Nel 2020 Tesla presenta il suo pick-up, in acciaio tutto squadrato. Con il Cybertruck, il marchio americano ha segnato un’inversione di tendenza nel design, un vero “ritorno al futuro” a un approccio alla progettazione. Il riferimento non è casuale: la DeLorean Dmc-12, la macchina del tempo della trilogia cinematografica di Robert Zemeckis, è probabilmente la regina delle auto brutaliste.
Quando il brutalismo è protagonista nel car design
Auto brutaliste: ne ripercorriamo la storia in 10 modelli, dal dopoguerra al lancio del Cybertruck di Tesla, passando anche per brand italiani insospettabili come Alfa Romeo, Lamborghini e Ferrari.
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- Alessio Lana
- 22 febbraio 2021
Come nell’architettura, anche nelle quattro ruote brutalismo significa strutture nude e possibilmente a vista e una riprogettazione degli spazi interni che ha poco da invidiare alla marsigliese Unité d’Habitation di Le Corbusier. Un anno prima di quel rivoluzionario progetto del 1948, la Citroën lanciava Type H, la nonna di tutte le auto brutaliste. Il legame tra i due progetti francesi non è solo estetico: quel furgoncino squadrato e compatto aveva anche un’anima utilitarista, era un mezzo da lavoro in cui si dovevano massimizzare i volumi lavorando con le linee. Non a caso è stato trasformato in ambulanza dalla Croce Rossa, in caravan e perfino in bottega mobile dei venditori ambulanti.
Non stupisce poi che il progetto del Type H sia firmato Flaminio Bertoni. Il designer e scultore di Masnago è solo uno dei tantissimi progettisti e marchi italiani che hanno fatto correre il brutalismo sulla strada. Da Bertone a Gandini, da Giugiaro a Pininfarina, da Ferrari e Fiat e Lamborghini, non c'è dubbio che la lingua parlata dal brutalismo a quattro ruote è soprattutto l'italiano.
Firmata Bertone, questa dream car è basata sull’Alfa Romeo 33 Stradale ma le linee sinuose dell’originale vengono modificate radicalmente. La carrozzeria, disegnata da Marcello Gandini, è ora un cuneo che fende l’aria, il frontale è affilato, il paraurti sottilissimo, l’altezza da terra sotto il metro. La rivoluzione è immediata. Siamo nel 1968 e questo “coleottero” nero-verde ha il primato di portare le linee squadrate nel design automobilistico, contaminando tanti modelli successivi. Basta pensare al concept Stratos Zero, alla DeLorean o a quel sogno anni ‘70 chiamato Lamborghini Countach.
Nello stesso periodo della Carabo anche la Pininfarina sperimenta con forme innovative, arrivando a creare un’auto che sembra appena sbarcata da un altro mondo: viene ideata nel 1967 e presentata a a Ginevra nel 1970, un anno dopo quello sbarco sulla Luna che ha fatto sognare altri mondi anche nell’automobilismo. Progettata da Paolo Martin partendo dalla ruggente Ferrari 512 S, è una vettura lunghissima, che si distingue per le ruote carenate e l’assenza di portiere. Parabrezza, finestrini e parte del tetto infatti slittano in avanti per accogliere guidatore e passeggero ma la maggiore sorpresa è all’interno dove, vicino del volante, troviamo una sfera che raccoglie i comandi principali.
Il brutalismo fa rima necessariamente rima con le piccole dimensioni. La necessità di ottenere il massimo volume sfruttabile porta Sebring a squadrare la sua proposta di mobilità del futuro. Siamo nel 1974 quando esce Citicar, una due posti elettrica letteralmente microscopica. È lunga 2,4 metri, larga 1,4 m. e alta 1,5 m. per un peso piuma di 591 kg. Per fare un paragone basta dire che la prima smart era lunga 2,5 metri e per capirlo appieno dobbiamo pensare che siamo in Florida, non in Europa. La vettura è così minimalista da non avere optional disponibili e oltre alla forma insolita offre anche un propulsore avanti sui tempi. È infatti elettrica, il suo motore da 1,8 kW cavalli la spinge fino a 45 km/h, l’autonomia di 60 chilometri e le oltre quattromila unità prodotte fecero pensare che la rivoluzione elettrica fosse alle porte.
L’idea del cuneo torna in Inghilterra negli anni ‘80 e l’ispirazione è un’altra opera filmica: il Doctor Who. Il nome in codice della one-off Aston Martin Bulldog era infatti Project K.901, come lo squadrato cane robot della serie Tv. Il design trapezoidale cede a elementi anni ‘80 come i fari a scomparsa e le porte ad ala di gabbiano, la velocità massima è quasi da primato (307 km/h) e gli interni fanno pensare a una capsula spaziale. Di fronte al guidatore c’è uno schermo che permette di la vista posteriore, una chicca che vedremo sulle vetture ordinarie solo due decenni dopo.
Il brutalismo diventa di massa nel 1980 con la Fiat Panda. Il designer Giorgetto Giugiaro la chiamava frigorifero, un soprannome non necessariamente dispregiativo. Le linee che sembrano ricavate da un ciocco di legno tagliato con l’accetta erano pensate per offrire la massima abitabilità restando però nei volumi di un’utilitaria. La Panda doveva essere economica ma affidabile, cittadina ma in grado di portare gli italiani del boom alla casa al mare o in montagna. Tutto qui è scarno e “brutale”, dalle cerniere delle porte a vista al marsupio interno portaoggetti fino all’essenziale divano posteriore ad amaca, praticamente una tela tenuta in tensione da due tubi.
Rimaniamo negli Anni ’80 perché il brutalismo ha ancora tanto da offrire e in particolare la Citroën Karin, l’auto a piramide. Questa vettura confonde l’occhio con le sue forme che fanno pensare a un aereo spia, e l’ampia superficie vetrata che parte dalla carrozzeria per puntare al cielo e poi chiudersi su un tettuccio grande come un foglio A3. Gli interni non sono da meno e che più che futuristici oggi appaiono retro-futuristici. La posizione di guida è centrale, con i due passeggeri in linea ma leggermente arretrati, il volante ricorda una cloche e ha tanti piccoli bottoni che lo circondano. Manca solo la voce di Hal 9000 in sottofondo.
Se prima i paragoni cinematografici erano suggestioni, con la DeLorean Dmc-12 diventano realtà. Nata nel 1981, questa vettura era così stupefacente dal punto di vista del design (il progetto originale è di Giorgetto Giugiaro) da essere diventata la macchina del tempo di Ritorno al futuro. Qualitativamente non era granché e le scarse vendite portarono sul lastrico John DeLorean eppure è diventata un’icona che sopravvive ancora oggi. A quarant’anni dalla nascita infatti la rinata DeLorean Motor company sta cercando di riportarla sul mercato con un propulsore elettrico.
Nell’automobilismo, l’aggettivo “brutale” ha molti significati. Designa auto velocissime ma anche le loro dirette controparti, i fuoristrada duri e puri. Presentata a Ginevra nel 1982, la Lamborghini LMA002 è una proto-Hummer, un 4x4 squadrato mosso dal potente V12 da 332 CV della Countach e capace di caricare fino a 11 persone. Il peso è colossale (2.600 kg) mentre la linea granitica aveva conquistato l’esercito dell’Arabia Saudita: voleva commissionarne ben mille ma poi si risolse in un niente di fatto. Alla fine infatti l’LMA002 è rimasta un concept ed è stata soppiantata dalla LM002 uscita nel 1986.
Il brand d’abbigliamento United Nude ha preso alla lettera il concetto di cuneo di Gandini ma grazie alla progettazione digitale l’ha portato agli estremi. Lo Res Car è un concept che nasce dalla Lamborghini Countach per ridurla alla sua essenza. È praticamente un poligono biposto che sembra uscito dai vecchi videogame (un paragone confermato dal nome che richiama la bassa risoluzione), con la carrozzeria che si apre a scrigno per far accomodare due persone. Un esercizio di stile che dimostrava come il brutalismo a quattro ruote aveva ancora tanto da dire. Poi però è arrivata Tesla.
Poche vetture hanno diviso gli animi come la Tesla Cybertruck. Quella linea vecchia eppure nuova ha dato vita meme che la riconducevano alla squadratissima Tomb Raider del ‘96 e a Minecraft, alla Panda e alla piramidale Karin. Il marchio americano però ha avuto il coraggio di riportare in auge il brutalismo automobilistico, con una carrozzeria in acciaio inossidabile laminato a freddo che ha un sapore di futuro. Cento per cento elettrico, è pensato per essere un pick-up con prestazioni da supersportiva e dovrebbe arrivare nel corso dell’anno anche se i dubbi sono ancora parecchi.