Nel suo ultimo Life at Home Report, che si concentra su un campione di dati raccolto in dieci anni, Ikea, partendo da un sondaggio di 37.428 persone in 38 Paesi, ha riflettuto in particolare sulla relazione tra passato, presente e futuro dell’abitare, volendo celebrare il tempo e lo spazio domestico, passando dai dettagli più pratici al paesaggio emotivo in cui viviamo. Ikea si chiede quale sia il destino della casa in un mondo in così rapida e imprevedibile evoluzione. “La realtà più difficile da affrontare è che la strada che abbiamo davanti a noi è sicuramente accidentata,” recita il rapporto. “Sappiamo che la crisi climatica continuerà a crescere in scala e intensità, e influenzerà tutti gli aspetti della nostra vita, compreso dove e come viviamo a casa”.
Con l’aiuto dell’AI, Ikea ci dice come potrebbe essere abitare nel 2030
Attraverso tre scenari sviluppati dall’intelligenza artificiale, nel suo nuovo Life at Home Report di Ikea presenta interessanti riflessioni sulla casa che ci accoglierà nel futuro.
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- Lucia Brandoli
- 01 febbraio 2024
Quello che interessa al brand svedese in risposta allo stato attuale di permacrisis, oltre a identificare le principali attività che le persone svolgono nel luogo in cui vivono, è capire come ci si sentono. Già al Fuorisalone del 2022 avevano preso vita tre case, per offrire una fotografia della società di oggi: una giovane coppia; una mamma straniera con un bambino nato a Milano; un giovane startupper che desiderava afferrare il maggior numero di occasioni offerte da una città dinamica come Milano. Nell’ultima parte del report attuale, quella volta al futuro, “2030 e oltre”, Ikea immagina tre diversi scenari abitati da altrettanti personaggi, ma si è spinta oltre, rivolgendo lo sguardo al futuro dei prossimi dieci anni e sviluppando queste storie attraverso le capacità di proiezione dell’Intelligenza Artificiale. Ognuna delle tre storie è scaturita da una domanda.
La prima: “E se non ci fosse una sola casa, ma molteplici case per aiutare le persone a sviluppare resilienza e prendersi cura di sé?”. Da qui parte la storia di Jin, che vive in una capsula di lusso nel centro di Seoul, una sistemazione temporanea dopo che i rapporti sul clima hanno proposto un’evacuazione da dove viveva. Vuole organizzare una festa di laurea nella sala riunioni dell’edificio – con ospiti presenti fisicamente e da remoto – e fare un viaggio con l’aiuto di un consulente AI personalizzato, che può verificare i requisiti per i visti e altri spostamenti attraverso i confini, affrontando anche eventi climatici estremi. Jin usa un auricolare che “può accedere a ambienti virtuali che facilitano emotivamente la condizione del viaggio”. Tra qualche mese, dovrebbe iniziare un nuovo lavoro nel settore dell’experience design e il programma di coabitazione della sua azienda gli permetterà di soggiornare in capsule di tutto il mondo.
La seconda storia riflette su come le case possano favorire il nostro senso di identità e coesione senza separare le diverse comunità. Questo scenario vede come protagonista Angela, che vive in un cluster abitativo per sole donne in Massachusetts, USA. Il gruppo punta alla totale autosufficienza e ha progettato uno spazio di lavoro centrale, chiamato “She Shed”, in cui ci si può dedicare alla riparazione di qualsiasi oggetto. Nel She Shed si impara e si insegna, in uno scambio continuo di saperi ed esperienza. Angela, che ha frequentato una scuola tecnica insegnerà alle altre a saldare, mentre Patricia sta imparando come somministrare trattamenti medici di emergenza, in modo da rafforzare il gruppo e far fronte in maniera più efficace al cambiamento climatico. Angela e Patricia fanno scelte ecologiche anche per quanto riguarda il design d’interni, hanno quindi optato per soluzioni sostenibili nelle loro case, come parati bio-solare che utilizza alghe per generare elettricità dalla luce solare, ispirata a motivi degli anni Zero.
Il terzo e ultimo scenario, invece, parte da questa domanda: “In che modo la nostra relazione con la tecnologia e la natura ci consentirà di sviluppare una mentalità più rigenerativa?”. Jamie è un maestro delle elementari queer, che vive con i suoi due partner e due figli di 2 e 5 anni in una cittadina a nord di Uppsala, in Svezia. Per alleggerire il lavoro di gestione domestica, le superfici della cucina e tutti i pavimenti sono autopulenti. Inoltre la pianificazione dei pasti e della spesa è affidata a un cloud. Ogni giorno Jamie scarica un rapporto da Gaia, il sistema di IA interna alla casa che monitora l’uso di energia e il benessere generale. Analizzando i dati delle previsioni climatiche e sanitarie, fornisce vari consigli: tra cui accendere le turbine della casa per sfruttare l’energia eolica, o riprodurre brani musicali per gestire al meglio eventuali picchi d’ansia. La famiglia stampa in 3D i propri mobili utilizzando come materiale un composto di funghi e quando non ci si riesce a spostare trascorre del tempo con amici e parenti durante i pranzi virtuali della domenica e incontri online per i bambini. Ma a Jamie piace anche allontanarsi dalla tecnologia, lavorando il terreno adiacente alla casa, riconnettendosi alla terra.
Le case immaginate per questi tre scenari sostengono i loro abitanti da un punto di vista sia pragmatico che emotivo, migliorando la qualità delle loro vite attraverso una tecnologia discreta ed estremamente utile, finalizzata a soddisfarne i bisogni, e se da un lato generano una sensazione straniamento, dall’altro appaiono anche rassicuranti. Perché in fondo immaginare, e trovare così risposte alle domande urgenti del futuro, è proprio quello che dovrebbe fare il design.
L’immagine in copertina è stata generata dall’IA, courtesy Ikea.