Amato maestro, Mein Lieber Freund
Nel 1983, con una tempistica oggi inimmaginabile, Aldo Rossi riceve l'incarico di dirigere la III edizione della Biennale di Architettura prevista da lì a due anni.
Al momento della nomina l'architetto milanese — che succede a Paolo Portoghesi, chiamato a presiedere l'intera istituzione della Biennale veneziana — è conosciuto anche internazionalmente per i contributi di tipo teorico legati allo studio dei fenomeni urbani, grazie ai libri L'architettura della città (1966) e Scientific Autobiography (1981); le sue architetture costruite eccedono di poco le dita di una mano, ma si sono imposte anche grazie a una indiscussa forza icastica.
Assertore di un'architettura motore e materia essa stessa della trasformazione urbana, dove la dimensione critica sorregge la volontà politica di intervenire nella costruzione incessante della città, Aldo Rossi vede nella nuova edizione della Biennale l'occasione per superare l'impasse disciplinare consegnata alla storia dalla "Strada Novissima" dell'edizione portoghesiana.
Da qui la decisione di non limitarsi a esporre solo "opere selezionate e artisti eccezionali", ma di bandire un concorso-esposizione aperto ai più diversi contributi, agli architetti più influenti nel dibattito culturale, ai docenti universitari e più generalmente a tutto il mondo del progetto, proponendo loro di misurarsi con temi concreti calati nella realtà di Venezia e del suo entroterra.
Gli Archi di Aldo Rossi
A Ca' Giustinian, sede della Biennale di Venezia, una piccola mostra rende omaggio, con bei materiali d'archivio, alla 3. Mostra Internazionale di Architettura del 1985 e al suo direttore, Aldo Rossi.
View Article details
- Raffaella Poletti
- 28 giugno 2012
- Venice
Il grande successo di quella scelta, riscontrabile nell'alto numero di adesioni internazionali (3.000 iscrizioni, 1.500 elaborati consegnati, 500 progetti selezionati) e nella qualità delle proposte, che ponevano in primo piano questioni fondative come il rapporto tra storia e progetto e quello tra territorio e individualità culturale (leggibile allora secondo la declinazione strutturalista nella relazione tra lingua e dialetto, oggi aperto ad accogliere il binomio zeitgeist locale/globale), inaugura a tutti gli effetti un tipo nuovo di confronto nella cultura e nel mestiere dell'architetto.
Non sorprende quindi che oggi David Chipperfield, cui sono toccati tempi ben più esigui per progettare la sua Biennale, ritrovi una consonanza tra il programma aldorossiano e la sua ricerca di un Common Ground in grado di ricomporre il dialogo spezzato non solo all'interno della professione, ma anche tra architettura e società, conferendole una necessità culturale anziché una pura strumentalità economica. Nella rilettura a ritroso delle edizioni precedenti individua il rischio della costruzione del dispositivo-mostra come mero catalogo della produzione architettonica, che privilegia una esarcerbata individualità, del progettista e del manufatto, spesso privo di una reale scala urbana.
Da qui la decisione di riproporre i progetti e i materiali relativi a quella III edizione conservati nell'archivio ASAC in una piccola esposizione che con elaborati di concorso e manifesti, ma soprattutto sul doppio registro delle immagini dell'allestimento e dell'inaugurazione e della fitta corrispondenza intrattenuta da Rossi con maestri, amici e colleghi, ci restituisce un po' di quello spirito, l'illusione di partecipare, tutti, alla costruzione di qualcosa di speciale.
L'occasione sembrava interessante anche per riconsiderare un tema caro alla poetica aldorossiana: quello delle architetture effimere concepite per Venezia. Titolo e immagine riportata sulla locandina della mostra alludono infatti alla 'macchina' espositiva predisposta per l'occasione, che trovava il suo fulcro in una sequenza di tre archi alti 8 m, disposti lungo il viale tra il Padiglione italiano e l'ingresso: i primi due tappezzati di manifesti policromi, come uno sfondo bizantino o un muro urbano, riproducenti i progetti selezionati dalla Giuria (oggi parzialmente riproposti in mostra); il terzo, bianco, collocato sotto la cupola d'ingresso del padiglione; tutti e tre sormontati da scritte in lamiera rossa a grandi caratteri: VENEZIA - BIENNALE - L'ARCHITETTURA, citazione insieme delle amatissime Impressions d'Afrique di R. Roussel e delle costruzioni pubblicitarie futuriste.
Questo progetto faceva seguito a due tappe precedenti: il portale dall'aspetto costruttivo vagamente gotico alle Corderie dell'Arsenale per la Biennale del 1980 e, l'anno prima, l'esperienza cruciale del Teatro del mondo, cui di recente la stessa Biennale ha dedicato un'approfondita rievocazione.
Nella nota lettura rossiana, l'architettura effimera è l'antecedente del monumento: "al pari del teatro il portale recupera le costruzioni delle città che nascevano per precise occasioni della vita urbana e poi venivano distrutte o trasformate in architettura di pietra". In questo spirito s'inscrive la proposta, poi non realizzata, in occasione della V edizione della Biennale 1991, della trasformazione in mattoni, pietra d'Istria e acciaio degli Archi del 1985.
Ma l'effimero è la condizione primigenia, o, meglio ancora, generale dell'architettura come gesto squisitamente umano: "Sempre effimera è l'opera dell'uomo, sia che venga distrutta per arbitrio e prepotenza dei politici, sia che ritorni natura attraverso il tempo". In stretto confronto con le tesi di Manfredo Tafuri, l'effimero ricopre il ruolo, centrale, di elemento progressivo rispetto al reale, teso come è alla ricerca di messaggi alternativi nei confronti dei luoghi in cui s'inscrive.
In quei primi anni Ottanta, Aldo Rossi contrappone il lavoro minuto degli scritti, di piccole opere, in opposizione al "sistema sordo che ha distrutto e depredato le nostre città".
Forse è a partire da qui che potremmo ricostruire un Common Ground.
Raffaella Poletti
fino al 25 novembre 2012
Gli "Archi" di Aldo Rossi per la 3. Mostra Internazionale di Architettura 1985
mostra organizzata dalla Biennale di Venezia – ASAC Archivio Storico delle Arti Contemporanee, in collaborazione con IUAV
Ca' Giustinian, San Marco 1364/A, Venezia