Fino all'esordio nel 1994 della PlayStation, prodotto Sony di punta di cui quest’anno si festeggia il trentennale, tutte le console casalinghe targate Nintendo (e non) antecedenti a essa incentravano le loro pubblicità televisive sulla vendita del prodotto in quanto tale, mostrato tra le mani di videogiocatori entusiasti. Gli spot, infatti, celebravano i protagonisti dei vari videogiochi “ibridati” con il mondo reale, mettendo però sempre al centro il prodotto - videogioco o console che fosse - più sotto il profilo dello status che rappresentava per i giocatori, piuttosto che delle sue reali caratteristiche tecniche.
Nel mostrare il gameplay, infatti, le sequenze erano spesso poco più che accennate. Da un lato, questo avveniva per lasciare un alone di mistero legato all’acquisto, dall’altro perché, a causa dei limiti tecnici, spesso le sequenze visivamente avvincenti si potevano contare sulle dita delle mani, con la fantasia del giocatore che spesso doveva fare il grosso del lavoro. In un panorama del genere, che si ancorava saldamente a radici sviluppate negli anni Settanta e Ottanta, nel mondo del gaming casalingo l’arrivo della PlayStation nel corso degli anni Novanta costituì effettivamente uno spartiacque comunicativo notevole.
Le bizzarre, sexy e controverse pubblicità dei videogiochi degli anni ‘90
Hai presente la pubblicità di Gameboy in cui due ragazzi fanno sesso in una macchina? Un tempo sarebbe stato impossibile. Ma poi è arrivata la PlayStation.
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- Mirko Tommasino
- 03 dicembre 2024
La casa di produzione giapponese, facendo tesoro dell’esperienza dei due decenni precedenti, ha spalancato le porte al futuro dell’advertising televisivo. Dai ragazzini che condividevano i giochi, e dalle situazioni di relativa quotidianità (almeno per le famiglie americane), come potevano essere gli spot del Game Boy votati a venderne prevalentemente l’estrema portabilità - glissando abilmente su quante batterie fosse in grado di risucchiare in poco tempo - si passava letteralmente a un’altra dimensione di complessità, il 3D.
Fino a quel momento, Nintendo poteva vantare pubblicità fresche e con protagonisti alla moda - qualcuno ne ricorderà le versioni apparse anche su Topolino qui in Italia che hanno coinvolto, tra gli altri, un Jovanotti sulla cresta dell’onda - come fare a superare quel linguaggio? Come reinterpretare con i canoni contemporanei del periodo qualcosa di funzionale e consolidato? Per capire come il paradigma sia repentinamente mutato, c’è da riflettere su una sostanziale differenza. Qual è l’aspetto che ha reso la PS1 diversa da tutte le altre console casalinghe uscite fino al suo esordio? Proprio la potenza di calcolo e la conseguente alta qualità tecnica del catalogo proposto.
Improvvisamente tutti i giochi erano diventati più belli, profondi e spettacolari. La vista dall’alto e quella isometrica, a partire da metà anni Novanta iniziano a lasciare il posto a i primi esperimenti di grafica in tre dimensioni che, nonostante il quantitativo limitato di poligoni, esprimeva per la prima volta qualcosa di profondamente diverso rispetto al passato. Quindi, le pubblicità potevano finalmente sbizzarrirsi, mostrando ciò che tutti - a partire dai consumatori - volevano realmente osservare, il prodotto.
Gli spot celebravano i protagonisti dei vari videogiochi ‘ibridati’ con il mondo reale, mettendo però sempre al centro il prodotto sotto il profilo dello status che rappresentava per i giocatori.
Questo approccio costituisce la diretta evoluzione di quello che era il packaging dei videogiochi nel corso del decennio precedente, da metà anni Ottanta fino a metà Novanta: grossi pacchi in carta e plastica che mostravano qualcosa del gioco fin dalla confezione, con screenshot e ritagli più o meno efficaci a costellare descrizioni accattivanti del contenuto proposto. Ma i decenni passano, i media si sovrappongono e il linguaggio della comunicazione cambia. Nell’entrare in un mercato saturo in termini comunicativi, per Sony calcare lo stesso linguaggio utilizzato da altri avrebbe comunque funzionato, ma allo stesso tempo avrebbe probabilmente generato molta confusione negli acquirenti.
Courtesy Nintendo
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Tra i grandi meriti del colosso nipponico c’è l’aver capito, di colpo, che era diventato inutile - anzi, limitante - ridurre all’osso le immagini in-game da mostrare, perché esse iniziavano a rappresentare proprio quel punto di forza e innovazione tanto cercato dalle nuove generazioni di giocatori. Tutto il mondo è rimasto affascinato dalla pubblicità di Final Fantasy VII, che riprendeva l’introduzione del gioco con quella grafica 3d che profumava di nuovo. Per fare un parallelismo cinematografico, parliamo di una reazione immediata, o quantomeno di sviluppo contemporaneo, al trend d’animazione iniziato poco tempo prima da Dreamworks, che a partire da Z la formica aveva aperto il Vaso di Pandora della terza dimensione “reale”, non più simulata dal falso 3d proposto sul finire degli anni Ottanta.
Allo stesso tempo, però, per restare fedele al proprio retaggio, l’innovazione è passata anche attraverso la formula tradizionale: mostrare al pubblico quanto ci si possa divertire con i videogiochi. Sotto questo aspetto, non si possono non citare i tanto altrettanto “catchy” spot di prodotti come Crash Bandicoot (l’intera serie, con ogni pubblicità più folle della precedente) e Twisted Metal, tutti basati su frenesia e divertimento, innanzitutto. Difatti, proprio questo aspetto più spensierato, scanzonato e surreale ha costituito, a partire dal 1996, la fortuna del Nintendo 64 - dove non era raro vedere i Pokemon, Link e Mario all’interno dello stesso spot. Improvvisamente, l’innovazione indiscussa di Nintendo si trovava a inseguire (a modo suo) un trend lanciato da altri. La competizione, ha acceso la fiamma della sperimentazione.
In termini di estetica, si può quindi affermare senza troppe remore che i prodotti rilasciati nel decennio a cavallo dell’anno Duemila si possono dividere in due tranche distinte e separate. In una prima ondata, l’onda lunga di inizio anni Novanta ha portato all’esplosione di molte pubblicità che sembravano girate per essere diffuse su MTV, con l’estetica in 4:3, iper satura e con un grandangolo importante, come buona parte dei video musicali americani del periodo di band come Offspring, Green Day e Blink 182, giusto per fare degli esempi. Ciò che segna un punto di rottura iniziale, che poi sarebbe sfociato nella cupa seconda metà degli anni Zero e dei primi Dieci, è l’avvento di Matrix, con la sua estetica poco satura e meno ornata.
Al di là del facile effetto nostalgia che potrebbe suscitare in chi, quando questi spot venivano diffusi in tutto il mondo, arrivava a malapena all’adolescenza, è innegabile l’efficacia di quelle esplosioni di colori, suoni ed energia. Insomma, prima che il mondo iniziasse a diventare un po’ più cupo verso metà anni Zero, quando le guerre e la paura hanno portato via parte dell’innocenza di milioni e milioni di ragazzini occidentali, l’estro e la fantasia in termini di advertising sembravano riuscirsi a superare di volta in volta, prodotto dopo prodotto, in un’esperienza promozionale che rappresenta tutt’oggi un unicum nella storia dell'advertising.
Immagine di apertura: una pubblicità Gameboy degli anni '90. Courtesy Nintendo