Come noto, la foresta cresce senza fare rumore. Forse però non pensavamo potesse crescere così tanto e così in silenzio: dal 1936 a oggi il patrimonio forestale italiano è pressoché raddoppiato e circa un terzo del territorio della penisola è oggi coperto da boschi. Una buona notizia in epoca di cambiamento climatico e allo stesso tempo un’enorme responsabilità per il sistema paese, perché lo stesso cambiamento climatico non solo mette alla prova, ma rischia di distruggere l’ecosistema boschivo (e chi ci vive accanto: noi) come mai accaduto prima d’ora. È questo lo spunto da cui è partito il giornalista Ferdinando Cotugno, per farci scoprire le foreste sommerse d’Italia, in Italian wood (Mondadori, 2020).
Italia, il paese del bosco invisibile
L’Italia non lo sa, ma i suoi boschi sono raddoppiati dal 1936 a oggi. Ferdinando Cotugno li racconta in Italian wood: e non sono solo buone notizie, come abbiamo visto in California recentemente.
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- Gabriele Ferraresi
- 17 ottobre 2020
Il cambiamento del patrimonio forestale italiano di cui racconti in Italian wood è impressionante: com’è stato possibile?
È stato un cambiamento gigantesco e invisibile: perché è andato al ritmo delle piante. Un ritmo abbastanza lento, che non vedi nell’arco che so, di un governo o di una legislatura: ma la copertura forestale in Italia dal 1936 a oggi è raddoppiata. C’è una carta del Regno d’Italia del 1936 che diceva che avevamo più o meno 6 milioni di ettari di boschi, ora ne abbiamo circa 11.
L’Italia del 1936 era diversa: poca industria, molta agricoltura.
Sì, ancora ottant’anni fa l’Italia era soprattutto un Paese agricolo, ed eravamo in termini di popolazione la metà di oggi, 30 milioni. Soprattutto però eravamo sparsi su tutto il territorio. Tutto il territorio era messo a coltura o usato in qualche modo, perché ogni pezzo di terra faceva la differenza tra passare e non passare l’inverno: quindi tutto serviva. Lentamente, cambiando l’Italia e smettendo di essere una civiltà agricola un’enorme parte del Paese è stata lasciata a se stessa, abbandonata. E il bosco se l’è ripresa senza chiedere permesso a nessuno.
Perché una volta consumavamo più boschi?
Semplicemente serviva la terra: per coltivare, per i pascoli. Se tu guardi le foto delle valli alpine o prealpine degli anni ’50 e ’60 e le confronti con quelle di oggi, il cambiamento lo vedi. Ora sono tutte coperte di boschi: tutto quel che una volta era terra, terrazzamenti, muretti a secco, pascoli, oggi sono diventati boschi.
Con una pandemia in corso l’ambientalismo è un po’ sparito dal mainstream: però prima del Covid 19 ricordo che “piantare alberi” era diventata quasi una moda, anche per le aziende. Ma era - ed è - una moda utile all’ambiente o no?
È una cosa utile, perché comunque il bosco contribuisce moltissimo alla cattura della CO2, ed è una cosa fondamentale, soprattutto negli ambienti urbani. Anche adesso ci sono tantissimi progetti - anche di greenwashing, certo - per cui le aziende piantano in ambienti urbani, però nell’ambiente naturale italiano, per come è fatto, il problema non è piantare più alberi. Perché gli alberi tutt’ora crescono, ogni anno il patrimonio forestale italiano aumenta di 60.000 ettari.
È una meraviglia: senza fare niente.
Senza fare niente. Però il problema del bosco è che va manutenuto, perché in Italia a crescere non sono foreste primarie, ma foreste in ambiente antropizzato. Sono foreste che ricrescono su un ambiente che era antropico, non sono le foreste primarie del Nord America, o la foresta amazzonica. Il rimboschimento spontaneo è una cosa assolutamente positiva, che però va gestita: ma in Italia non è mai stata gestita e così l’Italia è diventata un grande paese forestale a sua insaputa ed è un patrimonio, quello forestale, che va fondamentalmente per conto suo. Innanzitutto però quel patrimonio è una responsabilità: essere un Paese in cui la copertura forestale è il 39% del territorio vuol dire doverla gestire quella copertura forestale. Per tutto quel che riguarda il dissesto idrogeologico o la questione degli incendi, per esempio.
Poi in Italia abbiamo un enorme problema di consumo di suolo: come rientra in quel che racconti?
Una cosa che mi dicevano sulle alluvioni, recenti, che ci sono state in Piemonte, in Liguria, in Val d’Aosta, è che il problema in quelle aree - di alta collina, di montagna - non è tanto il consumo del suolo, quello è un problema a valle. In alta collina e in montagna è il bosco il problema. Lasciati andare i boschi drenano meno bene l’acqua, e quindi l’acqua che in teoria dovrebbero trattenere viene giù. Gonfia gli alberi, gonfia i torrenti. E poi c’è l’alluvione.
L’alluvione e anche il suo opposto: un bosco non gestito è più a rischio incendio?
Il bosco non gestito - ed è quel che abbiamo visto in California - è un bosco altamente infiammabile, perché ci sono tutte le condizioni base per un innesco. Un bosco gestito invece è un bosco dove ci sono per esempio vie forestali: le vie forestali servono perché gli incendi sono difficili da spegnere dall’alto, l’acqua evapora prima di arrivare al fuoco. Ma se non hai vie forestali perché il bosco spontaneo è molto fitto, impenetrabile, diventa un bosco dove non riuscirai mai a spegnere un incendio. Una delle questioni è che un territorio lasciato a se stesso è un territorio pericoloso per le persone, in Italia poi - Paese molto antropizzato - lo è ancora di più.
Prima hai accennato a tutto quello che è successo in California: può succedere anche da noi?
È una cosa che può succedere anche da noi, certo, succede ciclicamente: poi ci sono annate peggiori e annate migliori, ma anche noi abbiamo un catastrofico problema di incendi. E lì rientra da tempo anche il cambiamento climatico.
Oggi in che modo il cambiamento climatico danneggia i nostri boschi?
Sono piccole cose, in apparenza: si è alzata la linea dell’abete per esempio, ha guadagnato duecento metri di altitudine in pochissimi anni. Non va bene. Oppure ci sono i parassiti, il bostrico per esempio, che secca le piante. In Repubblica Ceca è un flagello, così come nel nord est italiano. I boschi sono attaccati da questo parassita ed è come una pandemia, che passa di albero in albero e colpisce particolarmente le piante stressate dal caldo, seccandole.
Ovviamente stressate dal cambiamento climatico.
E questa cosa si collega anche gli incendi: il sottobosco diventa più secco, ed essendo più secco, con temperature più alte, gli incendi sono più facili. Spesso dolosi, oppure causati dai fulmini, però quando c’è “l’evento incendio” il bosco è molto più vulnerabile di un tempo.
A proposito di cambiamento climatico volevo chiederti della Tempesta Vaia: il nome forse lo ricordano pochi, ma forse molti ricordano gli abeti “caduti come stuzzicadenti” nel 2018.
La Tempesta Vaia è stata probabilmente il più grande episodio di cambiamento climatico che c’è stato in Italia finora, ed è stato il momento in cui dopo molto tempo i boschi italiani rientravano nella conversazione. È stato il momento in cui abbiamo visto milioni di metri cubi di alberi a terra: sono caduti in mezzora gli alberi che cadono e che tagliamo in dieci anni. Sono venuti giù tantissimi abeti e larici, perché non sono alberi che possono reggere un vento di quel genere: durante la tempesta il vento è arrivato a 200 km/h e un’abete non regge più di 100, 110 km/h. Era un vento che non li aveva mai colpiti, un vento che veniva da sud.
Perché la Tempesta Vaia è un esempio di cos’è all’atto pratico il cambiamento climatico?
Il vento era scirocco dell’Adriatico, che non ha senso arrivi così forte lì. Però ora sia l’Adriatico che il Mediterraneo - essendo di 1,3° più caldi - sono grossi serbatoi di energia, e possono generare questo vento potentissimo, che va verso nord ed entra nelle valli con orientamento sud-nord. Infatti le valli che erano un po’ “storte” rispetto allo scirocco si sono salvate, mentre quelle che ha il vento ha preso di fronte, le ha prese con la furia di un demone da film di Miyazaki. È stato un monito di come gli eventi estremi saranno sempre più frequenti, e di come ce ne aspettino altri in futuro. E di come questa risorsa, i boschi, una volta sfregiati, diventino una cicatrice che rimane.
Questa programmazione in Italia c’è?
No, l’enorme problema italiano sul patrimonio forestale è un problema tecnico. Ma è quel tipo di problema tecnico di cui ti rendi conto quando c’è un evento estremo. Come la sanità per la pandemia, anche la gestione forestale è gestita su base regionale, quindi abbiamo ventuno politiche di gestione forestale. Alcune virtuose, certo - come la provincia autonoma di Trento - però si è sempre fatto fatica ad avere un disegno nazionale sulla gestione di questo patrimonio. Ci sono tante regioni anche molto boschive del sud dove la gestione forestale è un disastro: e spesso rimane uno dei grossi serbatoi di consenso politico.
Tutte le foto @ Pietro Baroni.