Questo articolo è stato pubblicato su Domus 952, novembre 2011
È un anno fondamentale per l'architettura in America.
Minoru Yamasaki completa le Twin Towers, gli edifici più alti del
mondo. Louis Kahn, a sua volta, consegna una coppia canonica: la
Phillips Exeter Academy Library e il Kimbell Art Museum. Yale apre
la sua facoltà di architettura in una costruzione mastodontica,
una sorta di castello di cemento bocciardato a opera di Paul
Rudolph, mentre la Graduate School of Design di Harvard
inaugura la solida Gund Hall di John Andrews. Ancora a New York,
appare il grattacielo One Penn Plaza, un esempio da manuale di
Manhattanism firmato Kahn & Jacobs, lo studio associato del
Seagram Building di Mies: e il medesimo studio in cui la scrittrice
Ayn Rand prova sulla sua pelle quanta tracotanza vi possa essere
in architettura quando inventa la figura di Howard Roark, il
protagonista del suo romanzo The Fountainhead.
L'affermazione di Charles Jencks riferita alla distruzione di
Pruitt-Igoe, un altro progetto modernista di edilizia popolare di
Yamasaki a St. Louis, annuncia la fine dell'era della ricostruzione
della società civile negli anni di JFK/Johnson: un periodo che
produsse in tutti gli Stati Uniti un'intrepida ondata di edifici
pubblici e accademici in stile neo-brutalista. L'opposta politica
urbanistica di Nixon pose fine a tali costruzioni, determinando
una seconda spinta alla periferizzazione, accentuata dal
fenomeno del ritorno dei veterani del Vietnam. Esce Learning
from Las Vegas; le cose si complicano; nasce il postmodern.
Nello stesso anno, Rem Koolhaas si trasferisce a Ithaca, New York,
per studiare alla Cornell Univesity. Il College of Architecture, Art
and Planning (che conta tra i suoi ex studenti Peter Eisenman
e suo cugino Richard Meier) e guidato in quei giorni da Oswald
Mathias Ungers: OMU per gli amici. La scuola è ospitata
dall'ottocentesca Sibley Hall, nell'Arts Quadrangle del campus.
A pochi passi, e prossimo al completamento l'iconico Johnson
Museum of Art di I.M. Pei, struttura in cemento caratterizzata
da massicce forme rettangolari e da spazi aggettanti. Con il suo
ingegnoso programma di sovrapposizioni, Pei realizza quella
che, per molti anni, rimarrà una delle ultime lungimiranti
architetture della East Coast.
Milstein Hall, OMA Reloaded
L'edificio è l'ampliamento del Cornell College of Architecture, Art and Planning a Ithaca, dove ha studiato lo stesso Koolhaas.
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- Florian Idenburg
- 04 novembre 2011
- Ithaca
La permanenza in carica di Ungers alla Cornell (1969–1975)
funge da catalizzatore per la sua carriera e consolida, allo stesso
tempo, anche la reputazione internazionale della facoltà come
polo del pensiero architettonico, incentrato, in particolare, sul
razionalismo e sul postmodernismo. I suoi temi (trasformazione,
interpretazione, tipologia e metamorfosi) influenzano il giovane
Koolhaas. I primi lavori di OMA (lo studio viene fondato nel
1975) sono visibilmente condizionati dal discorso postmoderno
dell'epoca. Tuttavia, a differenza di altri autori contemporanei,
OMA sviluppa una sua specifica versione del postmodernismo,
impiegando segni e simboli moderni piuttosto che classici, come
dimostra il suo contributo alla Biennale di Paolo Portoghesi del
1980, intitolata La presenza del passato.
Dopo il pubblico rifiuto dell'ultima ondata di costruzioni
moderniste negli Stati Uniti, l'architettura universitaria abbraccia
con entusiasmo lo stile postmoderno, ritenuto umanistico e ricco
di riferimenti storici. Robert Venturi, Michael Graves e Charles
Moore lasciano la loro impronta nei campus di tutto il Paese.
Nel tempo, il postmodernismo perde smalto e l'iniziale accento
critico. Si tramuta in neoclassicismo, il quale, con poche eccezioni
di rilievo, diventa lo stile standard di qualsiasi progetto di edilizia
universitaria: un cavallo vincente per assicurarsi il sostegno
dei finanziatori privati. La Milstein Hall, il recente ampliamento
del Cornell College of Architecture, Art and Planning da poco
completato a firma di OMA, va esaminata in tale contesto.
Mettendo a frutto la lezione imparata in altri progetti americani (come la cancellazione degli incarichi per il Whitney Museum e il LACMA) e trovandosi improvvisamente all'interno di un confuso processo che ha visto coinvolti i conservatori avversi al progetto e i puristi del campus, OMA ha studiato una soluzione sottile e accorta. "Si tratta, senza dubbio, di un esercizio d'intervento misurato e discreto", ha sostenuto Koolhaas. La costruzione è fondamentalmente un parallelepipedo di acciaio con le aule di lavoro, sovrapposto a un rilievo in cemento che ospita gli spazi assembleari. Questa semplice composizione, appena visibile dall'Arts Quadrangle, e posizionata ingegnosamente in quello che è stato per anni un posteggio sul retro del complesso. Avviluppata in marmo striato bianco e grigio, Milstein Hall è un lupo travestito da agnello. Dall'esterno, l'edificio è molto misurato: i volumi a sbalzo sono stati introdotti quando il progetto era già in fase avanzata per placare le preoccupazioni riguardo alla vicinanza della struttura allo storico Foundry Building. Una volta all'interno, pero, i nuovi collegamenti e un'intricata sezione liberano uno spiegamento dinamico di flussi e usi. Collegando le Sibly e Rand Hall, prima separate, la Milstein Hall istiga a una riorganizzazione di questi spazi preesistenti.
Le lezioni di Ungers e gli albori della postmodernità risuonano in tutto l’edificio, un arrangiamento di geometrie semplici e autonome
La
sua intelligente collocazione, combinata a un ricco sistema di
circolazione, produce una serie di sovrapposizioni, slittamenti,
fratture e prospettive. Orienta di nuovo l'intero complesso e crea
quella complessità relazionale e programmatica che rappresenta
uno dei tratti distintivi di OMA.
La scatola in acciaio offre ampi, sobri spazi di lavoro inondati
da luce naturale. Con un gesto didattico, tutti i sistemi e tutte
le strutture sono lasciati in vista. Una serie di spazi informali
per incontri e presentazioni arricchiscono la neutralità di
questo semplice parallelepipedo, che poggia con nonchalance
su una griglia di colonne in acciaio dipinte di nero, mentre il
terreno sottostante appare gonfiarsi per formare una cupola
di cemento sfigurata, trafitta, tagliata e lacerata. Questa
spaccatura sferica nel tessuto del campus, con i suoi sistemi
integrati di illuminazione e antincendio, rappresenta una prova
di coraggio in un Paese in cui il passaggio dal neo-brutalismo
al postmodernismo aveva sradicato l'uso del cemento. La parte
più audace del repertorio, tuttavia, si trova nel seminterrato.
Una robusta colonna sostiene con noncuranza l'angolo della
cupola su cui poggiano le poltrone dell'auditorium superiore.
Uno straordinario ponte di cemento gettato in opera si allunga
attraverso lo spazio libero da colonne della cupola per collegare
l'entrata all'auditorium e forma una balconata che sovrasta
il salone sottostante. I problemi di acustica in questo spazio
sono minimizzati per mezzo dei rivestimenti in feltro e della
bocciardatura della parete periferica: che si tratti di
un sottile riferimento all'Yale Art and Architecture Building
di Paul Rudolph?
Le lezioni di Ungers e gli albori della postmodernità risuonano in tutto l'edificio, un arrangiamento di geometrie semplici e autonome. Grazie alla sua collocazione, la tipologia moderna del parallelepipedo si trasforma in un inserto di tessuto nonsentimentale. Nel scegliere i materiali e i dettagli, OMA offre un elaborato insieme di riferimenti. Piuttosto che ricollegarsi al primo modernismo, essi sembrano rievocare i precedenti progetti dello studio. L'ITT è presente attraverso il prisma modernista, lo sporco Mies; il grande ascensore con tanto di lampada e poltrona crea uno spazio simile a una stanza che richiama la Maison à Bordeaux; un assemblaggio di sistemi e componenti strutturali ricorda la Kunsthal di Rotterdam; l'uso della rampa nell'auditorium per creare spazi sottostanti punta in direzione dell'Educatorium di Utrecht; la combinazione di materiali popolari e di 'élite'; i soffitti di alluminio pressato bianco; il pavimento cangiante della sala conferenze: tutto sembra riportare alla memoria i primi lavori di OMA, l'era pre-enigmatica. Solo le tende, disegnate da Petra Blaisse, sono un riferimento all'architettura classica.
Poco prima di morire, OMU disse a Koolhaas, in un'intervista pubblicata su LOG: "Vige un grave malinteso tra gli architetti. Pensano di essere inventori e hanno sempre bisogno di sentirsi all'avanguardia. Ma non si può essere all'avanguardia in modo permanente. È impossibile. L'architettura può essere fatta avanzare in un processo dialettico, ovvero in un confronto con l'esistente o con quello che, a un certo momento, si sente la necessità di provocare. Da un punto di vista morfologico, che non è esclusivo ma inclusivo, e non contrario ma complementare, è possibile valutare come certi elementi mancanti possano essere aggiunti".
È esattamente quello che fa la Milstein Hall. Alla fine di due decenni di iconicità, essa evoca i primi dibattiti sul postmodernismo. Reintroduce un'architettura intelligente, che sa guardare avanti, nel settore anestetizzato dell'edilizia universitaria. Aggiunge nuovi livelli di complessità a un discorso che è scivolato nel silenzio. La mossa di Koolhaas appare singolarmente tempestiva. Il V&A di Londra ospita una grande retrospettiva intitolata Postmodernism: Style and Subversion 1970–1990, Jencks ha appena pubblicato The Story of Post-Modernism e Terence Riley, curatore quest'anno della Biennale di Hong Kong e Shenzhen, ha organizzato una riedizione della Strada di Portoghesi, per quanto con nomi nuovi. Apparentemente docile, la Milstein Hall potrebbe essere un vaso di Pandora. I suoi propositi sono cosi ambiziosi che, per essere realizzati, non potranno mai essere dichiarati apertamente. Si tratta di un preludio o di una coda?
Design Architects: OMA
Partners-in-Charge: Rem Koolhaas,
Shohei Shigematsu
Associate-in-charge:
Ziad Shehab
Design Team:
Jason Long, Michael Smith,
Troy Schaum, Charles
Berman, Amparo Casani,
Noah Shepherd
Architect of Record:
KHA Architects
Team:
Laurence Burns,
Jim Bash, Brandon Beal,
Michael Ta, Stephen Heptig,
Sharon Giles
Structural Engineering:
Robert Silman Associates
MEP/FP:
Plus Group Consulting
Engineers
Civil Engineering, Site Utilities:
GIE Niagara Engineering Inc.
Civil Engineering, Site and Grading:
T.G. Miller
Acoustical Consultant:
DHV V.B.
Facade Design and Engineering
Consultant:
Front
Lighting Consultant:
Tillotson Design
Associates
Landscape Architect:
Scape Landscape
Architecture
Curtain Design:
Inside Outside, Petra Blaisse
Graphic Design:
2x4
Audio/Visual Consultant:
Acentech
Roofing Consultant:
BPD Roof Consulting
Elevator Consultant:
Persohn/Hahn Associates
IT/Data/Security Consultant:
Archi-Technology
Sustainability Consultant:
BVM Engineering
Client:
Cornell University,
College of Architecture,
Art and Planning (AAP)