Fine anno, tempo di bilanci. E un’ottima occasione per lasciarsi sorprendere da quello che è successo nei dodici mesi precedenti. Tra grandi conferme e risultati inaspettati, è quello che succede a riguardare l’elenco degli articoli pubblicati sul sito di Domus che a voi lettori (o come piace dire in contesto digital, “utenti”) – sono piaciuti di più qui (sempre di più gli accessi direttamente alle homepage) o sulle nostre piattaforme digital sempre in espansione, sui nostri social o in una delle nostre newsletter a cui potete iscrivervi qui. Questa raccolta di articoli è dominata dalle “raccolte”, ovvero da articoli che mettono insieme più esempi di una stessa tipologia. E ne abbiamo per tutti i gusti, dalle infrastrutture (stazioni ferroviarie) al densissimo pezzo d’archivio sulle 50 case più importanti mai pubblicate su Domus nei suoi quasi 100 anni di storia, passando per la moda (sneaker), l’abbandono, quasi in uno slancio nostalgico verso gli anni ’90, e il weird (grattacieli più bizzarri), categoria che spadroneggia in ogni ambito dello scibile e dell’intrattenimento. C’è ovviamente il brutalismo, passato da fenomeno di nicchia a tendenza onnipresente e che fa sfracelli sui social. Ma c’è anche spazio per i film, che su Domus vanno sempre fortissimo, a causa dell’affinità elettiva tra cinema, design e architettura, per il gossip, che va forte ovunque, e la nostra serie “a casa di”, qui con lo scrittore italiano Nicola Lagioia, il più letto di quest’anno. Infine, un ponte sul futuro: abbiamo deciso di aggiungere tre contenuti nati per i social e non per il sito, ovvero tre reel che abbiamo pubblicato sul nostro Tiktok e su Instagram, proiettandoci già verso un anno in cui la nostra presenza digitale sarà ancora più pervasiva e sempre meno agganciata all’idea di essere una mera “conversione digitale” di una rivista cartacea in digitale. Perché dicevano che il futuro sarebbe stato qui, ma quel futuro è già il presente.
Gli articoli di Domus che vi sono piaciuti di più quest’anno
Dal brutalismo in Italia alla nuova villa di Brad Pitt, dalle oramai immancabili sneaker alla casa di Nicola Lagioia, ecco gli articoli più gettonati e con loro i video che avete preferito sui social.
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- La redazione di Domus
- 19 dicembre 2023
“Tutto è Architettura”, scriveva Hans Hollein nel 1968, nel pieno fermento dei movimenti progettuali, radicali e internazionali. In passato l’architettura era un’arte riservata agli edifici pubblici, ai monumenti e ai palazzi aristocratici, quindi la semplice casa di abitazione non era quasi mai coinvolta nei progetti che hanno fatto la storia dell’architettura, nonostante ben si sappia che esiste, soprattutto per questo archetipo, anche una “architettura senza architetti”, come hanno insegnato Giuseppe Pagano e Bernard Rudofsky. Continua a leggere
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Se talvolta palle da demolitore e mine esplosive sono accolte con sollievo da parte di chi coglie in una specifica opera costruita uno sfregio al decoro urbano o alla dignità umana (basti pensare alle vituperate Vele di Scampia), capita anche che la distruzione di un’architettura avvenga con profondo rammarico al di là del giudizio estetico kantiano del “bello” o di altri parametri valutativi soggettivistici. Continua leggere
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Henry Moore, Large Spindle Piece, 1968
Alexander Calder, Flexibility of Balance, 1974
Arnaldo Pomodoro, Rotating First Section n.3, 1975
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Se nei secoli l’arte pubblica si è prevalentemente identificata con il “monumento” inteso come strumento agiografico, a partire dal XX secolo ha cominciato ad abbandonare le velleità celebrative per perseguire obiettivi più generalmente comunicativi e correlati al contesto di riferimento. Insediandosi nel tessuto urbano, le opere d’arte pubblica site specific – progettate in relazione ad una precisa realtà ambientale e socio-culturale – hanno determinato un risultato bivalente: da un lato, hanno consentito alla cultura di scivolare via dalle teche dei musei e penetrare, a beneficio di pubblico più ampio (anche se a volte inconsapevole o sospettoso), nelle piazze e nelle strade; dall’altro, sono state in grado di impattare considerevolmente sul processo di costruzione o rafforzamento dell’identità di un luogo e della sua riconoscibilità, tanto da diventare “simboli” di quella città. Continua a leggere
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Domus 521, aprile 1973
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Come Domus ha già avuto modo di raccontare, il Brutalismo si è sviluppato a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, un tempo in cui il pensiero architettonico riformulava il lessico del costruire per fare fronte alle esigenze della società ferita dalla guerra e pronta a ripartire. Il risultato è un’architettura che cerca di liberarsi dalle rigidità del Movimento Moderno, scarnificata e disinvoltamente anti-edonistica, che privilegia l’etica all’estetica e si caratterizza per il funzionalismo schietto, l’impostazione gerarchica della struttura e la plasticità dei volumi. Continua a leggere
Archivio Luigi Cosenza, Archivio di Stato di Napoli, Pizzofalcone
Foto di Davide Galli Atelier
Foto di Roberto Conte
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Domus 1026, luglio 2018
Foto di Gerardo Semprebon
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Courtesy Archivio Magistretti – Fondazione Vico Magistretti
Nell’editoriale di Domus 1066, Jean Nouvel scriveva che le architetture, come gli esseri viventi, sono troppo spesso irresponsabilmente abbandonate, dimenticate o sfruttate. Perché un’architettura duri negli anni, bisogna poterla conservare viva, per permetterle di adattarsi alle situazioni del momento. Orfane di gestioni lungimiranti, talvolta distratte o dormienti, queste architetture hanno dato volti civici a istituzioni e poteri, ospitato eventi simbolici e accolto le popolazioni locali, segnando epoche e immaginari collettivi. Continua a leggere
Tutti sappiamo che l’obiettivo principale di Ikea è quello di realizzare arredi accessibili a tutti. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le collezioni d’autore che permettono a un ampio pubblico di possedere pezzi firmati, ad esempio, da Virgil Abloh o da Sabine Marcelis: è la democratizzazione de lusso, di cui abbiamo parlato in un recente articolo, indagando il difficile connubio tra produzione di massa e art-design (o design da collezione). Continua a leggere
Foto Roderich Kahn da Commons.Wikimedia
Foto Francesca Iovene
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Da Foster a Nouvel, da Calatrava ad Hadid, una rassegna di progetti eccellenti che fanno da casa ad alcuni dei vini più celebri del pianeta. Continua a leggere
La casa minima non è un tema dell’architettura di tutti i tempi. Nel mondo occidentale la cultura del progetto associa una taglia specifica, minima appunto, a una funzione, l’abitazione, solo da un secolo o poco più. La casa minima è innanzitutto la prima casa per tutti. Dalla fine degli anni ‘10 del secolo scorso i maestri del Movimento Moderno, variamente socialisti e progressisti, progettano da un lato grandi ville-manifesto per una committenza benestante e colta, dall’altro alloggi ridottissimi ma finalmente “dignitosi” da riprodurre in centinaia, migliaia, milioni di esemplari. L’existenzminimum modernista, nelle sue tante varianti, è piccolo e senza fronzoli perché solo a queste condizioni può essere industrializzato e costruito in quantità realmente democratiche. Continua a leggere
“Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando” diceva Joseph Conrad, l’autore di Cuore di Tenebra. Non è certo il caso di Nicola Lagioia – o meglio – a sua moglie, la scrittrice Chiara Tagliaferri, non deve dare nessuna spiegazione perché oltre alla vita, in questa casa romana, condividono la stessa professione. Tra tutti i lavori, o vocazioni, l’essere scrittore è sicuramente una condizione dove la distinzione tra lavoro e vita privata è fisiologicamente impossibile. Continua a leggere
Rimasto senza un punto d’appoggio a Los Angeles, Brad Pitt – da sempre grande appassionato d’architettura – ha acquistato una delle ville che hanno fatto la storia della città: la Steel House, un padiglione in vetro e acciaio costruito nel 1960 tra le colline di Los Feliz e progettato dal poco noto Neil M. Johnson. Continua a leggere
In Costa Azzurra, sulle colline di Saint-Jean-Cap-Ferrat, è stata messa in vendita la Villa Grand Cap, progettata dall’architetto e designer francese Jean Nouvel, per 46 milioni di euro. La casa, di 545 metri quadri, si sviluppa su cinque livelli, ed è caratterizzata da una struttura in acciaio che sorregge un grande tetto vetrato, capace dar vita a uno straordinario dialogo con la natura circostante e di inondare ogni ambiente di luce. Continua a leggere
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“Fondere tutte le campane per farne altrettante rotaie di nuovi treni ultra-veloci”: se fosse ancora tra noi, a Filippo Tommaso Marinetti brillerebbero gli occhi nel vedere i treni e le stazioni dell’Alta Velocità, manifesto dello spettacolare progresso della tecnologia meccanica e infrastrutturale da lui tanto auspicato. Continua a leggere
Già negli anni ’60 Gio Ponti spiegava in una celebre intervista televisiva che uno skyline riuscito non comprende grattacieli isolati, ma gruppi di edifici alti che si osservano a distanza al di sopra del tessuto urbano. Se all’epoca erano in costruzione a Milano le poche torri del Centro Direzionale previsto dal Piano Regolatore del 1953, solo tra gli anni 2000 e 2010 si realizzano nel capoluogo lombardo un paio dei “grappoli” immaginati da Ponti, corrispondenti ad altrettante operazioni urbanistiche di grande scala: Porta Nuova e CityLife. Continua a leggere
Sono bastati meno di tre anni, dal 1977 al 1980, per capovolgere non solo l'immaginario mondiale del clubbing ma per liberare un’intera rivoluzione, estetica e sociale. Sono i disco years, i tre anni di riferimento sono quelli dello Studio 54 di New York (ma non sarà solo, tra Paradise Garage e altri club icona). Finiti questi anni lo Studio chiude, i fondatori Steve Rubell e Ian Schrager attraversano un discreto mare di guai con la legge, e per la metà degli anni ‘80 sono pronti a scrivere un altro capitolo di storia della cultura: ma è cambiato tutto, è cambiata New York, è cambiat la società coi suoi desideri. Continua a leggere
Lamda Development ha presentato il progetto dell’Athens Riviera Tower, il primo grattacielo che verrà costruito in Grecia, progettato da Foster + Partners a Hellinikon, il più grande progetto di rigenerazione urbana europeo, sul sito dell’ex aeroporto a sud di Atene, con un parco da 400 ettari, residenze di lusso, hotel, un casinò, un porto turistico, spazi commerciali e per uffici. Continua a leggere
Le grandi installazioni alla Milano Design Week sono quei progetti che il pubblico, soprattutto quello dei non addetti ai lavori, ama, perché lo riavvicina al mondo del design. Colmano in qualche modo il vuoto tra le antiche aspirazioni democratiche del design e il fatto che alla fine oggi è diventato una nicchia. Il paradosso è che le grandi installazioni sono quelle che designer e professionisti di settore spesso odiano, perché distolgono l’attenzione dal loro lavoro con operazioni di una scala accessibile solo a pochi. Continua a leggere
Riprende i contenuti del film diretto da Bon Joon-ho, regista del pluripremiato Parasite che[1] , a sua volta ha rielaborato la graphic novel Le Transperceneige di Jacques Lob e Jean-Michel Charlier. Ambientata in un futuro distopico in cui il mondo è inabitabile a causa di una nuova era glaciale, la serie vede gli ultimi sopravvissuti dell’umanità costretti dentro un treno ad alta tecnologia, lo Snowpiercer. Nel treno vige il più feroce classismo. È un regno del terrore. Una continua tensione tra i giusti e coraggiosi che vogliono sovvertire la dittatura instaurata dal perfido signore e inventore del treno, il Signor Wilford.
Il quartiere newyorkese del Deuce è il set di una straordinaria successione di affreschi metropolitani tra droga e prostituzione. Scritta da quel genio di David Simon vede come protagonisti James Franco e Maggie Gyllenhaal con alcune chicche del rapper Method Man. La nascente industria del porno diventa per gli sbandati del quartiere una possibilità per sbarcare il lunario, economicamente e artisticamente ma lo spettro dell’Aids inizia a impossessarsi della vita notturna newyorkese. Il numero dei contagiati dall’HIV è in continuo aumento e la diffusione della cocaina genera frequenti ondate di violenza. Un alternarsi senza fine di emozioni tra outfit e location super cool con rimbalzi incredibili sull’oggi pandemico.
Top boy è la messa in scena cupa e necessaria di un dramma potente su ”come le persone si comportano quando falliscono le istituzioni”, così descrive la serie l’Independent. Protagonista assoluta di questa serie è la criminalità londinese, figlia del disagio delle periferie e dell’esclusione sociale. A sceneggiarla è Ronan Bennett, ex militante dell’IRA e oggi autore di successo. Grazie a un superfan, il rapper Drake, Netflix ha riportato in vita questo dramma dei gruppi di spacciatori londinesi sotto la forma di un’accusa bruciante dei nostri tempi. Molte delle scene viste in Top Boy sono ispirate a fatti di cronaca che hanno la strada e i cortili di Summerhouse – un condominio-ghetto londinese – come scenari privilegiati e una colonna sonora a tutta trap. In maniera originale Top Boy si inserisce nel solco tracciato da altre serie tv di cui Gomorra è forse la più nota.
Un corpo violato quello di Michaela Coel, straordinaria autrice e interprete di una delle serie più toste degli ultimi anni. Tutto comincia a Ostia. Luogo scelto per le sue derive pasoliniane ma anche più di recente set privilegiato del film cult di Claudio Caligari, Non essere cattivo. Èqui che si avvia il racconto della protagonista Arabella Essiedu/Coel, scrittrice londinese di origini ghanesi che nel pieno di una crisi creativa va in vacanza sul litorale romano in cerca d’ispirazione. Al ritorno a Londra, durante i festeggiamenti per la consegna di un nuovo lavoro qualcosa va storto. Arabella si ritrova con ricordi dai contorni annebbiati, comincia così una drammatica e avvincente ricostruzione di una violenza traumatica. Michaela Coel vive questo processo come una catarsi personale e soprattutto come denuncia del pinkwashing.
Luca Guadagnino disegna un mondo sospeso, uno spaccato generazionale che si concentra nella base militare americana di Chioggia. La nomina del nuovo comandante sconvolge gli equilibri patriarcali che sostengono ogni dimensione militare. Il comandante Sarah Wilson/Chloë Sevigny è una donna con una moglie, Maggie/Alice Braga e con un figlio, Fraser/Jack Dylan Grazer. Proprio Fraser con le sue inquietudini adolescenziali diviene colui che ci guida in un’America in miniatura con tutte le sue sfumature e i suoi paradossi. Il dramma è il conflitto che ruota attorno allo scontro tra la superficiale calma dell’omologazione della vita militare e il vibrante senso di diversità che ribolle nelle singole soggettività. In questo girovagare, esplorare, con le cuffie fisse sulle orecchie e la musica (straordinaria) a tutto volume, Fraser incontra una ragazza della sua stessa età, Caitlin/Jordan Kristine Seamón. Una creatura senza genere definito, fluida alla ricerca della propria identità, così come Fraser. Questa ricerca di sé stessi si fa poesia e dramma, ma così è la vita.
Ethos indaga il concetto freudiano di perturbante, di unheimlich. La casa dove non ci si sente a casa propria. Istanbul, metropoli dalle mille contraddizioni è lo sfondo di una storia dove i ponti non leniscono le diseguaglianze fra la sponda europea e quella asiatica semi-rurale. L’unheimlich investe le donne velate anatoliche, le famiglie curde espiantate e la borghesia occidentalizzata. La protagonista è Meryem, una domestica religiosa, velata, afflitta da svenimenti di origine psicosomatica che avvia un tormentato rapporto terapeutico con un’analista laica, Peri. Nasce così una sequenza di vicende relazionali che rivelano complessità umane da una parte e dall’altra del Bosforo al di là delle differenze degli stili di vita.
Creata dall’artista e attivista Katori Hall, P-Valley è ambientata nel paese immaginario Chucalissa, situato nel delta del Mississippi, zona depressa e soggetta a continue esondazioni. Lo strip club The Pynk è l’epicentro di una drammatica operazione di speculazione edilizia. La gentrification arriva anche nei paesi immaginari. La vita delle spogliarelliste e dell* straordinari* protagonista Uncle Clifford/Nicco Annan viene sconvolta. Ecco che il club si trasforma in uno spazio politico dove al centro vi è il corpo delle donne e dello zio Clifford. Corpi liberati, glitterati, parruccati che a ritmo di un rap profondo e contaminato dal blues vengono inquadrati e raccontati con una prospettiva diversa, dal punto di vista delle donne stesse. Tutto è femminile, la scrittura, la regia, le straordinarie coreografie non si limitano a mostrare i personaggi semplicemente come corpi da volere o su cui lucrare, ma come universi con le loro sfumature e debolezze, con una storia da raccontare.
Una delle serie più acclamate e commentate da critica e pubblico per i contenuti e soprattutto per la presenza della superstar social e teen Zendaya. Si tratta di un affresco generazionale sospeso tra redenzione e caduta, in breve lo svelamento delle fragilità dell’essere giovani. Creata e diretta da Sam Levinson, figlio di Barry, regista tra gli altri di Good Morning, Vietnam e Rain Man, Euphoria sembra un viaggio lisergico tra amicizie ed esperienze che scottano con un’estetica fatta di colori fluo, forti contrasti, notti al neon, al glitter. Tutto è psichedelico, anche la musica sospesa tra accelerazioni tecno e sonorità vaporwave. Le due giovanissime danno vita a un susseguirsi doloroso e intenso di fallimenti e rinascite. Perdere e rifare tutto. Non è forse così che si scopre la propria verità e il mondo?
La serialità televisiva è uno dei fenomeni più interessanti del nostro tempo. Attorno alla fruizione delle serie tv si formano immaginari e visioni del mondo in una dimensione transgenerazionale e ibrida. La ripetizione e la dilatazione dei contenuti sono sicuramente le caratteristiche strategiche che tengono un pubblico sempre più ampio incollato ai vari device (pc, tv, smartphone, tablet). Continua a leggere
Foto Roger Davies
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Sono tante le testimonianze che, dagli anni ’20 fino ad oggi, mostrano come la progettazione architettonica abbia risposto alle stravaganze e agli eccessi di personaggi famosi, talvolta ossessionati dall’idea di una residenza all’altezza del proprio ego. Così sono nati progetti talvolta esuberanti ed insoliti, che hanno fatto da scenario non solo a feste e ricevimenti patinati, ma spesso anche a giochi di potere e vicissitudini politiche. Continua a leggere
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La corsa a chi sale più in alto non è l'unica gara nel mondo dell'architettura. Anzi, la tendenza predominante, negli ultimi anni, sembra sia quella di voler innovare la tipologia del grattacielo: invece che competere per avere il grattacielo più alto del mondo, le grandi metropoli globali vedono crescere enormi oggetti iconici, le cui forme richiamano oggetti di uso quotidiano, le sagome di animali...
Abbiamo iniziato nel 2021 un'esplorazione di questo mondo di forme, e abbiamo deciso di aggiornarla agli ultimi episodi di quest'anno. Continua a leggere
Nate a cavallo tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, le sneaker – anche note come plimsolls, pumps, crepes, kicks e chissà quanti altri termini gergali – sono inizialmente prodotti derivati dall’evoluzione degli studi sulla gomma, non a caso i primi, storici marchi (come Dunlop e Superga) erano tutt’altro che dediti alla moda. La loro funzione sportiva – tanto da meritargli il comune sinonimo di ‘scarpe da tennis’ – ne caratterizza gli esordi, ma è l’adozione a pilastro dello streetwear a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso a rivoluzionarne per sempre il ruolo e la semantica. Continua a leggere