L'alveare dell'arte

In una città con grandi diseguaglianze sociali, ma con una passione storica per i musei, Fernando Romero ha progettato un'icona culturale con ingresso gratuito.

Questo articolo è stato pubblicato su Domus 948, giugno 2011

È risaputo che Città del Messico è una delle metropoli più grandi e popolate del mondo. Gli abitanti del cosiddetto Distrito Federal amano i musei: decine di migliaia di persone si accalcano ogni settimana nelle quasi 200 istituzioni che la città offre.

Ad aprile, al lungo elenco, si è aggiunta una straordinaria opera architettonica: il Museo Soumaya, costruito per ospitare la collezione d'arte dell'imprenditore messicano Carlos Slim Helú, considerato dalla rivista Forbes l'uomo più ricco del mondo. Il nome del museo è un omaggio alla defunta moglie di Slim, con la quale egli aveva iniziato a radunare opere d'arte fino a formare una raccolta di oltre 66.000 pezzi: è una tra le più importanti collezioni del mondo per quanto riguarda la scultura di Rodin, e di diversi artisti del Medioevo, del Rinascimento e dell'Impressionismo, abbracciando opere che vanno dall'antichità fino a metà del Ventesimo secolo.

La visione del progetto porta la firma di Fernando Romero, architetto nato nel 1971 e genero dell'ingegner Slim, che si è formato per lo più in Europa con progettisti del calibro di Enric Miralles e Jean Nouvel, ma, in particolare, nello studio di Rem Koolhaas, nel quale ha lavorato tra il 1997 e il 2000 collaborando alla realizzazione della Casa da Música di Oporto, considerata da molti una delle migliori opere di OMA. Nel 2001, ha poi fondato un suo studio a Città del Messico.

Nonostante il legame familiare, non è stato facile per Romero persuadere il committente a realizzare un'opera così ambiziosa. È risaputo che Carlos Slim ama mantenere un basso profilo, evitando di esibire spese ingenti. L'ingegner Slim non voleva affatto un vanity museum. Se c'è un'eccentricità che lo caratterizza è l'austerità. Fin da quando ha iniziato a profilarsi come uno degli uomini più ricchi del mondo, i giornalisti che sono andati a intervistarlo sono rimasti sbalorditi dalla modestia della sua casa, in cui vive da 38 anni e dove i suoi tre figli condividevano un'unica stanzetta. Questa austerità è uno dei segreti della sua fortuna, visto che Slim ha basato la sua cultura del lavoro su una ferrea disciplina di tagli di spese superflue in ogni sua azienda: per non parlare dei costanti reinvestimenti nei propri affari.

Il Museo Soumaya presenta una superficie calpestabile pari a 17.000 m2 e ospita al suo interno un auditorium con 350 posti, una biblioteca, un ristorante, un negozio, un atrio multi-funzionale, degli uffici e le gallerie espositive. Quest’ultime, articolate su sei piani e con una superficie di 6.000 m2, sono, in verità, un unico spazio continuo distribuito da una grande rampa.

In questa logica appare realmente una fortunata coincidenza che suo genero sia uno dei migliori giovani architetti del Messico. Se avesse seguito la consueta disciplina della riduzione delle spese, il museo sarebbe stato una grande scatola di scarpe, ma grazie al tenace entusiasmo nell'ampliare i gusti del committente, Romero è riuscito a ottenere un cambio di paradigma nell'architettura messicana.

Dall'esterno il museo costituisce un complemento straordinario del paesaggio urbano. Non sembra esagerato il giudizio di molti passanti che ne parlano come fosse una nave venuta dallo spazio. Il suo involucro offre piccole e scarse aperture sull'esterno, producendo un effetto sconcertante. È un volume che, al contempo, è scultura e architettura, ma soprattutto un paesaggio: al pari di una montagna o di una pianura. La facciata è formata da una serie di paraboloidi iperbolici coperti da moduli esagonali in alluminio. Il complesso si compone di varie migliaia di pannelli indipendenti, con centinaia di variazioni in forme e misure per adeguarsi alla curvatura dell'edificio. Romero ha scelto l'esagono per simbolizzare l'efficienza strutturale e la cultura del lavoro delle api. L'ingegnerizzazione della copertura è stata realizzata in collaborazione con Gehry Technologies.

Costruito in un’ex area industriale degli anni Quaranta, il museo è un unico volume modellato da una sequenza di paraboloidi iperbolici. Secondo Romero, è ‘un blocco scultoreo che ruota su se stesso, creando una forma organica e asimmetrica che è, al tempo stesso, un oggetto e un tassello della città’.

Nella sua giovane ma feconda carriera, Fernando Romero ha lavorato con grande varietà stilistica. Non ha un linguaggio specifico. Al contrario, è affascinato dall'architettura come esercizio di traduzione delle energie e delle possibilità disponibili in una forma, esaltandone al massimo il potenziale. Il suo ultimo libro, Simplexity, è proprio una sorta di tavola periodica in cui i progetti sono organizzati sulla base della loro morfologia: dalla più semplice alla più complessa. In questo spettro formale, il Soumaya si colloca all'estremo della complessità. Il museo è eccezionale tanto per le sfide ingegneristiche quanto per l'audacia di spazi, distribuzione e materiali. Nei suoi sei piani riservati a gallerie espositive, che ricoprono circa 6.000 m2, si sperimenta una transizione da spazi intimi a monumentali, in cui si fondono in modo sorprendente pareti, pavimenti e soffitti. La struttura è composta da 28 colonne curve in acciaio con diversi diametri, che offrono al visitatore una raffinata circolazione non lineare lungo tutto l'edificio. Collocate su ogni livello, sette travi curve fungono da anelli perimetrali, avvolgendone così la struttura.

Romero ha scelto la figura esagonale per simbolizzare l’efficienza strutturale e la cultura del lavoro delle api
I saloni superiori sono riservati all’opera di Auguste Rodin, del quale si dice che Carlos Slim possegga 380 sculture: è la seconda più importante collezione del mondo.

Lo spazio più generoso del museo si trova al livello superiore, non solo per la luce naturale che penetra dall'esterno, ma per il diafano panorama interno che offre un piano senza colonne. Gli elementi della copertura sono organizzati in forma radiale in una configurazione simile alla ruota di una bicicletta. Questa chiusura è estremamente efficiente, poiché tutte le travi lavorano in tensione contenendo i carichi centripeti che salgono dai muri perimetrali. La percezione del museo è indissolubile dalla figura di Slim e sarà, di certo, oggetto di polemiche. Il Messico è un paese con enormi differenze sociali e, attraverso i suoi negozi o le sue imprese di telecomunicazione, tutti noi messicani consumiamo ogni giorno qualcosa che fa riferimento a Slim. Ciononostante il museo è benvenuto come prova del desiderio di produrre un cambio nella società. Da aprile il Soumaya ha aperto i battenti con ingresso gratuito permanente: il che è un bene sociale in sé perché crea un nuovo pubblico. In particolare, Fernando Romero ha sostenuto che la giustizia sociale deve essere il fulcro delle questioni che un architetto ha il dovere di porsi e che ora desidera concentrarsi sull'edilizia residenziale popolare. Considerata la versatilità che ha saputo dimostrare il suo studio, sarà interessante vedere che forma assumeranno i suoi nuovi progetti. Pedro Reyes, Artista e architetto

Il progetto strutturale è stato studiato in modo che l’ultimo piano, che ospita il principale salone espositivo, fosse completamente libero da elementi portanti: la copertura è sorretta da un sistema di travi reticolari che consente alla luce naturale di penetrare all’interno. Photo Adam Wiseman.

Design architect: FREE, Fernando Romero
Client: Museo Soumaya, Fundación Carlos Slim
Design team: Fernando Romero and Mauricio Ceballos with Matthew Fineout, Ignacio Méndez, Sergio Rebelo, Laura Domínguez, Herminio González, Omar Gerala Félix, Ana Medina, Ana Paula Herrera, Mario Mora, Juan Pedro López, Guillermo Mena, Libia Castilla, Raúl García, Manuel Díaz, Alan Aurioles, Ana Gabriela Alcocer, Luis Ricardo García, Iván Ortiz, Tiago Pinto, Juan Andres López, Olga Gómez, Hugo Fernández, Kosuke Osawa, Francisco Javier de la Vega, David Hernández, Jorge Hernández, Joaquín Collado, Mariana Tafoya, Eduardo Benítez, Pedro Lechuga, Thorsten Englert, Luis Fuentes, Luis Flores, Rodolfo Rueda, Víctor Chávez, Max Betancourt, Wonne Ickxs, Dolores Robles-Martínez, Sappho Van Laer, Ophelie Chassin, Elena Haller, Abril Tobar, Diego Eumir Jasso, Albert Beele, Homero Yánez, Cynthia Meléndez, Hugo Vela, Susana Hernández, Gerardo Galicia, Alberto Duran, Camilo Mendoza, Dafne Zvi Zaldívar, Cecilia Jiménez, Ángel Ortiz, Raúl Antonio Hernández, Alma Delfina Rosas, Wendy Guillen, Raúl Flores, Daniel Alejandro Farías, Jesús Monroy, Saúl Miguel Kelly, Iván Javier Avilés, Cesar Pérez
Structural engineering: Colinas de Buen
Facade: Gehry Technologies (technical project); Geometrica (secondary facade structure); IASA (hexagonal panels); YPASA (interior facade)
Structural concept: Ove Arup Los Angeles
Main structure contractor: Swecomex
Interior Design: FREE + MYT / CEO-Andrés Mier y Teran
Construction Manager: Inpros
General Contractor: CARSO Infraestructura y Contrucción
Lighting Designer: Inpros
Civil Construction: PC Constructores

All’angolo tra due arterie stradali, è rivestito con una pelle continua: una tessitura di moduli esagonali in alluminio che riduce ai minimi termini le aperture sul paesaggio esterno. L’intento dichiarato del progettista messicano è stato quello di creare ‘una presenza urbana e iconica’.
Test e modelli di prova.
Modello dell'edificio.
Lo scheletro perimetrale è costituito da una sequenza di 28 colonne tubolari disposte in verticale: ognuna diversa nel diametro e nella forma. Le colonne sono rese stabili dalla presenza in orizzontale di sette travi ad anello di diverse dimensioni. Photo Adam Wiseman