Brasile, Rio de Janeiro, Avenida Atlantica 3940. Martedì 19 maggio 2009, ore 17. Oscar Niemeyer, mi accoglie nel suo studio. È un attico, all'ultimo piano di un palazzo affacciato sulla spiaggia di Copacabana. La sala principale è una lunga onda, costruita attorno a una vetrata continua, con vista sull'orizzonte. Al centro della stanza c'è un pianoforte a coda che viene suonato durante le pause culturali dello studio. All'età di centodue anni, l'architetto brasiliano risponde limpidamente, riflettendo sul senso di estetica e di spazialità e sulla prassi artistica dell'architettura. Tra arti applicate, Brasilia, nuovi progetti e città che cambiano l'uomo.
Atto Belloli Ardessi: Che cos'è, secondo lei, un'utopia e come ne interpretano il concetto gli artisti brasiliani? Brasilia potrebbe essere considerata un'utopia?
Oscar Niemeyer: Io credo che Brasilia sia sempre stata considerata una necessità. Il presidente Kubischeck pensava che il Brasile avrebbe dovuto estendersi anche verso l'interno; così, Brasilia avrebbe dovuto essere una città che facesse da richiamo per altri progetti; espansioni utili a ripopolare le regioni interne del Brasile. Forse non c'è alcuna utopia: o meglio, questo progetto non è stata solo un'utopia.
E questa necessità, secondo lei, è davvero riscontrabile nell'architettura di Brasilia? Quanto la sua conformazione urbana ha influenzato la società e, in particolar modo, gli abitanti di Brasilia?
Brasilia è l'Architettura Moderna che utilizza il cemento armato per cercare la propria forma, quella linea che le si adatta meglio in qualità di simbolo. L'architettura che noi proponiamo è invenzione. Noi non ci limitiamo a gestire lo spazio solamente come possibilità per creare forme funzionali. Io dico che l'architettura è invenzione, è una macchina finalizzata a creare sorpresa. Il cemento armato ci permette tutto. E noi, che lo usiamo come materiale plastico, dobbiamo plasmarlo sulla base di tutte le possibilità offerte dalla tecnica. Attualmente a Brasilia stiamo costruendo una torre di centoventi metri; sulla cima della quale è stato posto un sistema di bilancieri, pendoli e strutture oscillatorie di grandi dimensioni, che si muoveranno da ogni lato. All'interno saranno allestiti anche ristoranti e altre attività commerciali. Stiamo anche progettando una sorta di copertura, una struttura che si innalzerà, parallelamente al suolo, come una vela. La sua superficie è talmente estesa che potrebbe coprire un campo da calcio. L'architettura, così come noi la intendiamo, ci permette di capire in che modo utilizzare le infinite possibilità che il cemento armato offre. È il cemento armato stesso che ci porta a trovare soluzioni diversissime, a seconda degli spazi che si vanno a occupare.
È interessante che, pur facendo uso del cemento armato, riesca a conferire all'architettura un'estrema naturalezza.
Cerchiamo di inserire pochi appoggi nelle nostre strutture: quando una costruzione ha pochi punti di contatto con la superficie terrestre, si fa più audace e gli spazi diventano più generosi. La gente può entrare nella struttura senza che questa intacchi i principi propri al cemento armato per realizzare una forma differente. La nostra architettura si sta avvicinando al campo delle arti, alla pittura e alla scultura: questo vuol dire che noi riusciamo ancora a fare progetti che creano sorpresa, che esprimono meraviglia e che, sempre, sono stupefacenti. Il soggetto deve guardare al paesaggio e deve subito pensare che è differente. La base di un'opera d'arte sono l'emozione e la sorpresa che essa genera. Vorremmo, attraverso l'architettura, ottenere lo stesso effetto.
Qual è stato, nella costruzione di Brasilia, il rapporto tra l'opera architettonica e le opere degli artisti invitati a partecipare al progetto?
Sono sempre stato a favore delle integrazioni delle arti. Il mio primo progetto fu una chiesa a Pampulha. Disegnai l'architettura di un edificio pieno di curve e poi chiamai Portinari, che era il pittore per me più importante, affinché dipingesse una parete intera di azulejos. In questo modo, cerchiamo sempre di convocare e incaricare gli artisti plastici per completare le nostre architetture, come è accaduto a Brasilia, per esempio, con Athos Bulcão. Ancora oggi, sto costruendo un teatro a Niterói con una grande parete di azulejos: non c'era abbastanza denaro per chiamare un artista, così io stesso ho dovuto disegnare, secondo il mio stile, alcune donne che ballano. A volte penso che, al di là della loro struttura, per esempio, se i palazzi del Rinascimento non contenessero i dipinti fantastici che hanno non sarebbero così importanti. Questo nessuno può negarlo. Penso che si debba venire incontro all'artista e al suo lavoro, e che quest'ultimo debba aderire all'architettura: ritengo indispensabile questa coabitazione.
Praça da Soberania è uno degli ultimi progetti che lei ha presentato per Brasilia e che, però, è stato rifiutato dalla stessa Brasilia. Credo che questo sia un caso curioso, che esula dal suo intero percorso creativo.
Vorrei farle vedere sotto una luce diversa il progetto. Quando ho capito che nel piano di Brasilia la piazza principale avrebbe dovuto essere una piazza piccola collegata alla stazione degli autobus, ho realizzato che avrebbe dovuto essere una piazza completamente diversa. Così, dato che io sono il responsabile per l'architettura di Brasilia, ho preso l'iniziativa di proporre una nuova piazza. Una piazza che avesse il parcheggio sotterraneo, ma che, in superficie, fosse bella e che fosse, allo stesso tempo, simile a un monumento: ma ci sono state molte contestazioni. Secondo alcuni sembrava che io stessi persino cercando di influenzare (e forzare) troppo la pianta di Brasilia. Eppure io non ho influito su nulla, ho rispettato tutto. Una capitale deve avere una bella piazza, nella quale vai e della quale non ti dimentichi più. La gente, comunque, non ha accettato. Io ho combattuto e ho dovuto spiegare come questa mia idea si sarebbe dovuta adattare al contesto, ricordando anche che io avevo il diritto di lottare affinché la mia architettura a Brasilia avesse più rilievo, dato che i palazzi sono posti attorno a un grande asse, quasi appiattiti lungo una scenografia. Ma è stato tutto inutile, loro non hanno accettato. Io avrei voluto progettare un elemento architettonico isolato, affinché l'architettura si mostrasse con più vigore. Ma loro dicevano che una capitale non deve essere cambiata. Eppure è una bugia, tutte le capitali hanno sofferto cambiamenti. A Parigi Napoleone ha creato grandi strade.
Che cos'è per lei il cambiamento?
Ho spiegato che una città deve subire dei cambiamenti. Sembra un'idea moderna, però il cambiamento si impone sotto qualsiasi forma. E, anche se per scherzare, a chi ha rifiutato il mio progetto ho detto che fra un po' sarà proprio la natura che andrà a influire sull'urbanistica della città. Nel giorno in cui i ghiacci del Polo si scioglieranno, l'oceano salirà di quattro metri, e sommergerà le città sulle coste. Ma loro non vogliono modificare Brasilia. Se un giorno, fra quarant'anni, l'oceano dovesse cominciare a crescere si dovrà cominciare a pensare subito a come fargli fronte. Noi cerchiamo di tenerci informati. Per esempio, nel nostro studio, c'è un professore che viene da cinque anni a parlare di filosofia e del cosmo e noi stessi redigiamo una rivista di architettura. L'architettura è il pretesto, la rivista, in verità, serve per portare ai più giovani le informazioni che mancano. E in Brasile, in generale, il giovane entra nelle scuole superiori e poi ne esce credendosi una specie di vincitore, entrando in un sistema di pensiero che non gli fa vedere altro se non le idee che gli vengono insegnate. Questo succede per qualsiasi disciplina: dalla medicina all'ingegneria. Quando un giovane finisce i suoi studi, in qualità di specialista può solo parlare della sua idea di architettura o, più in generale, del suo lavoro. Il resto, la vita – che è più importante dell'architettura – non l'ha ancora meditata e non se n'è affatto curato. Così facendo, la lotta politica, che noi vorremmo portare avanti anche con lui, non si può fare, perché non è pronto per prenderne parte. Questa rivista serve per portare al giovane i temi più diversi. Un supporto così è utile affinché comprendano meglio la vita, che è più importante. Noi vorremmo creare un mondo più giusto per tutti: bisogna guardare l'altro senza cercare i suoi difetti, ma cercando di vedere che anche lui ha delle qualità, con le quali deve partecipare alle attività collettive. È questa solidarietà che noi vorremmo mantenere in tutto e per tutto. Questa è la frase che una volta ho voluto mettere come incipit di una mia mostra: "La vita è più importante dell'architettura". La lotta continua. In difesa dell'America Latina e del progresso del mondo. È solo così che noi stiamo vivendo un momento che ci permette di avere una certa speranza, è così che ogni cosa cambierà, è solo così che nessuno potrà dominare l'America Latina. Perché il capitalismo è in crisi.
Secondo lei, che relazione esiste tra la sospensione dello spazio e l'architettura?
Lo spazio e l'architettura, che cosa sono in fondo? Portami un terreno, portami un programma e, in funzione del programma e del terreno, emergerà l'architettura. L'architettura che noi creiamo si fa con il cemento armato, mentre a terra non esistono molte colonne portanti. In questo modo, l'architettura diventa più sciolta e più audace, come dicevo prima. Gli spazi che ci rappresentano diventano così più ampi (di quelli iniziali), in questo modo vanno modificati, affinché la gente possa ritrovarsi in essi. Bisogna sempre far si che un palazzo non assomigli a un altro. È lo stesso concetto dell'opera d'arte. Dove si guarda e ci si emoziona è perché si vede qualcosa di differente. L'architettura, come dicevo prima, è invenzione. Il resto è ripetizione e non interessa. Il segreto è nel programma, ogni dettaglio deve funzionare bene […]. In questo momento sto anche facendo un teatro in Argentina, un padiglione che potrà ospitare ben duemila persone. I miei committenti si sono entusiasmati per il progetto. Si può avere un teatro più bello, è vero, ma uguale non ne esisterà mai uno. È questo che lo rende un'opera d'arte, è una cosa differente, una cosa che crea sorpresa.
Qual è la città nella quale vivrebbe meglio?
Io sono brasiliano, a me piace Rio, c'è il mare.
Come mai non ha pensato a Brasilia?
Brasilia è stata mal distribuita, è stata fatta in fretta, in un periodo nel quale lì non esisteva niente.
Adesso che sono a Rio da qualche giorno, mi ha colpito notare che certi palazzi, specialmente sul lungomare, siano posizionati come un affronto alla natura circostante. A volte, invece, guardando dall'alto, mi ha stupito che le favelas sembrassero maggiormente integrate con l'ambiente e che, adagiandosi, paradossalmente, lo rispettassero di più.
L'architettura, generalmente, è il risultato del terreno e di quel che c'è attorno. Se il terreno è ripido l'architettura si adatta al terreno. Sono il territorio e la sua conformazione che renderanno l'architettura differente. Anche se hanno creato questa muraglia di palazzi davanti al mare, la natura li scavalcherà. La natura è così ricca che supera tutto. Rio De Janeiro è nata nel 1500. I Portoghesi costruivano una via e attorno mettevano i palazzi, Uno di fianco all'altro: palazzi di due, tre e, a volte, anche quattro piani. Hanno cominciato così nella più totale semplicità. E così, appena si finiva una via, se ne cominciava un'altra. L'architettura stessa ha camminato seguendo questo corso. Un giorno hanno sentito che le distanze venivano meno e che era necessario ridurre lo spazio e il modello della città-giardino era già stata superato. Allora hanno cominciato a salire in verticale. In questo modo Rio è diventata come New York: praticamente una merda. Ecco cosa intendo dire: il palazzo che sale perde la presa sullo spazio orizzontale corrispondente, di modo che è proprio l'architettura verticale a imporsi. Solamente in Francia ho visto questo concetto ben sviluppato, in una città verticale: è il distretto de La Défense. Vai lì e trovi tanto l'architettura verticale, quanto gli spazi orizzontali; è una città monumentale e bella.
A Brasilia le strade, perpendicolari ai grandi viali, non hanno un nome di persone, ma un numero. In Europa, le strade, generalmente sono intitolate a una persona o a un avvenimento. Invece, nella vostra capitale, ci sono solo numeri. Quanto è significativo per Brasilia rimanere impersonale?
ON: Brasilia è molto semplificata. Ci sono due assi perpendicolari e gli edifici sono costruiti sulla base di questo incrocio. Quando si entra a Brasilia, si passa attraverso la zona residenziale più esclusiva, lì ci sono degli appartamenti, c'è tutto: c'è il posto per il commercio locale, ci sono le scuole. Tutto è al posto giusto. Però quando si procede, si raggiungono le città satelliti, e lì compare la miseria completa. È per questo che secondo me Brasilia è una città che sta uscendo da un certo provincialismo, perché sta includendo la povertà nella zona ricca. E alla gente non importa. Avremmo voluto creare una città più semplice, più uguale, dove non ci sarebbero dovute essere tanta povertà né tanta ricchezza. L'architettura che noi comunisti vorremmo è un'architettura in cui le abitazioni fossero più semplici, di modo che le grandi imprese, come i teatri, gli stadi e i cinema risultassero ancora più grandi, di modo che tutti possano partecipare alla vita sociale. Oggi, se creo un teatro, per chi lo faccio? La gente può anche non entrare, può guardare da fuori e giudicare così. Ma, nel momento in cui faccio un'architettura diversa, può essere interessante che tutti vi partecipino. Il Brasile, però, su questi aspetti sociali è molto in ritardo. La gente che abita qui a Rio, davanti al mare, negli appartamenti di lusso, guarda alle favelas come a una zona nemica. Eppure lì ci sono i nostri fratelli che stanno sospesi, senza scuola e senza niente. È logico che poi arrivino alla vita indignati, rivoltosi. Il peggio di tutto è questo: la mancanza di comprensione. Qui almeno, nel mio studio, cerchiamo di dare un esempio di come vorremmo che ci si avvicinasse alla conoscenza. Da cinque anni, infatti, come le raccontavo prima, viene un professore che spiega la letteratura e che adesso parla anche di cosmologia. Uscendo dalle sue lezioni, ci sentiamo un po' più umili. Ma sarebbe bello che tutto il mondo potesse avere un'idea dell'universo che, allo stesso tempo, ci rende umili e ci incanta. Quando guardiamo al cosmo, ci sentiamo piccoli. Sentiamo che l'uomo dovrebbe essere più semplice. Poche cose sono importanti. L'uomo è battuto in partenza. Un giorno, un giornalista mi ha chiesto: "Qual è la parola più importante per te?" Ho risposto: "La solidarietà". Un altro mi ha chiesto: "Oscar e la vita?" E io ho detto: "La vita è avere la moglie a fianco e sia quel che Dio vuole". È vero. La moglie è la compagna più importante. La vita, pazienza! Noi non la comandiamo. C'è gente che viene qui pensando che con l'architettura, o con la letteratura, si salverà il mondo. Ma, per salvare il mondo, ci vuole solidarietà, bisogna pensare con uguaglianza, sapendo che noi uomini non abbiamo molta importanza e che dunque dobbiamo essere più semplici. Il resto è banale. Io ho avuto molto lavoro perché ho avuto fortuna. Quando ero giovane, ho fatto una piccola chiesa un po' diversa, che si è subito distinta. E il progetto è stato apprezzato fin da subito. In quel periodo anche io stavo cercando lavoro. Dobbiamo essere modesti, senza pensare d'essere importanti. Sentirsi importanti per me è ridicolo, io ho solo piacere nell'aiutare gli altri.
Secondo lei, dunque, cosa rappresenta l'utopia brasiliana?
Brasilia ormai non è niente di più, non è un esempio, è solo una capitale provinciale.
Quando sono stato a Brasilia, ho percepito un distacco, una sopraffazione dell'architettura rispetto all'individuo. In Italia, spesso, soffriamo la mancanza di spazio vitale nelle città. A Brasilia, invece, ho sentito che lo spazio era fin troppo, quasi a dimostrarmi la sua ostilità.
Brasilia, le ripeto, è stata proprio una necessità. Portare la capitale all'interno del Paese è stata la scelta adottata dal Presidente. Lui, con lo stesso denaro, avrebbe potuto costruire ferrovie, che avrebbero attraversato il Brasile da lato a lato. Ma sarebbe stata solo una delle soluzioni possibili. Ha preferito fare una città, pensando oltre, intuendo cosa sta succedendo adesso: altre città cominciano a sorgere vicino a Brasilia, occupando sempre di più il Paese.
L'intervista a Oscar Niemeyer è tratta dal volume After Utopia. A view on Brazilian contemporary art, pubblicato dal Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato con l'Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo, in occasione della mostra a cura di Atto Belloli Ardessi con Ginevra Bria, al Pecci dal 25 ottobre 2009 al 14 febbraio 2010.
L'uomo è solo davanti al cosmo
All'età di centodue anni, l'architetto brasiliano risponde limpidamente, riflettendo sul senso di estetica e di spazialità e sulla prassi artistica dell'architettura.
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- Atto Belloli Ardessi
- 26 dicembre 2010
- Rio de Janeiro
Atto Belloli Ardessi è direttore artistico di Isisuf, Istituto Internazionale di studi sul Futurismo. Svolge attività critica nell'ambito delle arti plastiche moderne, contemporanee e del design, curando mostre e saggi. È stato docente all'Istituto Europeo di Design e al Politecnico di Milano, insegnando metodologia della comunicazione visiva e analisi delle tendenze.