Le case Olga Baeta (1956-1957) e Rubens de Mendonça (1958-1959) appartengono alla seconda fase dell'opera di João Vilanova Artigas (1915-1985), il più importante architetto modernista di San Paolo. Furono realizzate in un momento particolarmente attivo per il Brasile, contemporaneamente al concorso e alla costruzione di Brasilia, la nuova capitale che, fra il 1956 e il 1960, visse la fase democratica più intensa di tutto il periodo repubblicano con il governo di Juscelino Kubitschek (1902-1976). Tuttavia, fu una democrazia contraddittoria perché il Partito Comunista continuava a vivere nell'illegalità in cui era stato relegato nel 1947 dal Tribunale Elettorale Superiore, in quanto accusato di essere uno strumento di dominazione sovietica. Era in atto un intenso dibattito su come l'architettura potesse contribuire alla trasformazione sociale del Paese. Sulle orme di Le Corbusier (1887-1965) e del suo slogan "Architettura o Rivoluzione" (1), erano in molti ad avvertire la responsabilità di costruire un nuovo ambiente in grado di cambiare l'esistenza delle persone. All'inizio degli anni Cinquanta, Artigas e Niemeyer, entrambi militanti comunisti, condividevano diverse posizioni tra cui il riconoscimento dell'inutilità di un'architettura che contribuisse alla società capitalista solo con mere riforme e raffazzonamenti. E si chiedevano che cosa poter fare, professionalmente, in attesa della rivoluzione. Niemeyer rifiutava l'idea di un'architettura stereotipata perché, in un regime capitalista, semplificare l'aspetto degli edifici al fine di facilitarne la moltiplicazione avrebbe portato a un suo impoverimento senza favorire, però, i ceti più poveri. E difendeva la sua architettura attraverso forme libere poiché, come architetto, doveva far progredire, nel suo ambito, la tecnica e, come cittadino, impegnarsi nella rivoluzione sociale. (2) Nella prima fase della sua carriera, dal 1937 al 1944, insieme a Duílio Marone, Artigas aveva uno studio e un'impresa di costruzioni molto attivi. Realizzò così circa duecento case per committenti privati, ispirandosi alle Prairie Houses di Wright. Iscritto al Partito Comunista dal 1945, la sua posizione implicava un dubbio e un'autocritica: "A che punto siamo? Che cosa facciamo? Sperare in una nuova società facendo quello che facciamo o abbandonare la professione e dedicarci completamente alla vita rivoluzionaria?" (3) In modo dialettico, oltre alla lotta per una società nuova, proponeva una posizione critica nei confronti della professione per ottenere così "una spontaneità nuova" creata "come interpretazione diretta di vere esigenze popolari". (4)
Due case di João Vilanova Artigas
Pubblicate in origine su Domus 943, gennaio 2011, le case Olga Baeta e Rubens de Mendonça sono sorte durante un intenso dibattito politico a San Paolo, nel Brasile di Juscelino Kubitschek.
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- Lauro Cavalcanti
- 16 marzo 2018
- San Paolo
A partire dalla fine degli anni Quaranta, Artigas comincia a dialogare con le forme libere di Affonso Eduardo Reidy (1909-1964) e di Oscar Niemeyer e, allo stesso tempo, si lancia alla ricerca di un'espressione originale, chiaramente percepibile in alcune sue opere come la sua seconda casa (1949) e la stazione dei bus di Londrina (1950): volumi che si allungano, variando di forma solo nel tetto. La ricerca della spontaneità è alla base delle sue abitazioni. Secondo Artigas, "la città è una casa e la casa è una città". Come amava ricordare, "in tedesco, il verbo costruire, nelle sue forme linguistiche più antiche, significava sia abitare che essere".5 Nella casa Baeta, l'architetto mette in discussione due punti fissi del linguaggio moderno brasiliano: il flusso continuo tra strada e spazio interno e l'abolizione, o l'occultamento, del tetto spiovente. C'è una separazione radicale tra casa e ambiente urbano tramite la collocazione, nella parte anteriore, del garage e di una parete cieca, la cui forma ricorda quelle delle abitazioni con il tetto tradizionale. L'opacità delle pareti contrasta con l'apertura sui giardini interni, con la visibilità dei giochi di livello e con la trasparenza dei vari spazi domestici. Le stanze sono gli unici ambienti chiusi e privati. È evidente l'intento di creare un rifugio e un universo immaginati secondo una logica e articolazioni diverse da quelle tradizionali. Per permettere che il soffitto del salone e dell'ammezzato raggiungesse i quattro metri e mezzo di altezza senza appoggi, la struttura della casa poggiava su tre 'porticati' paralleli e successivi: due quadrati strutturali nelle facciate di cemento e, al centro, un sistema di pilastri e travi uniti a un sostegno centrale in cemento armato. Quest'ultimo, per problemi di cattiva esecuzione, finì per essere sostituito da un pilastro improvvisato sul lato esterno della casa.
Nel 1988, la casa Baeta è stata ristrutturata da Angelo Bucci che si occupò, in particolare, di ripensare la divisione spaziale della zona cucina, bagno e aree di servizio, stanze divenute ormai obsolete. Le nuove divisioni in cemento grezzo furono completate da vetrate che si fermano prima di arrivare al tetto: oltre all'effetto estetico di grande bellezza, questa soluzione garantisce luminosità e isolamento da odori. In corso d'opera, durante l'ispezione delle pareti, Bucci e la sua squadra scoprirono, però, che la trave, che doveva articolare il quadrato strutturale con il sostegno centrale, non era mai stata completata, andando così a invalidare la funzione strutturale del portico. Basandosi sui disegni originali di Artigas, recuperarono la logica della struttura prevista in origine, sostituendo il cemento con l'acciaio solo nel sostegno, in modo tale da sottolineare i diversi interventi nel corso del tempo. È stato così possibile estendere il rivestimento in vetro a tutta la facciata laterale, prima chiusa in muratura per nascondere il pilastro esterno improvvisato. Questo ha aperto una veduta a 360° sul giardino, alleggerendo la composizione, oltre ad aver portato maggior luminosità nel mezzanino e nel salone.
Lo schema cromatico originale è stato rispettato: il blu negli elementi strutturali (pilastri e pareti), il giallo e il rosso sui muri non portanti, oltre alla ripresa del bianco su tutto il soffitto del salone, che nell'intervento intermedio era stato parzialmente dipinto di marrone. Gli dei dell'architettura erano certamente di buon umore quando la casa fu comprata nel 1996 dal fratello di Bucci, che lo chiamò per ristrutturarla: poiché il giovane architetto accettò questo difficile compito, rendendola ancora più fedele al progetto originale. Vilanova Artigas ha sempre avuto un legame fortissimo con le arti plastiche.
Casa Rubens de Mendonça, anche nota come la "Casa dei Triangoli", fu il frutto della sua collaborazione con Mário Gruber (1927), Rebolo Gonzales (1902-1980), autore dell'affresco sulla facciata e Waldemar Cordeiro (1925-1973), il leader del movimento concreto, responsabile del giardino. L'arte concreta adottava forme e colori primari, rifiutando qualunque tipo di metafora, astrazione o rappresentazione nell'opera d'arte. L'oggetto è concretamente quel che si vede: senza fare allusione agli elementi del "mondo reale". Costruita su un terreno scosceso, casa Mendonça si fonda su pilastri di diverse altezze; l'entrata laterale è situata su un piano intermedio, accentuando subito la percezione del ricco gioco di spazi, sopra e sotto l'ingresso, e le diverse cubature dei volumi interni.
Come nella casa Baeta, l'opacità delle facciate prive di finestre sull'esterno contrasta con la trasparenza dei doppi soffitti e delle vetrate che si affacciano sui giardini. La "Casa dei Triangoli" celebra la geometria in ogni suo dettaglio: dai volumi, al disegno sulla superficie della facciata; dal rivestimento dei pavimenti alle sezioni degli otto pilastri, alle pareti e al prato del giardino. Questa opera brasiliana di arte totale trova il suo parallelo e la sua antitesi in due edifici realizzati in America Latina: la casa Planchart (1954) di Gio Ponti a Caracas e la biblioteca dell'Universidade Autônoma di Città del Messico (1952) di Juan O'Gorman, Gustavo Saavedra e Juan Velasco. La ricercatezza dei dettagli avvicina casa Mendonça a quella venezuelana, mentre l'uso della ripetizione la contrappone al desiderio di originalità e simbolismo individuale degli elementi dell'opera di Ponti.
L'utilizzo monumentale dell'opera d'arte sulle pareti dell'abitazione ricordano, invece, quello dell'edificio di O'Gorman. La casa di San Paolo aspira, però, a un dinamismo visivo, contrariamente al gigantismo figurativo al servizio della propaganda dottrinaria del murales della biblioteca messicana. Le case Baeta e Mendonça dimostrano come la ricerca della spontaneità portò Artigas a concludere che la costruzione deve "rinunciare alla sua funzionalità immediata per esprimere quello che gli uomini hanno di più ricco e straordinario, ovvero la loro visione poetica dello spazio".
Al di là del loro valore intrinseco, sono esperimenti antesignani di quello che si rivelerà il fulcro della sua opera posteriore: l'esplicitazione visiva delle strutture, l'enfasi del peso fisico delle opere, lo sforzo per sostenerle e l'abolizione di un ritmo sincopato di vuoti e di pieni, sostituito, per contrasto, da grandi superfici cieche e generose trasparenze. Lauro Cavalcanti
Notes:
1. Le Corbusier, Vers une Architecture, Paris, G. Crès, 1923.
2. Lauro Cavalcanti, Moderno e Brasileiro: a história de uma nova linguagem na arquitetura (1930-60), Zahar, Rio de Janeiro, 2006.
3. João Vilanova Artigas, Os Caminhos da Arquitetura Moderna, 1952.
4. Idem op. cit.
5. João Vilanova Artigas, Arquitetura e Construção, magazine Acrópole no. 368.
Nato nel 1915 a Curitiba,
João Vilanova Artigas si laurea
come ingegnere-architetto
nel 1937 presso la Scuola
politecnica dell'Università di
San Paolo. Nel 1944, aderisce
al Partito Comunista; nel
1948, è tra i fondatori della
Facoltà di architettura e
pianificazione di San Paolo
(FAU-USP). Nel 1953, visita
l'Unione Sovietica, ma ne
rimane deluso, entrando in
una sorta di crisi personale.
Dopo il colpo di stato
militare del 1964,
Artigas viene arrestato
ed esiliato in Uruguay.
Solo nel 1979 ritorna a
insegnare alla FAU-USP.
Muore nel 1985.
Architetto e antropologo sociale,
Lauro Cavalcanti dirige il museo di Rio de
Janeiro Paço Imperial. Ha curato numerose
mostre dedicate all'architettura moderna
brasiliana, con particolare riguardo per l'opera
di Oscar Niemeyer e Roberto Burle Marx.
Ha scritto il saggio When Brazil Was Modern:
A Guide to Architecture, 1928-1960 (2003).