La mostra 194X-9/11: American Architects and the City, aperta al MoMA fino alla fine dell'anno, comprende uno dei disegni di Mies van der Rohe che da sempre considero senza esitazioni tra i miei preferiti: Museum for a Small City (Museo per una piccola città, 1941-43). Prospettiva di un interno a collage fotografico, il foglio rappresenta alcune opere d'arte collocate in uno spazio universale miesiano. L'architettura è disegnata con tale sobrietà da scomparire, lasciando galleggiare sculture e dipinti come frutta in un aspic.
Museum for a Small City fu commissionato da Architectural Forum e pubblicato nel maggio 1943. La rivista chiese a un gruppo di 23 architetti, a Louis Kahn e a Charles Eames di prefigurare la città americana del "194X" (da cui il titolo della mostra del MoMA). Il collage di Mies, nel suo riduzionismo, è ambizioso. Il museo si limita a spazio, struttura e arte. Pubblicato subito dopo l'entrata degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, non dà spazio ad alcuna nostalgia, come chiarisce l'inclusione di una riproduzione fotografica di Guernica di Picasso al centro della composizione.
Gli architetti americani e la città
Il rapporto degli architetti americani con le loro città è in mostra al MoMA.
View Article details
- Mimi Zeiger
- 14 ottobre 2011
- New York
Ciò detto, è alquanto maldestro iniziare con una preferenza personale la recensione di una mostra che si pone in rapporto con la seconda guerra mondiale e con gli avvenimenti dell'11 settembre. Un po' come sostituire al Picasso il Puppy di Jeff Koons. E tuttavia la futilità che ne risulta è intenzionale: uno strumento per controbattere il senso di distacco che aleggia sulla galleria (sensazione che l'accattivante presenza della mostra Talk to me, Parlami, in fondo all'atrio non fa che sottolineare). Con pezzi provenienti dalle collezioni del MoMA la mostra analizza come alcuni importanti architetti (tra cui Kahn, Paul Rudolph, Rem Koolhaas, Leon Krier e Steven Holl) abbiano rivolto la loro attenzione alla città in quanto soggetto negli ultimi settant'anni, attraverso fasi di sviluppo, di rinnovamento urbanistico e di crisi. Tuttavia, alla luce delle prassi più partecipative venute alla ribalta nel progetto urbanistico dell'ultimo decennio (impegno sociale, onnipresenza dell'informatica e urbanistica del paesaggio), la mostra, per quanto bella, non suscita memorie ma freddezza.
In mostra ci sono disegni e modelli raramente visibili: veri gioielli d'archivio, tra cui un modello di plastica stampata dello schema di Morphosis per un grattacielo a Ground Zero, donato al museo dallo scomparso critico d'architettura Herbert Muschamp. È esposto accanto a uno schizzo strutturale del grattacielo n. 1 del World Trade Center, abbozzato da Guy Nordenson a penna biro su un foglio protocollo giallino. Le opere mettono in evidenza l'amara ambivalenza architettonica che ha afflitto il progetto che va lentamente prendendo forma nel cantiere del centro cittadino.
Esponenzialmente più grande di ogni plastico dell'11 settembre, il modello della Bridge City, il ponte sulla 110a Strada di New York di James Fitzgibbons, del 1960, incombe misteriosamente sulla galleria. È una ciambella (o una forma da aspic, per restare nella metafora) di carta e cavi. Con una strizzata d'occhio alla New Babylon di Constant Nieuwenhuis, ma senza la posizione sociopolitica di quella megastruttura situazionista, il progetto di Fitzgibbons propone un'efficiente città anulare sospesa su un fiume. In un angolo remoto c'è il disegno di Kahn intitolato Traffic Study (Studio del traffico) del 1922. La griglia disegnata a mano dall'architetto, con frecce, quote e nodi ha l'eleganza di un tessuto di Anni Albers, ma è in realtà il diagramma di una proposta di organizzazione del traffico di Philadelphia. La notazione di Kahn simboleggia sul territorio parametri di circolazione che vanno dalla velocità delle auto alle autorimesse. Il disegno è interessante perché va a toccare l'ossessione contemporanea delle professioni del progetto per i dati, per il pensiero sistemico e per le infrastrutture.
Con poche eccezioni il rapporto di ciascuna opera con "la città" (e per città intendiamo soprattutto New York, benché Philadelphia, Newark, New Canaan e Chicago facciano brevi apparizioni) è generico. In un mero gesto di ristrutturazione della città il tessuto urbano è una tela destinata a essere occupata dall'architettura. La vita cittadina (persone, negozi, autobus, parchi) ne risulta astratta fino all'impossibilità di riconoscerla. E benché sia presente il progetto del 1972 di Koolhaas e Madelon Vriesendorp The City of the Captive Globe, New York, New York non aspettatevi nulla di delirante. Mimi Zeiger