Tra i newyorkesi, anche nelle fasce più colte e sensibili all'architettura, l'inaugurazione della nuova boutique di Yohji Yamamoto, lo scorso febbraio, è passata quasi inosservata. I commenti sul misurato e magistrale intervento di riconversione di un edificio in mattoni a pianta triangolare firmato da Junya Ishigami si sono persi infatti tra il clamore generato dall'ennesimo, lussuoso grattacielo progettato da uno dei grandi nomi dell'architettura. Forse questo è accaduto perché il talento di Ishigami non è ancora molto noto fuori dal Giappone. Oppure per la posizione defilata dell'edificio, situato in una zona periferica, ai margini del sempre più popolare Meatpacking District. Un'altra, forse più importante, ragione è legata alla natura dell'intervento, condotto su una scala che tiene in considerazione la città e il dettaglio architettonico, ignorando volutamente quella dimensione intermedia generalmente considerata, almeno a New York, tipica del progetto architettonico. Con un unico taglio deciso, il vecchio edificio è stato diviso in due nuove sezioni: prelevando una generosa porzione diagonale a partire dalla facciata nord, lungo la vivace West 13th Street, si è creata una spaziosa apertura che separa nettamente il complesso in due parti; sulla più tranquilla Gansevoort Street, verso sud, la continuità della facciata sulla strada è stata invece mantenuta, fatta salva un'incisione di dimensioni più ridotte che offre un più discreto accesso al vicolo. Infine, all'intersezione delle due vie, la pianta della costruzione è stata arrotondata rendendola simile a una lama di forbice. Il padiglione in vetro e mattoni generato per mezzo di queste incisioni risulta al tempo stesso morbido e affilato. Siede all'intersezione tra le due strade, eccitato, quasi, dal fatto di essere stato sciolto dai legami con il tessuto della città. L'interno è austero, con le snelle strutture metalliche cui appendere gli abiti in esposizione e camerini di prova simili a cortine di ghiaccio. Dall'esterno, attraverso le grandi vetrine è visibile una continuamente rinnovata selezione della collezione di Yamamoto. Tuttavia, questa struttura aperta non opera in modo completamente autonomo: il vicolo crea a sua volta una divisione funzionale tra gli spazi di servizio e di vendita, che il personale deve attraversare per accedere al magazzino. Per ridare forma all'edificio è stata messa a punto una procedura elaborata: i muri in mattoni verniciati sono stati completamente smontati, ripuliti e ricostruiti secondo la nuova pianta. Questo processo ha consentito di inserire nella facciata finestre con cornici a incasso, una scelta cui si deve l'impressione che i grandi pannelli in vetro, alcuni dei quali a profilo curvo, si innestino senza sforzo nei muri. E che, all'intersezione tra il nuovo vicolo e Gansevoort Street, produce anche la suggestiva impressione di una struttura a sbalzo in mattoni sospesa sopra lo spigolo vetrato. Si tratta di operazioni delicate, che conferiscono all'edificio un tocco illusorio. Generalmente, le riconversioni comportano la necessità di modificare la configurazione della pianta interna in relazione al nuovo utilizzo. Questa trasformazione di un anonimo edificio industriale in un raffinato pezzo di architettura ci propone invece un modo completamente nuovo di trattare il tessuto cittadino preesistente. L'interno è creato semplicemente attraverso la manipolazione dell'esterno. Affilare l'estremità accentuando la forma triangolare rende lo spazio fluido. Gli interni sfuggono, infilandosi nella città. La griglia di Manhattan e la forma dei suoi edifici sono il risultato di una serie di transazioni del mercato immobiliare, ma la boutique Yamamoto dimostra come la forma della città possa essere qualcosa di più: al di là della raffinata collezione di abiti, il progetto trasmette infatti ottimismo e generosità, riconsegnando la strada al pubblico. E a testimonianza di questa filosofia, una traccia di mattoni incastonata nel marciapiede preserva il ricordo della precedente vita dell'edificio.