All'inizio degli anni Novanta, il banchiere venezuelano David Brillembourg sogna uno scintillante centro finanziario al centro di Caracas per simboleggiare l'ambizione economica del Paese.
Il destino di Torre Confinanzas fu un altro: diventare la
residenza di una comunità informale di 2.500 senzatetto, che stanno progressivamente colonizzando, e completando, l'edificio incompiuto.
Due artisti venezuelani, Ángela Bonadies e Juan José Olavarría, esplorano questa eterotopia contemporanea. Intervistandoli sull'opera La Torre por dentro y por fuera, Jesús Fuenmayor, direttore del centro d'arte Caracas Periférico, ce ne propone una lettura critica.
Questo progetto è stato per voi un modo di criticare la modernità attraverso il linguaggio dell'arte? Quanto ha pesato questa crisi nello scegliere e sviluppare il tema?
Nel progetto c'è senz'altro una critica implicita alla modernità: come fosse il cuore di una promessa non mantenuta, un progetto tronco. Così, la sua crisi è anche il punto di partenza per un nuovo stato delle cose. Inoltre, è importante notare che molti artisti e curatori mettono ormai in dubbio quella che costituisce una corrente di pensiero dominante, e al momento ossessiva, circa la modernità stessa: come fosse il luogo 'dove è andato tutto perduto', in cui lo sguardo è sempre rivolto solo all'arte e all'architettura, adottando una visione parziale e omettendo, nel caso particolare del Venezuela, il contesto storico e sociopolitico. La scelta della torre come oggetto di studio ci porta verso altre ere e altre situazioni pre e postmoderne, ed è questo che ci interessa. L'edificio non è considerato patrimonio architettonico, perché non rientra nei parametri moderni della bellezza. È una costruzione moderna: il prodotto della crescita bancaria della fine degli anni Ottanta. Faceva parte di un piano volto a trasformare questa parte di Caracas in un quartiere finanziario: la Torre di David era una delle tante che si susseguivano lungo un viale di banche. In un certo senso, è il prodotto di una filosofia e di una modernità nate intorno alla Borsa: più vicine all'ideologia dello skyline di Wall Street che alle forme perfettamente umaniste di Le Corbusier.
La torre di David
Da più di un anno, Ángela Bonadies e Juan José Olavarría documentano la vita quotidiana di Torre Confinanzas.
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- Jesús Fuenmayor
- 28 aprile 2011
- Caracas
La torre incarna una storia economica e politica antecedente l'arrivo degli abusivi: l'immagine dell'emergere di potenti gruppi che non facevano parte degli amos del valle, ovvero le vecchie famiglie facoltose di Caracas. Nuove fortune, nuove ricchezze esposte a rischi, plusvalore, speculazione, mancanza di controlli e rottura dell'egemonia di quelle poche famiglie locali che avevano vissuto in un arcipelago di modernità. Una crisi della modernità che è crisi dell'utopia. La torre è un'eterotopia e questo la rende uno 'spazio ambiguo'.
Ci sono situazioni analoghe in altre città: Johannesburg, per esempio. La torre non è un caso unico o isolato, ma è parte di un'assenza e di una presenza permanenti: l'assenza decisionale nell'affrontare un problema e la presenza di un gruppo di persone che lotta per sopravvivere. Nel caso della torre c'è
un contrasto, perché invece di essere un'area dismessa, in periferia o su una collina, tutto questo si verifica in un edificio abbandonato: un grattacielo mancato che funge da contenitore, automodellandosi e assimilando quello che sta all'esterno per una causa comune, la sopravvivenza. E questo rappresenta, a sua volta, un altro vuoto, quello dei controlli finanziari, e un'altra lotta fra potere politico ed economico. Fondamentalmente, vogliamo circoscrivere la matrice che il potere porta con sé: un vuoto nel risolvere i problemi e la massiccia burocrazia che si concentra negli uffici dei centri decisionali.
È un rapporto molto ambiguo il vostro con questo 'oggetto di studio'. Quanti grattacieli al mondo sono stati occupati?
Probabilmente nessuno, ma questo edificio non è al centro dell'attenzione mediatica: né qui né all'estero (immaginate per un attimo, invece, se gli abusivi avessero occupato la Statua della Libertà: probabilmente avremmo dimenticato quel che è accaduto alle Torri Gemelle).
Di fronte all'ambiguità circa il modo in cui il pubblico potrebbe percepire un evento di questa portata, che cosa pensate dell'accaduto? Che la torre è l'esempio più lampante dell'inganno del progresso modernista? O che ci lascia così perplessi da non riuscire nemmeno a reagire?
O, ancora, che questo è il metodo migliore per scrollarci di
dosso l'ossessione del moderno?
Ci sono diversi casi analoghi nel mondo. I problemi economici legati alla crisi degli alloggi sono ovunque, e stanno nascendo nuovi modi di abitare gli edifici. Come abbiamo detto prima, ci sono esempi simili in Sudafrica. Ma se dobbiamo scegliere una delle tre alternative, optiamo per l'ultima: scrollarci di dosso l'ossessione del moderno. L'arte del presente, come afferma giustamente Serge Daney, non può essere piena di rimpianti. Dobbiamo guardare indietro e vedere quali elementi del passato hanno dato origine alla situazione attuale: senza posare, comunque, uno sguardo ottuso a un periodo in particolare o con gli occhi lucidi per la 'nostalgia dei bei tempi andati'.
In Israele, gli architetti lavorano su strategie militari per progettare interi complessi residenziali. In Venezuela, gli architetti devono mettere le loro idee al servizio dei bisogni più precari. Come può una professione essere così decisiva in un Paese, al punto di stabilire persino l'altezza delle finestre per via delle bombe, e così poco in un altro, nel quale si progetta un
grattacielo che finirà per diventare un rifugio insalubre, da cui
si lanciano sacchi di escrementi dal quinto piano?
Questo non è un problema di tipo architettonico o progettuale. L'architetto della torre aveva disegnato un grattacielo destinato
ad accogliere un'azienda, un albergo e diversi negozi. Nessuno poteva prevedere che l'edificio sarebbe stato occupato da senzatetto. Di fatto, lo Stato non ha saputo rispondere al deficit di case e così la gente ha dovuto sfruttare ogni luogo 'dismesso' come spazio residenziale. Quando qualcuno occupa un edificio, non lo vede come una costruzione carica di implicazioni culturali o formali, ma solo come una casa abbandonata con tanto di tetto e scale: un ampio spazio dove rifugiarsi.
La costruzione è stata lasciata a metà per problemi politici ed economici. L'architettura, in questo caso, non è nient'altro che un mezzo per parlare delle cose. Il contenuto si articola attraverso questo strumento che, comunque, avrebbe potuto anche essere un ponte, una collina, un terreno o un deposito. È vero che l'architettura e l'urbanistica sono questioni che investono la res publica, come nell'esempio che hai riportato di Israele.
In un certo senso, ogni Stato 'costruisce' la propria immagine attraverso diverse decisioni: ciò che demolisce, che costruisce, che dimentica, che fa e che non fa. Sarebbe interessante fare un'analisi del nostro governo sulla base delle strategie urbane adottate o sulla loro mancanza.