggiava nella capitale olandese (già scossa, per esempio, dalle azioni del movimento di protesta anarchico-creativa Provo), rendendo la città un posto eccitante per l'arte e uno snodo culturale dove si sono fatti dei pezzi di storia. È all'Hilton di Amsterdam che Yoko Ono e John Lennon fecero il loro primo bed-in nel 1969 e, sempre tra i canali, Marina Abramovic faceva la conoscenza del proprio futuro partner (artistico e non) Ulay nel 1975.

In apertura: facciata dallo Stedelijk Museum vista da Museumplein. Photo Ernst van Deursen. Qui sopra: Stedelijk Museum, vista dell'edificio originale (A.W. Weissman, 1895) e della nuova estensione progettata da Benthem Crouwel

Meno felici sono stati invece i piani di estensione dello Stedelijk. A partire dai primi anni '90, infatti, il museo è stato lo sfortunato protagonista di un'odissea ventennale che ha visto avvicendarsi tre studi architettonici e non meno di cinque direttori, per poi finalmente terminare con l'inaugurazione del nuovo edificio di Benthem Crouwel il 23 settembre scorso (alla cui cerimonia ha partecipato anche la regina Beatrice). I problemi sono cominciati nel 1993, quando il direttore entrante Rudi Fuchs si trovò decisamente insoddisfatto del progetto architettonico presentato da Robert Venturi, scelto dal suo predecessore Wim Beeren l'anno prima. Quando questo si rivelò essere fuori budget, il cantore postmoderno per antonomasia venne sostituito da Alvaro Siza, ma anche il design del portoghese – dopo un inciampo legale che costrinse il museo a lanciare un bando ufficiale, conclusosi comunque con la sua conferma – venne a sua volta messo da parte perché troppo costoso. Il progetto attuale emerse finalmente come vincitore unanime nel 2004, da una gara tutta olandese, ma tra crisi economica e bancarotte di costruttori l'apertura ufficiale fu continuamente rimandata, mentre il budget lievitava da 17 a 127 milioni di euro.

Vista aerea di Museumplein. Dall'alto, in senso orario, Rijksmuseum, Van Gogh Museum, Stedelijk Museum, Concertgebouw. Photo KLM Carto

Nel frattempo, lo Stedelijk, come istituzione, si aggirava come un fantasma tormentato per la città. Dal 2004 al 2008 la sua anima ufficiale veniva ospitata da un poco carismatico edificio sobriamente torreggiante sull'allora acerba frangia urbana che dalla Centraal Station si allunga sull'Ij, adesso coperta da architetture sfavillanti come l'OBA, la biblioteca pubblica più grande d'Europa. Un paio di anni fa, invece, tornava a fare capolino a casa propria, per rinfrescare la propria collezione con qualche mostra nostalgica e sparire di nuovo. Intanto, forse per non sfigurare rispetto a realtà cittadine più piccole e flessibili, lo SMBA (il project space del museo, fondato guarda caso nel 1993) si dava da fare sia esibendo, all'interno del proprio spazietto collocato nell'area centrale dello Jordaan, artisti del tipo di Vincent Vulsma, Carlos Garaicoa e Alfredo Jaar, sia gestendo progetti collaterali come BijlmAIR, un programma di residenze d'artista nel (non più così) malfamato quartiere del Bijlmer.

La facciata dello Stedelijk Museum vista dal Van Gogh Museum. Photo John Lewis Marshall

Se da un lato il tanto atteso completamento del progetto di Benthem Crouwel pone fine a una stringa imbarazzante di rimandi e sprechi, esso rappresenta solo uno dei molti cambiamenti che il panorama culturale di Amsterdam ha visto negli ultimi anni. Alcuni si notano a vista d'occhio: il rinnovamento dei musei più istituzionali come Stedelijk e Rijksmuseum (che dovrebbe anch'esso riaprire al pubblico in versione rinnovata nel 2013) mira a ristabilire il prestigio del centro cittadino come attrazione turistica di alto profilo, mentre l'atterraggio appena oltre la Centraal Station del nuovo e spaziale Eye Filmmuseum, nel piacevolmente ruvido e berlinesco Noord, estende detto prestigio a lidi sui quali (da est a ovest) si sta contemporaneamente stringendo uno sviluppo urbanistico piuttosto arrembante. Le evoluzioni meno piacevoli non sono però immediatamente visibili ai visitatori, anche se i più informati avranno senz'altro sentito parlare dei tagli alla cultura annunciati dal ministro Halbe Zijlstra l'anno scorso.

Il nuovo atrio all'ingresso dello Stedelijk Museum. Photo John Lewis Marshall

Alcuni attori minori ma fondamentali nel discorso contemporaneo locale sembrano essere ancora in forma (ad esempio il virtuoso SMART Project Space e lo storico De Appel – quest'ultimo ha addirittura cambiato casa sistemandosi proprio sul perimetro del già citato Ij, zona lacustre ma sempre meno stagnante), ma altre eccellenti realtà cittadine sono già state pesantemente sgambettate dal provvedimento. Dopo decenni di onorata carriera, l'istituto di media arte NIMk sarà costretto a chiudere a fine anno, e anche SKOR, fondazione per l'arte e il dominio pubblico, dovrà cambiare forma o scorporarsi per non scomparire del tutto. È un peccato, perché entrambe fanno parte del meglio che Amsterdam ha da offrire.

Il nuovo atrio all'ingresso dello Stedelijk Museum. Photo John Lewis Marshall

Adesso non voglio fare necessariamente il pessimista, siccome nel suo piccolo la mostra Beyond Imagination attualmente in corso mi è sembrata già un buon inizio, ma una cosa la voglio aggiungere. Quale che sia il futuro dell'arte nella capitale olandese, lo Stedelijk non ha più scuse: dovrà giocare il proprio ruolo di primo piano, portando avanti i discorsi del contemporaneo e tenendo alti gli standard che le altre realtà cittadine più o meno indipendenti hanno mantenuto nonostante l'intermittenza della sua presenza centrale fin da adesso. Oltre al suo museo di alto profilo, una città come Amsterdam si merita anche questo.

Karel Appel, Mural (1956), nell'ex spazio del ristorante dello Stedelijk Museum. Photo John Lewis Marshall
Vista dell'ingresso. Photo Gert-Jan van Rooij
Scala mobile all'ingresso dello Stedelijk Museum. Photo John Lewis Marshall
Il nuovo atrio all'ingresso dello Stedelijk Museum. Photo John Lewis Marshall