Attenzione: questo articolo rivela molti colpi di scena rilevanti del film. Si consiglia di leggerlo dopo aver visto il film.
Saltburn è un film-architettura sorretto su tre pilastri
Amour fou, revenge movie e mélo sociale: il recente film, già un cult, è una esplorazione sia spaziale sia narrativa ambientata in un castello-labirinto dove è facile perdersi. Soprattutto per lo spettatore.
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- Silvana Annicchiarico
- 09 gennaio 2024
I film, a guardarli bene, possono essere letti anche come architetture. Saltburn – opera seconda dell’autrice british Emerald Fennel, già Oscar per la sceneggiatura di Una donna promettente – ne è un esempio emblematico e paradigmatico. Tre lunghi piani sequenza, collocati rispettivamente all’inizio, al centro e alla fine del film, sono le architravi portanti dell’edificio narrativo. Nel primo piano sequenza, il giovane Oliver Quick – studente middle class, vincitore di una borsa di studio – è ripreso di spalle e senza stacchi mentre camminando spedito fa il suo ingresso nell’Università di Oxford, regno secolare dei figli di papà aristocratici e altoborghesi. In questo feudo upper class Oliver è guardato con diffidenza ed è trattato come un estraneo, un paria, un intruso. Ma lui è attratto da quel mondo, e in particolare da Felix Catton, il più bello, ricco, affascinante e anche un po’ maudit fra i suoi compagni. E non si capisce – volutamente – se la sua è più un’attrazione erotica o un desiderio di riscatto sociale.
Nel secondo piano sequenza il fascinoso Felix è inquadrato sempre di spalle e senza stacchi mentre guida il giovane Oliver nella sontuosa tenuta di famiglia – Saltburn, appunto – dove l’ha invitato a passare l’estate. Il terzo piano sequenza mostra infine Oliver nudo e inizialmente di spalle che riattraversa danzando e volteggiando le stanze, i saloni e gli androni di Saltburn di cui ha preso possesso con una perfida e subdola ma a suo modo geniale e imprevedibile strategia. Attorno a queste tre architravi portanti, riconducibili al medesimo “tipo” architettonico-narrativo (l’esplorazione spaziale in continuità dinamica, quasi riecheggiando un celebre testo di Arnheim), la regista Emerald Fennell orchestra una storia abilmente oscillante tra amour fou, revenge movie e mélo sociale.
Ma noi non sappiamo che Oliver è un mentitore, un narratore ingannevole. È come un architetto che dissemina il suo progetto di prospettive illusorie o di effetti trompe l’oeil.
È Oliver che racconta, è suo il punto di vista. All’inizio lo vediamo in primo piano che dice “Era impossibile non voler bene a Felix” mentre contemporaneamente anticipa con un montaggio serrato e attento ai dettagli (di corpi, oggetti e gesti) alcune delle situazioni che seguiranno. È come se gettasse delle esche per catturare (o sviare?) l’attenzione dello spettatore. Tutto quel che segue è un lungo flashback che si articola – appunto – attorno ai tre pilastri portanti di cui si è detto, alle tre esplorazioni spaziali che sorreggono la storia. Ma noi non sappiamo – all’inizio – che Oliver è un mentitore, un narratore ingannevole. È come un architetto che dissemina il suo progetto di prospettive illusorie o di effetti trompe l’oeil. Oliver, ad esempio, non dice tutto. Omette dettagli importanti (cosa è successo per davvero alla ruota della bici di Felix?), sorvola su alcuni passaggi, gioca di ellissi o di allusioni, per rivelare solo in un secondo momento tutta la verità (quella, ad esempio, sulla sua famiglia e su suo padre).
Dal punto di vista architettonico: il suo è un edifico narrativo in cui non tutte le stanze sono accessibili, e con una segnaletica o una pianta ingannevole. Una di quegli edifici per cui credevi di trovarti in un luogo e invece ti riscopri in un altro. Come un’architettura che rivela la sua vera natura solo a un secondo o a un terzo sguardo, anche Saltburn – il film – assomiglia all’edificio-castello da cui prende il nome (la tenuta della famiglia Catton, dove hanno albergato nei secoli financo Riccardo III o Enrico VIII): un luogo labirintico in cui è facile smarrirsi, un luogo-teatro di una secolare recita sociale (non a caso il teatrino con i 4 pupazzetti è la metafora centrale e ricorrente), un luogo dove si vive indossando abiti di scena (il dress code per i vari momenti della giornata), un luogo in cui le tende funzionano come sipario e dove fra una camera e l’altra il bagno – non a caso – è in comune. Soprattutto un luogo in cui solo chi ha il privilegio di poter osservare dall’alto il plastico del labirinto prospiciente il castello (un po’ come in Shining di Kubrick) può illudersi di possedere lo spazio e di dominarlo. Ma è solo un’illusione: perché a Saltburn tutti si perdono e solo l’estraneo, l’intruso, il parvenu venuto da fuori riesce davvero a dominare concettualmente il luogo (perché lo desidera) e a soggiogare coloro che lo abitano (perché li odia e li ama al tempo stesso).
Oliver Quick è della stessa specie della famiglia di poveracci di Parasite, ma è parente stretto anche di Barry Lyndon di Kubrick, o di Mr. Ripley della Highsmith: un arrampicatore sociale che tesse la sua ragnatela con feroce cinismo ma che, a differenza di questi suoi antenati narrativi, è mosso anche da un amore ossessivo e da un desiderio totalizzante e distruttivo nei confronti di almeno una (solo una?) delle sue vittime.
Ed è proprio su questa irruenza di Eros che si innestano le presunte scene-scandalo che su Tik Tok molti hanno ritenuto “disturbanti”. Sono tre scene che hanno a che fare rispettivamente con una vasca da bagno in cui uno dei personaggi si è masturbato, con il sangue mestruale della sorella del protagonista e con la terra umida che ricopre una tomba che diventa a sua volta oggetto-luogo di desiderio. Ma “disturbante” al cinema significa ben altro: e basta pensare a Pasolini (il cui Teorema è forse il modello più riconoscibile di Saltburn) per ricordare cosa significa generare immagini davvero capaci di incrinare le certezze e le sicurezze dello spettatore.
Qui siamo semmai di fronte a una strategia che mira a épater le bourgeois e a confonderlo, prima facendogli credere di trovarsi nel mezzo di un melodramma fluido per poi svelargli che in realtà sta assistendo a un revenge movie salvo alla fine rivelare una forma contemporanea di lotta di classe che si esprime attraverso un impasto di amore e odio nei confronti del proprio antagonista. Chi è davvero Felix per Oliver? L’oggetto di un desiderio sessuale? O il modello sociale che ambisce a distruggere per prendere il suo posto? O ambedue le cose contemporaneamente? È in questa ambiguità, credo, l’elemento più affascinante (e, forse, anche più disturbante del film): come quelle architetture che più le penetri più ti si rivelano diverse da quello che avevi pensato che fossero.
Saltburn è disponibile in streaming su Prime Video.
Immagine di apertura: Courtesy of MGM and Amazon Studios