L'ultimo contributo alla serie di mostre del MoMA sull'impegno in architettura, 9 + 1 Ways of Being Political: 50 Years of Political Stances in Architecture and Urban Design ("Nove modi più uno di far politica: cinquant'anni di posizioni politiche dell'architettura e dell'urbanistica"), è una gradita integrazione all'ondata di mostre militanti degli scorsi anni. La mostra discute dei recenti appelli alla politicità dell'architettura e analizza storia, retorica e metodi dell'"architettura politica". Offre un organizzato panorama storico delle varie sfere d'azione politica in cui si è collocata l'architettura, a partire dal Fun Palace di Cedric Price per Joan Littlewood, del 1959-61, fino alla recente acquisizione di due performance intitolate IKEA Disobedients dello studio Andrés Jaque Architectos.
"9 + 1 Ways of Being Political" è la prima mostra dell'architetto portoghese Pedro Gadanho come curatore della sezione Architettura e Design contemporanei del MoMA, ed è stata allestita in collaborazione con la vicecuratrice Margot Weller. La mostra prende il posto di "Foreclosed: Rehousing the American Dream" di Barry Bergdoll e Reinhold Martin, fondata su un'ampia ricerca, appositamente commissionata e – ne sono certa – dotata di finanziamenti molto più esigui. Ma se Gadanho è relativamente meno audace di Bergdoll nella forma e nelle ambizioni curatoriali, si distingue comunque come un personaggio agile, che ha bisogno di seguire il ritmo degli eventi contemporanei.
La mostra riporta il terzo piano del MoMA alla funzione di rappresentare, storicizzare e classificare i mutamenti sociali invece che promuoverli. Fatto forse ancor più importante, le sale sono tornate all'esposizione esclusiva della collezione permanente del MoMA, il che ha di per sé un senso politico. Mentre la maggior parte delle opere risale agli anni dai Sessanta agli Ottanta la stragrande maggioranza è stata acquisita dopo il 2000.
Apre la mostra una serie di fogli di OccuPrint (i manifesti del movimento Occupy) che visivamente si fondono con i manifesti dell'esposizione. Questo gesto d'apertura e di adesione alla politica radicale ha suscitato la mia curiosità, ma è soltanto una linea adottata a livello di grafica. La mostra si adegua al linguaggio grafico di Occupy Wall Street, e fornisce perfino delle locandine gratuite per ciascuna sezione.
La politica e l'architettura secondo il MoMA
Che cosa significa per l'architettura essere politica? La prima mostra curata da Pedro Gadanho al MoMA riporta il terzo piano del museo alla funzione di rappresentare, storicizzare e classificare i mutamenti sociali invece che promuoverli.
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- Victoria Øye
- 24 settembre 2012
- New York
La gallerie è suddivisa in dieci sezioni, tra cui "Radical Stances: 1961-1973" ("Posizioni radicali: 1961-1973), "Fiction & Dystopia: 1963-1978" ("Narrazione e distopia: 1963-1978), "Deconstruction: 1975-1999" ("Decostruzione: 1975-1999"), "Consuming Brandscapes: 1969-2004" ("Paesaggi del consumismo: 1969-2004"), "Performing Public Space: 1978-2011" ("La gestione dello spazio pubblico: 1978-2011"), "Iconoclasm & Institutional Critique: 1964-2003" ("Iconoclastia e critica delle istituzioni: 1964-2003"), "Enacting Transparency: 1967-2011" ("Realizzare la trasparenza: 1967-2011"), "Occupying Social Borders: 1974-2011" ("Occupare le frontiere sociali: 1974-2011"), "Interrogating Shelter: 1971-2003" ("Interrogare la casa: 1971-2003"). In questa classificazione, esperimenti di senso formale e intellettuale (le abitazioni di Peter Eisenman, la Fondation Cartier pour l'Art Contemporain di Jean Nouvel, la National Commercial Bank di Gedda dello studio SOM) vengono messi sullo stesso livello di gesti più socialmente impegnati (la biblioteca dello studio Mazzanti Arquitectos di Medellín, l'ospizio per i senzatetto paraSITE di Michael Rakowitz, il lavoro sull'immigrazione dell'Estudio Teddy Cruz). Alla politica della forma – se mai ce n'è una – è stato attribuito un ruolo preminente. Il senso, a quanto pare, è che un appello politico nei confronti dell'architettura può altrettanto essere un appello alla sua autonomia e alla sua indipendenza dalla politica del mondo quotidiano.
Nella sezione finale e più applaudita della mostra – "The Politics of the Domestic: 2011-2012" ("La politica della domesticità: 2011-2012") – il personale si fa politico grazie alla recente acquisizione da parte del MoMA di IKEA Disobedients della studio madrileno Andrés Jaque Architectos. Mentre spicca l'assenza dalle altre nove sezioni di progetti esplicitamente riguardanti il genere e la sessualità, il breve video del 20111 di Andrés Jaque Architectos e le performance in programma rappresentano una netta presa di distanza dall'eteronormatività ipocrita e giovanilista della pubblicazione più diffusa del mondo: il catalogo IKEA. La pubblicazione, che quest'anno conta di distribuire 208 milioni di copie in tutto il mondo, supererà del doppio la tiratura della Bibbia. È la prova provata non solo della nostra ossessione per la cultura della casa, ma anche dell'immenso impatto culturale dell'ideologia domestica dell'IKEA.
Se Gadanho è relativamente meno audace di Bergdoll nella forma e nelle ambizioni curatoriali, si distingue comunque come un personaggio agile, che ha bisogno di seguire il ritmo degli eventi contemporanei.
La mostra solleva una serie d'importanti e difficili questioni che, nell'evoluzione della professione in direzione di nuove sfide mondiali, economiche e ambientali, continuano a rimanere pertinenti: che cosa significa per l'architettura essere politica? Come può l'architettura essere politica attraverso la forma? Qual è lo spazio della politica? La risposta data a queste domande è ricca, con una bella varietà di linguaggi e di opere che vanno dai modelli d'architettura alla fotografia, alle arti figurative, ai video d'informazione, alle registrazioni di performance e alla grafica. In questo senso "9+1" apre una vasto orizzonte d'azione che consente all'architettura di essere 'politica' in tutta una varietà di modi. La possibilità di polemiche d'architettura, tuttavia, rimane ancora confinata agli artefatti formali, mentre non sono presenti opere basate sul testo come i manifesti, gli opuscoli e le riviste. Pare un'occasione mancata, dato che le aspirazioni politiche della neoavanguardia architettonica comprendevano anche l'espansione sul terreno della stampa e dei mass media.
Naturalmente l'architettura e la politica hanno una storia molto più ricca di quella che ci viene proposta da questa mostra. Molte battaglie combattute sul diritto di rappresentanza e di sperimentare forme alternative di abitazione e di organizzazione sociale non hanno adeguata visibilità. Che si tratti di una conseguenza delle scelte curatoriali di Gadanho o dei vincoli imposti dalla collezione del MoMA, sono due facce della stessa medaglia. Invece di provocare stupore di fronte alla grandezza storica dell'architettura politica, la massiccia presenza della potenza istituzionale dell'architettura e di opere monumentali e canoniche appesantisce la mostra e la fa apparire un po' addomesticata. "9 + 1 Ways of Being Political" è una mostra che arriva al momento giusto, è importante e ben presentata. E tuttavia sono stato lieto di avere avuto l'occasione di visitare la spettacolosa grande mostra d'autunno del museo, "Century of the Child: Growing by Design, 1900-2000" ("Il secolo del bambino: crescere attraverso il design, 1900-2000"), per vedervi esposte due opere che fanno anche parte di "9 +1": il Geopark degli architetti norvegesi Helen e Hard (2009) e Toys 'R' Us di Andreas Gursky (1999). Contrariamente a "9 + 1 Ways of Being Political", "Century of the Child" è l'espressione del genere di gioco fantasioso e sovversivo necessario a una politica veramente inventiva.