Questo articolo è stato pubblicato in origine sulla monografia dedicata a Jean Nouvel, in allegato a Domus 1063, dicembre 2021.
In taxi, andando a cena al ristorante Le Duc, in boulevard Raspail, a Parigi – “si mangia bene il pesce, vedrai” –, Jean Nouvel sintetizza mesi d’immagini, parole e visioni per prepararsi a fare il guest editor di Domus 2022.
“Spinoza, per me, aveva ragione: senza emozione non c’è ragione, senza sentimento non c’è oggetto. Penso che sia una definizione che vale per tutto, ma di certo per l’architettura”. Di sicuro, vale per Jean Nouvel, che non è soltanto l’architetto vivente con più reference su Google. E nemmeno un filosofo che ha scelto l’architettura come campo d’azione, sebbene abbia avuto modo d’incontrare, dopo l’adolescenza, Claude Parent prima e Paul Virilio poi, che, con il loro gruppo, avrebbero costruito una nuova visione dell’architettura. Non basta. Nouvel non è nemmeno un artista in senso pieno, sebbene abbia prodotto molti oggetti di scala diversa che, alla critica, hanno fatto parlare di arte. “Definirei l’architettura un’arte che coinvolge altre forme di arte, in essa c’è sempre una dimensione di passaggio dall’idea al manufatto. Fare architettura, per me, è un modo per inventare sensazioni e realizzare ossessioni in modo generoso: è quindi come lil cinema e la letteratura”.
Intervista a Jean Nouvel: “L’architettura è resistenza contro il sistema”
Jean Nouvel racconta la sua idea di architettura: “un atto umano unico nel suo genere”, “la risposta a domande concrete, sociali e individuali”, “un mezzo di democratizzazione”. Descrivendo il suo approccio non specialistico e culturale, anticipa i temi che affronterà il prossimo anno su Domus.
View Article details
- Walter Mariotti
- 20 dicembre 2021
L’architettura è resistenza contro il sistema, contro una globalizzazione fisica che non rispetta il genius loci e l’anima dei luoghi, i contesti e le differenze tra le persone.
Roland Barthes diceva che la letteratura è la domanda senza risposta. E l’architettura?
Barthes aveva ragione. Per me, l’architettura è rispondere a una domanda che non viene mai fatta. Soprattutto, l’architettura è resistenza contro il sistema, contro una globalizzazione fisica che non rispetta il genius loci e l’anima dei luoghi, i contesti e le differenze tra le persone, che vorrebbe fare vivere tutti allo stesso modo, in spazi troppo piccoli, in ogni regione del mondo.
La storia è importante in architettura?
Fondamentale. Amo lavorare su progetti che coinvolgono architetture storicizzate, perché oggi è possibile restituirle al presente, mantenendo la loro dimensione storica.
Il potere della tecnologia, che tu ben conosci.
La tecnologia oggi è molto importante, è un destino. La tecnologia è fatta di onde immateriali e complementari. Magnifici vecchi edifici potrebbero diventare luoghi ideali per accogliere immagini evanescenti e suoni di ogni genere. Mi piace imboccare le scorciatoie tra i millenni. Pensa al Building Information Modeling. È anche, però, uno strumento, non è mai il fine. Non può esserlo, perché il fine è il rispetto dell’uomo e della sua dimensione spirituale. Emozione e ragione. E torniamo a Spinoza.
Che cos’altro è l’architettura per Jean Nouvel?
L’architettura è, prima di tutto, la risposta a domande concrete, sociali e individuali. È la costruzione di nuove abitazioni, di uffici e spazi pubblici, perché quelli attuali non sono più adeguati ai nuovi scenari economici e alla crescita della popolazione. Fermiamo la clonazione dello stesso edificio in tutto il mondo. L’architettura è diversa dall’edilizia: non è un investimento a breve, ma un bene di cui usufruire per decenni o secoli.
Un investimento per il futuro.
Che crea spazi da vivere, spazi umani. Per me, non è importante lo stile: sono basilari le domande di ogni epoca all’architettura, le variazioni culturali, economiche e sociali che accompagnano l’uomo. Perché l’architettura è, prima di tutto, un atto umano unico nel suo genere.
Occorre produrre una visione che eviti di creare luoghi morti nelle città, zone frammentate che, da una parte, hanno solo uffici, dall’altra solo edifici residenziali.
Perché hai accettato di fare il guest editor di Domus?
Domus è sempre stata un punto di riferimento imprescindibile per la mia generazione. E non solo. Considero, quindi, un onore avere la possibilità di fare il guest editor. Dopo la mia esperienza con L’Architecture d’Aujourd’hui, credo che la rappresentazione culturale dell’architettura sia imprescindibile. Soprattutto in questo momento storico.
Con L’Architecture d’Aujourd’hui hai cercato di superare una visione prettamente architettonica, mettendo insieme mondi diversi, uscendo dalla narrazione tradizionale delle riviste di architettura. È questo il tuo progetto per Domus?
Ogni rivista deve prendere una posizione precisa. È importante. A Domus mi concentrerò sul carattere degli edifici e sulla loro relazione con l’arte. Soprattutto, parlerò delle immagini, perché sono convinto che oggi l’architettura trovi in esse un’ispirazione profonda e positiva. A rendermi triste sono le riviste compilative, che allineano un edificio dopo l’altro con fotografie sempre più piccole. Non trasmettono il significato dell’edificio né il senso dell’architettura. La mia Domus sarà diversa. Tu sai che sarà emozionante, perché l’abbiamo fatta insieme, con te e con la redazione.
Quindi, su Domus 2022 le foto saranno diverse?
Non solo le foto. Ho provato a uscire da un’idea antiquata delle riviste come catalogo, dando un’interpretazione diversa, laterale e soggettiva del significato dell’architettura con tutte le sue funzioni e parametri indispensabili.
Hai lavorato in Paesi dove non c’è democrazia, e questo ti è stato fatto notare.
Credo che l’architettura sia un mezzo di democratizzazione. Spesso è il solo mezzo. Molti Paesi dove ho lavorato non erano democrazie, ma stavano andando verso la democrazia, con tutte le difficoltà. Credo che la cultura e l’architettura siano fattori importanti per introdurre l’evoluzione simbolica e materiale nella vita di tutti i giorni.
In Europa è ancora importante l’architettura? A vedere certi progetti sembrerebbe il contrario.
L’architettura è irrinunciabile, è uno dei pochi mezzi per un vero cambiamento, autentico, della società. Occorre produrre una visione che eviti di creare luoghi morti nelle città, zone frammentate che, da una parte, hanno solo uffici, dall’altra solo edifici residenziali. Occorre anche una visione per ciò che non è città: i campi, i boschi, i deserti, che devono essere rispettati e non violentati. Occorre ricombinare le funzioni architettoniche. Per questo ci vuole una visione architettonica e, prima ancora, umana.
Jean Nouvel ha sempre rivendicato il diritto e la libertà di fare architettura, design e forse anche progetti artistici. Sei contro la specializzazione?
Non ho mai avuto una tipologia preferita, ma referenze che creano specializzazione. Non credo che la specializzazione sia un’idea giusta, perché ogni progetto è un caso particolare, che funziona in un luogo, ma non in un altro. La mia vera specializzazione è tenere conto del luogo, del progetto e delle persone. Mi sembra abbastanza, no?
Immagine in apertura: Jean Nouvel durante l’intervista con il direttore editoriale Walter Mariotti. Foto Giovanni del Brenna