Sejima by Ishigami: dentro la casa nel frutteto di pruni

Nel 2004, Domus incontrava Kazuyo Sejima per esplorare uno dei suoi progetti più celebri, con cui l’architetta giapponese contestava gli spazi dell’abitare convenzionale. Junya Ishigami firmava molte delle immagini che riproponiamo qui dal nostro archivio. 

Nel contesto, talmente leggendario da risultare quasi proverbiale, del tessuto residenziale di Tokyo, sul finire degli anni ’90 una copywriter commissiona a Kazuyo Sejima ­– cofondatrice dello studio SANAA, simbolo vivente dell’architettura contemporanea giapponese, curatrice della Biennale di Venezia nel 2010 – lasciando un’iniziale carta bianca, con la sola osservazione di non volere davvero una casa confortevole, quanto più un luogo dal quale a un certo punto partire. Racconta queste prime mosse a Domus, che le pubblica nel gennaio del 2004, sul numero 866. E le accompagna con le parole scambiate assieme a Sejima stessa, e alle immagini della casa, abitata, realizzate da Noguchi Rika, e da Junya Ishigami, che negli anni inmmediatamente successivi avrà modo di far parlare di sé nel mondo dell’architettura. È una casa che va ad occupare lo spazio di un pruneto, e che per questo vuole conservare alcuni degli alberi esistenti, e una casa che vuole fare dell’interno una sequenza di spazi minimi, ridefinendo il rapporto degli abitanti con gli oggetti, e coi loro simili: un progetto che assume un valore di manifesti dell’abitare.

Domus 866, gennaio 2004

Il nido nel frutteto dei prugni

Un piccolo lembo di terra: come è possibile, in uno spazio così limitato, costruirsi un ‘nido’ decoroso?
È l’eterno problema che affligge chi vive a Tokyo. Vorresti avere una casa come quelle pubblicate sulle riviste alla moda, costruirla su un lotto costoso, in una zona prestigiosa, per la quale faresti fuori tutti i tuoi risparmi… E poi, per quanto inevitabilmente piccola, dovrà apparire spaziosa, con lo spazio interno il più possibile sgombro da cose e pareti... Questo è probabilmente il sogno che a Tokyo condividono tutti quelli che vorrebbero possedere una casa.

D’altro canto, l’industria immobiliare in Giappone, dimostrando una straordinaria rapidità di azione nell’urbanizzazione del dopo-guerra, ha affrontato con decisione i limiti dello spazio urbano giapponese, proponendo un’ampia gamma di variazioni sul tema della residenza mono-familiare. Una vasta scelta di soluzioni per venire incontro ai sogni, alle finanze e, naturalmente, risolvere i problemi di spazio dei proprietari di case - più dell’80% dei quali sono (e si considerano) “middle-class”. Le case prefabbricate derivate da questo sforzo sono state progettate e prodotte in serie secondo un schema standard LDK: 2-3 stanze da letto + soggiorno(L) + sala da pranzo (D) + cucina (K).

Domus 866, gennaio 2004

L’architetto Kazuyo Sejima ha sollevato recentemente dei dubbi a riguardo di soluzioni basate su una formula così rigida. A partire da un’attenta osservazione dello stile di vita e dei modelli di comportamento degli individui che iniziano una nuova vita come proprietari di casa, Sejima sostiene che il modello LDK e le immagini di interni domestici veicolate dai media non abbiano prodotto altro risultato se non quello di “costringere tutti a tenere tutto piccolo”. D’altra parte non è forse un’ossessione imposta dai media anche il fatto di considerare negativamente il ‘piccolo’? Come gli uccelli vanno alla ricerca all’interno dei propri ecosistemi dei materiali e dei luoghi per nidificare, anche gli abitanti della città possono costruire il loro ‘nido’ affidandosi alle caratteristiche del loro ambiente di vita.
E così, su un piccolo lotto, in un angolo di una tipica zona residenziale di Tokyo, Sejima rompe con le immagini precostituite, utilizzando le limitazioni dello spazio come vere e proprie suggestioni compositive.
Osservando attentamente le diverse sfere di vita familiare, Sejima propone un radicale ripensamento della tipologia mono-familiare.
Il “cubo bianco” ospita uno spazio non convenzionale rispetto all’ecosistema della famiglia e della comunità giapponese, uno spazio dove una famiglia di cinque persone può raccogliersi temporaneamente.

Al di là di una valutazione estetica (o di dispute morali sulla condizione urbana a Tokyo), la casa di Sejima merita un’attenzione particolare. L’insieme degli esperimenti e delle innovazioni incorporate in questa piccola scatola rappresenta infatti una proposta precisa per un modo alternativo di abitare in una condizione urbana congestionata. Una proposta, in altre parole, per liberare le proprie energie vitali e vivere meglio.

Domus 866, gennaio 2004

Questa è una casa assolutamente unica; quando abbiamo chiesto alla coppia che gliela ha commissionata se le avessero indicato alcune particolari esigenze, ci siamo molto sorpresi venendo a sapere che le hanno lasciato carta bianca. Da dove ha iniziato il processo di progettazione?
Nel lotto i prugni erano in fiore, bellissimi. Il desiderio della coppia era di tenere gli alberi e ho fatto del mio meglio per accontentarli.
Ho disegnato una casa il più possibile compatta, per avere la possibilità di conservare alcuni prugni attorno ai suoi quattro lati. All’inizio mi hanno detto che volevano abitare in un unico spazio, che io in seguito ho reinterpretato come un accumulo di stanze differenti collegate tra loro. Si tratta di una famiglia di cinque persone (una coppia, una figlia adolescente, un figlio bambino, una nonna), il che normalmente avrebbe significato quattro stanze da letto e un soggiorno. In un primo momento ho provato a disegnare un soggiorno il più grande possibile ma, tenendo piccole tutte le stanze da letto, ottenevo al massimo un soggiorno di 18 metri quadri... I cittadini giapponesi possiedono un sacco di cose materiali, di oggetti, ma col sistema giapponese Ldk, in cui il ‘soggiorno-sala da pranzo-cucina’ è progettato come uno spazio comune, non c’è veramente uno spazio in cui si possano concentrare in modo soddisfacente tutti questi oggetti. In Giappone è pratica diffusa assegnare una stanza ad ogni membro della famiglia e poi cercare nello spazio rimanente di farci entrare a forza, quasi fosse un ripensamento, uno spazio comune. Che infatti il più delle volte risulta davvero troppo piccolo per tutti questi oggetti, che vengono così ridistribuiti e ammassati in disordine.
Così una famiglia che ha una casa nuova - per mantenere un certo decoro - deve accumulare un numero molto limitato di oggetti, in modo da evitare che trabocchino dappertutto. Ho sempre pensato che non è tanto divertente. Ciò nonostante fino a quando mi è capitato di progettare questa casa, avevo sempre finito col dover accettare anch’io l’idea che gli edifici sono più belli se contengono poche cose. Cercavo una soluzione alternativa ma non trovavo una risposta. Quando tutto ad un tratto mi è venuta un’idea: perché non fare tante piccole stanze, anche per gli oggetti? In questo modo una piccola stanza progettata, per esempio, solo per i libri, sarà interessante, anche se piena zeppa. E ciascuna delle tante piccole stanze potrà venire studiata a misura di un particolare arredamento. Mi è sembrata una soluzione sicuramente migliore. Essenzialmente ciò equivale a dividere gli spazi; una frammentazione ancora più radicale di quella proposta dal modello Ldk. Dividendo lo spazio in piccole stanze, si è liberi di scegliere. Facendo una stanza da letto più piccola, per esempio, si può guadagnare un altro “luogo appartato” e dunque offrire una possibilità di scelta in più, in accordo con l’umore e i desideri di ciascuno.
Perfino la privacy, che si dovrebbe ottenere dietro ai muri spessi e robusti che dividono le stanze, sembra meno importante che avere la possibilità di scegliere in libertà se stare con la famiglia o starsene isolati – e questa non potrebbe forse essere una nuova forma di privacy? Se la nonna litiga col nipote fino ad ora l’unica cosa che potevano fare era rinchiudersi ciascuno nella propria stanza. In questa casa invece hanno molte più opzioni.

Domus 866, gennaio 2004

Quali sono state le questioni progettuali che ha dovuto affrontare per suddividere lo spazio in questo modo?
Facendo le stanze così piccole semplicemente non era possibile avere i soliti muri. Così, lavorando sul concetto di “ambiente unico”, siamo arrivati all’idea che dovessero esserci dei muri sottili per separare le stanze ma, anche, molte aperture nei muri per collegarle.Così le stanze risultavano indipendenti e nello stesso tempo collegate.

I muri sono molto sottili… quasi membrane.
Sì, sono semplici divisori.

Lo spessore dei muri è quello di una lastra di metallo.
Dal punto di vista strutturale, il requisito minimo era di 12 mm, ma gli operai ci hanno chiesto che i muri fossero di 16 mm, perché altrimenti le lastre di acciaio si sarebbero deformate durante la saldatura. In realtà, io le avrei volute ancora più sottili.

E come ha risolto i problemi di isolamento termico e di condizionamento dell’aria?
L’isolamento nei muri è stato ridotto al minimo. L’esterno dei muri perimetrali è rivestito di vernice riflettente, così in estate il calore può entrare solo attraverso delle aperture sigillate. Ma per evitare la dispersione di calore all’interno, abbiamo dovuto utilizzare uno strato di isolamento. In Europa avrebbero utilizzato uno spessore di 100 millimetri, in questa casa invece sono meno di 30. Le lastre di metallo si raffreddano molto velocemente, ma l’isolamento impedisce al freddo di attraversarle.
Abbiamo utilizzato poche unità di condizionamento. Le condutture salgono molto in alto, così l’aria calda torna in basso e circola in ogni punto. L’aria circola bene e dappertutto, in tutte le stanze.

…attraverso le aperture nei muri interni.
Guardandole dall’esterno, si potrebbe pensare che le aperture avrebbero dovuto esse più grandi, ma gli interni sono in una scala così piccola che aperture più grandi ne avrebbero rovinato le proporzioni.

Domus 866, gennaio 2004

È un piacere osservare come all’immagine unitaria della casa dall’esterno corrisponda invece un interno così frammentato. E i colori tenui in cui sono dipinti i muri di ogni stanza sono davvero un piacere per la vista.
Purtroppo la carta da parati è molto cara. Avrei voluto usarne di diverse tipologie, ma alla fine abbiamo dovuto optare per la tintura. Fino ad oggi avevo una certa resistenza nell’usare la carta da parati. Con i muri spessi, la carta da parati sembra soltanto una decorazione sovrapposta sulla superficie, ma devo dire che con le lastre di metallo è tutto diverso: se si applica del legno (come nel bozzetto) o perfino carta da parati con motivi di rose sopra una lastra sottile di acciaio, il metallo sembra fare sua quella texture, proprio come se ne fosse impregnato. In teoria, quasi ogni tipo di materiale può essere applicato sulle lastre con risultati interessanti.

Anche il modo in cui sono disposte le aperture è davvero particolare.
Questa disposizione spaziale (le aperture intorno alla stanza della figlia) ci ha aiutato a eliminare del tutto la sensazione di profondità. Attraverso le aperture si può vedere nella stanza vicina, e questo rende la stanza stessa piatta, come una fotografia. Non si riesce a dire se ci sia profondità o no. Sembra piuttosto una immagine piatta ritagliata e attaccata al muro. Alcune stanze guardano verso l’esterno attraverso la finestra di un’altra stanza, e ciò dipende da come le stanze sono disposte in sequenza. I proprietari hanno detto che non volevano vetri, e infatti le aperture dei muri interni sono semplicemente dei tagli nelle lastre metalliche. Le stanze adiacenti sono in relazione una con l’altra in modi ogni volta differenti, ciascuna è tagliata in maniera molto ‘arbitraria’, l’una dentro l’altra. Certo, si sentono i suoni della stanza vicina, e in un certo senso non c’è privacy, ma è comunque una sensazione diversa da come i suoni viaggiano tra le stanze insonorizzate di un hotel.

Probabilmente è la configurazione spaziale ideale per una famiglia che voleva vivere in un ‘unico ambiente’.
I membri della famiglia vengono riuniti in un unico spazio, ma nello stesso tempo riescono a mantenere una distanza adeguata tra loro.

Domus 866, gennaio 2004

Il muro della stanza del bambino, che è un muro esterno, ha una finestra particolarmente grande.
C’è qui un particolare rapporto tra interno ed esterno?

La finestra si trova ad una altezza per cui anche un adulto seduto sul letto non può essere visto. Se si è sdraiati o seduti sul letto, non si è raggiunti da sguardi invadenti.

Così interno ed esterno sono solo arbitrariamente separati così come in altri spazi sono solo arbitrariamente collegati.