C’era una volta il negozio classico: scaffali pieni, casse tintinnanti, un “grazie e arrivederci” prima di uscire. Poi il XX secolo ha portato il concept store, una nuova creatura del retail a cui non bastava vendere cose. Biba a Londra, Fiorucci a Milano e Olivetti in giro per il mondo. Non offrivano solo vestiti, dischi o macchine da scrivere, ma un intero universo. Moda, musica, arte. Tutto mescolato in un cocktail magnetico. Non ci andavi per comprare, ma per vedere, farti vedere, respirare l’atmosfera. Oggi quello spirito esiste ancora, ma le regole sono cambiate. Con lo shopping online che domina – confronto prezzi, comodità, gratificazione immediata – il negozio fisico è diventato un’altra cosa. Non più un semplice contenitore di merci, ma un palcoscenico per identità, cultura, lifestyle. Può capitare di entrare e non trovare né scaffali, né casse, né capire subito cosa si venda. Ed è proprio questo il punto. Come spiega Paco Underhill, esperto di retail: “Il negozio fisico non è più solo un posto dove si compra, ma uno spazio per vivere esperienze.”
15 negozi che hanno ridefinito il concetto di shopping
Gli ambienti di vendita, ripensati a partire dal secolo scorso attorno al concetto di “esperienza”, hanno subito una trasformazione ancora più profonda con l'avvento degli e-commerce.
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- La redazione di Domus
- 13 dicembre 2024
Prendiamo gli Apple Store. Con il design di Norman Foster, hanno trasformato l’acquisto tech in un’esperienza minimalista: templi di vetro dove ogni dettaglio – dall’illuminazione al gesto con cui strisci la carta – sembra pensato per farti dimenticare che stai spendendo soldi. O Supreme, che ha reso lo shopping una performance: file infinite, drop in edizione limitata, e quell’aria di esclusività che vale quasi più del prodotto stesso. O come Aesop, che ha dedicato una cura meticolosa alla progettazione di ogni store, collaborando con i progettisti locali più rinomati e che ha compreso per primo l’importanza di vendere un’esperienza e un rituale, prima ancora di un cosmetico, prevedendo la presenza di lavabi negli spazi di vendita.
Il negozio fisico non è più solo un posto dove si compra, ma uno spazio per vivere esperienze.
Paco Underhill
Poi ci sono Tesla e Lynk & Co, che hanno reinventato i concessionari d’auto, trasformando luoghi anonimi in spazi cool, eleganti, esperienziali. Spesso non esci con un prodotto, ma con un’emozione, un’ambizione, o almeno una foto Instagram degna di nota.
Paradossalmente, lo shopping online, che sembrava destinato a far sparire i negozi fisici, li ha spinti verso una nuova età dell’oro. Liberati dalla logica dell’utilità, i negozi sono diventati gallerie, caffè, club. Vendono storie, non solo oggetti.
Ecco 15 negozi che hanno riscritto le regole dello shopping nel XXI secolo.
Più che negozi, cattedrali della tecnologia. Facciate di vetro, un’aura quasi religiosa. Niente scaffali: solo spazi minimalisti dove i “genius” fanno miracoli con gli iPhone rotti.
Ore di fila per spendere centinaia di euro su una mattonella con il logo? Supreme ha reso possibile l’impossibile. I suoi store sono santuari dello streetwear, dove ogni acquisto è uno spettacolo.
Un concessionario senza auto in vetrina? Suona assurdo, ma funziona. Al loro posto caffè, coworking, e un’atmosfera curata nei minimi dettagli. Test drive? Meglio rilassarsi.
Palazzi dorati del caffè dove un latte costa più di un pranzo. Ma con micro-torrefazioni e baristi che parlano come sommelier, ogni euro sembra meritato.
Tutto rosa millennial, tutto perfetto per i selfie. Non è solo un negozio di cosmetici, è un luogo dove sentirti bellə (e postarlo subito).
Se Willy Wonka facesse scarpe, i flagship Nike sarebbero il risultato: interattivi, esagerati, ambiziosi. Personalizzazione, realtà aumentata, design futuristico – più parchi a tema che negozi.
Un Dover Street Market è un sogno febbrile di alta moda. Curato da Rei Kawakubo, è un mix di caos controllato e installazioni all’avanguardia che rendono lo shopping un’esperienza da galleria d’arte sotto acido.
Addio labirinti di polpette e mobili da montare. Questi studi urbani si concentrano sulla vita in città. Non esci con una libreria Billy, ma con una cucina degna di Pinterest, sì.
Un mercato? Un ristorante? Una scuola di cucina? Tutto insieme. Eataly dimostra che il formaggio si vende meglio con vino e pasta di contorno.
Tesla ha ribaltato il modello del concessionario, piazzando i suoi negozi nei centri commerciali, tra Zara e il food court. Addio meccanici e trattative infinite: qui è tutto minimalista, tutto elettrico.
Supermercati dove la tecnologia incontra la spesa tradizionale. Basta l’app di Amazon o la carta per saltare la fila alla cassa: prendi e vai, il conto arriva via email.
Negozio o manifesto? Patagonia con Worn Wear vende capi usati e riparati, ribaltando l’idea che lo shopping sia solo consumo. Qui la sostenibilità è la vera protagonista.
Dove l’ospitalità incontra il retail. Ogni dettaglio, dallo spazzolino alla bianchieria, è in vendita. Dormire qui è come vivere in un catalogo Muji: semplice, funzionale, rilassante e irresistibile.
A New York, Samsung non vende nulla. Offre invece un parco giochi per tech-lover: demo in realtà virtuale, arte digitale, esperienze. Per innamorarti del brand, non dei prodotti.
Questo marchio sudcoreano di occhiali ha trasformato i negozi in installazioni artistiche: sculture cinetiche, scenografie surreali. Sembra di visitare un museo d’arte contemporanea più che scegliere un paio di occhiali.