Costruzioni su scala gigantesca sconnesse dalla città fioriscono in tutto il mondo, baluardo estremo di quella corsa all’urbanizzazione che segna l’evoluzione del nostro pianeta e che arriverà tra 30 anni, si stima, al 70 per cento (contro meno del 10 per cento nel 1900). È un fenomeno che si sta affermando nei centri urbani di tutto il mondo dove questi “enormi surrogati simbolici della città” che Richard Ingersoll stigmatizza con il termine ipertettura prendono via via il posto di tessuti fatti da edifici a scala umana collegati da spazi pubblici, e accendono i riflettori su uno scenario che va monitorato e gestito.
È da queste premesse che ha preso avvio la prima edizione della speciale pubblicazione Grandi opere allegata al numero di giugno di Domus, che si propone come uno strumento di analisi e riflessione sulle grandi infrastrutture e sul loro potenziale di migliorare la qualità della vita della città e dei suoi abitanti. Lo fa, innanzitutto, attraverso due saggi inediti a firma di un filosofo e di un urbanista. Leonardo Caffo analizza la nostra “epoca del collasso” – delle periferie sui centri, della natura sulla cultura, dell’ambiente, dei generi, della morale – per sottolineare la necessità di legare la “grande opera” a una dimensione umana virtuosa – perché “le grandi opere architettoniche senza grandi filosofie sono solo infrastruttura sistemica”.
Richard Ingersoll denuncia le operazioni speculative – condotte dai politici con gli immobiliaristi e con i loro architetti – che hanno portato a creare le ipertetture – “monumenti alla vanità che rappresentano la psicosi collettiva mondiale dello spreco” – e individua una strategia possibile per contrastarle dall’interno: infiltrarsi nelle funzionalità di queste strutture simboliche, facendone delle fonti di energia pulita.
Il livello più squisitamente progettuale dell’indagine di Domus grandi opere viene affidato a nove progetti internazionali di ultima realizzazione. In primis, alla riqualificazione del quartiere Clichy-Batignolles con le ultime addizioni opera di progettisti come Jean-Paul Viguier, Baumschlager Eberle Architekten + Scape o Aires Mateus, governate da un processo in cui l’ente di pianificazione ha conservato il controllo sulle decisioni architettoniche: l’espressione delle potenzialità delle zone d’aménagement concerté, uno degli strumenti a supporto della sostenibilità sociale e ambientale a Parigi. Ma anche al progetto del fronte mare di Brooklyn, frutto del nuovo master plan di SHoP Architects che sta reinventando l’ex area industriale Domino Sugar, dopo un lungo processo di revisione condivisa.
Sempre a New York, nell’area di urbanizzazione gentrificata nota come Hudson Yards, Diller Scofidio + Renfro hanno realizzato lo Shed, un progetto multidisciplinare per le arti avveniristico e polifunzionale, realizzato con finanziamenti pubblici, che offre un’esperienza urbana unica con il suo enorme guscio mobile. Inaugurato ad aprile, lo presentiamo in anteprima. A Copenaghen, il termovalorizzatore Amager Bakke – chiamato Copen Hill – sfrutta la sua condizione ipertetturale per un migliore risultato in fatto di emissioni zero e offre una pista da sci sul ripido versante del tetto e una parete a strapiombo per l’alpinismo ai lati, con la promessa di stabilire un nuovo paradigma.
Tra le grandi infrastrutture di Domus grandi opere ci sono poi il progetto di HOK per l’ala est del Terminal B del LaGuardia, il primo tassello di un’operazione che rimodernerà l’intero aeroporto entro il 2022, la Marina di Keppel Cove di UNStudio sulle rive del fiume Xi Jiang in Cina, le quattro stazioni della rete ferroviaria ad alta velocità saudita di Foster + Partner e il nuovo ponte di Renzo Piano sul Polcevera di cui sono appena iniziati i lavori – quest’ultimo arricchito da un saggio di Andrea Zampieri sul crollo del Ponte Morandi e sulla sicurezza delle grandi infrastrutture.
Corona il nostro speciale una copertina d’autore affidata all’artista della tipografia Alan Kitching, che interpreta il tema del numero realizzando una grande opera per Domus.