La morfologia della nave continua a perseguitare cittadini e architetti. È di qualche giorno fa la notizia riportata dal quotidiano genovese Il Secolo XIX che la compagnia MSC si è resa disponibile a trasformare, con il supporto del Rina (l’ente di certificazione che sta facendo anche la direzione lavori del nuovo viadotto di Renzo Piano), una nave da crociera in ospedale galleggiante.
Nelle settimane scorse abbiamo assistito al girovagare per i mari, Mediterraneo e Caraibi, di altre navi italiane della stessa MSC e della Costa, il cui approdo veniva vietato per la paura di un possibile contagio anche senza malati, o ancora della Diamond Princess approdata in Giappone e trasformata in un vero e proprio lazzaretto.
La nave come simbolo di una emergenza sanitaria
Dalle imbarcazioni da crociera trasformate in luoghi di quarantena galleggianti alla nave ospedale di Genova: la pandemia innalza a simbolo un archetipo architettonico inatteso.
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- Emanuele Piccardo
- 19 marzo 2020
Non stupisce che nel 2020 una nave si trasformi per ospitare i malati affetti dal Covid-19. Tuttavia si evidenzia come le navi da crociera non siano concepite come architetture bensì come lussuosi condomini dal sapore kitsch, occupati da 5-6000 persone in cerca di svago e partner con cui vivere il resto della vita. La nave fin dai racconti biblici dell’arca di Noè ha rappresentato un luogo rifugio dove si sono condensate specie, persone e merci diverse, il cui carattere spartano, la funzionalità e la rarefazione degli ambienti hanno affascinato gli architetti. Non c’è spreco di spazio, ogni misura viene usata per rendere confortevole ed essenziale il viaggio, almeno fino al tempo in cui molti italiani migrarono verso le Americhe. Oggi non è più così. Le navi appartengono alla bigness teorizzata da Koolhass ma senza la forza del suo pensiero teorico-progettuale. Sono nuovi mostri marini che solcano i mari e in certi contesti, come la laguna veneta, la loro dimensione senza proporzione viene rilevata maggiormente.
“Il 29 luglio del 1933, il piroscafo Patris II lascia il porto di Marsiglia diretto al Pireo” scrive Paola Di Biagi “A bordo vi sono i rappresentanti di 15 paesi. [...]”. “Una folla di giovani” sottolinea con entusiasmo Le Corbusier nel suo intervento iniziale “il fiore della nuova architettura che dovrà portare i suoi frutti”. La nave qui diventa spazio della riflessione urbanistica e architettonica del IV congresso CIAM sul tema della città funzionale che genera la nota Carta d’Atene. “Una nave da crociera si era trasformata in sale per riunioni, per commissioni, per il lavoro organizzativo – scrive Le Corbusier – Un solo rumore: lo sciabordio dell'acqua sullo scafo; una sola atmosfera: di giovinezza, di fede, di modestia e coscienza professionale”. Ecco dunque una architettura mobile e temporanea che diventa un luogo dove elaborare un manifesto sulla città futura. Dieci anni prima, nel 1923, sempre Le Corbusier in Vers une architecture dedicava un capitolo a Occhi che non vedono... I piroscafi : “Se dimentichiamo per un istante che un piroscafo è un mezzo di trasporto [questa la differenza con le navi da crociera] e lo guardiamo con occhi nuovi, ci sentiremo di fronte a un’importante manifestazione di temerarietà, di disciplina, di armonia, di bellezza calma, nervosa e forte”.
Oggi la nave diventa il simbolo di una emergenza sanitaria, esito sporadico di una politica assente che vive perennemente in emergenza, senza il rispetto delle regole in una situazione in cui l’architettura non c’è, nè in fase di pianificazione urbana e di destinazione d’uso del suolo, nè come forma spaziale. Occorre ritornare ancora a Le Corbusier con il progetto di Asile flottant (1929) per l’Armée du Salut a Parigi, dove una barca fluviale, non dissimile da quella usata dal regista Jean Vigo nel suo capolavoro L’atalante, viene riadattata a rifugio per le donne a seguito del primo conflitto mondiale, con 160 posti letto, bagni e cucina. Anche Renzo Piano ha attinto abbondantemente all’archetipo della nave, con risultati alterni. La prima volta avviene con il recupero del porto vecchio di Genova nel 1992 quando realizza l’Acquario, nel 1997 quando ad Amsterdam progetta Nemo e recentemente nella costruzione del nuovo viadotto sul Polcevera sempre a Genova. Proprio per dissacrare il binomio nave-architettura Francesco Rosadini ha fondato su facebook la pagina Ma se a certi architetti piace fare navi, perché invece fanno case? Un modo ironico per chiedere ai progettisti di fare outing sulle loro reali intenzioni. D’altronde in questa situazione di crisi identitaria, dunque non solo sanitaria, è evidente quanto l’architettura sia estromessa dai processi decisionali per i ricoveri temporanei, siano essi abitazioni, ospedali... Questo avviene in un contesto culturale desertico, dove anche le istituzioni dell’architettura sono inermi. Eppure la storia dell’architettura ha fornito una serie di esempi formidabili: dalle Ecole volant (1940) progettate da Jean Prouvé e Pierre Jeanneret, ai prototipi realizzati da Buckminster Fuller come la Dimaxion Deployment UNIT DDU (1940-1941) e le Geodesic Dome realizzate per l’esercito americano, dai gonfiabili di Hans Walter Muller, Hans Hollein e Haus Rucker-Co, alle architetture temporanee di Shigeru Ban, Anna Rita Emili, Elemental.
Immagine di apertura: Gianni Berengo Gardin, Venezia e le grandi navi. © Gianni Berengo Gardin-Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia