Scorrere le immagini del primo iPhone, uscito quasi venti anni fa, è una esperienza spiazzante. Perché il dispositivo che ha inaugurato l’età dello smartphone è parecchio diverso da come ce lo ricordiamo. Un po’ un tuffo al cuore, molto bagno di realtà. E non c’entrano solo le dimensioni ridotte, le grandi cornici o quello schermettino dove si legge l’evidenza della rete di pixel che lo forma. Lo shock è iconografico. Si riassume con una parola: scheumorfismo, ovvero l’uso di interfacce grafiche che simulano gli oggetti del mondo fisico, in gran voga nella Apple di quegli anni.
Ma quanti oggetti ha fatto sparire lo smartphone?
In due decenni, lo smartphone non ha solo cambiato il modo in cui comunichiamo: ha letteralmente stravolto il paesaggio fisico intorno a noi. Ecco come.
Credit: The Simpsons, 1989-in corso
Credit: Totò, Peppino e la... malafemmina, 1956
Credit: Fleabag, 2016-2019
Credit: Shrek, 2001
Credit: Pulp Fiction, 1994
Credit: Friends, 1994-2004
Foto @insta_della_spesa da Instagram
Credit: Family Guy, 1999-in corso
Credit: American Beauty, 1999
Credit: Scooby-Doo, 1969
Credit: Dahmer, 2022
Foto Peregrino da Flickr
Credit: Batman Begins, 2005
Credit: Safety Last!, 1923
Credit: Stina
Credit: Sex and the City, 1998-2004
Foto @dudewithsign da Instagram
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- Alessandro Scarano
- 29 maggio 2024
La calcolatrice aveva tasti smaccatamente tridimensionali, le note sembravano delle pagine di quaderno e i memo vocali presentavano un bel microfono sullo sfondo. I libri stavano su scaffali di legno e tutte le icone simulavano una fisicità che oggi ci sembra strampalata e poco elegante, e che almeno nel mercato occidentale sa di “vecchio”. Come il vagamente inquietante girasole che compariva nel tasto dell’app Foto, prima versione.
Lo scheumorfismo era smaccatamente sincero: rappresentava l’istinto cannibale dello smartphone, capace via via negli anni di “assorbire” al suo interno oggetti fisici, che sono stati decimati nel mondo reale se non proprio spariti, o talvolta si sono radicalmente trasformati. Oggetti che non erano semplici cose, ma fulcri di interazioni, o esito di intere filiere di interazioni, modalità di commercio o comunicazione, oggi dissolte. Sostituire le cose ha cambiato irreversibilmente le persone e come si relazionano tra di loro.
Alcuni esempi di questi “oggetti cannibalizzati” sono così clamorosi che quasi non meritano di essere citati. Il telefono, di cui lo smartphone costituisce del resto una esplicita evoluzione. Il computer, di cui ha assorbito tante funzioni – non ci si crede, ma un tempo tornavamo a casa per leggere le mail. E poi c’è da dire che l’ubiquità dello smartphone insieme all’avanzamento delle tecnologie hanno sdoganato la smaterializzazione dei dati nel cloud, facendo evaporare non solo gli oggetti fisici, ma anche quelli digitali: pensate a tutte le collezioni di mp3 o file video, quando oggi la musica e i film corrono via streaming.
L’oggetto “cannibalizzato” per eccellenza è sicuramente la macchina fotografica. Non solo lo smartphone l’ha di fatto soppiantata nel mercato di massa, mettendo in crisi grandi e piccoli produttori, ma per anni, almeno prima che l’AI diventasse il nuovo epicentro di storytelling intorno a cui le narrazioni dei produttori di smartphone impostano le loro campagne di comunicazione, il “cameraphone” ne era l’indiscusso protagonista. Con l’idea che lo smartphone fosse soprattutto una fotocamera con il telefono attaccato. E c’era sempre un telefono che faceva foto migliori, con più megapixel, più nitide al buio, con un bokeh più raffinato nella modalità ritratto. Ed è stato proprio in merito alle fotocamere che abbiamo sentito parlare, forse per la prima volta in maniera esplicita e diffusa, di ottimizzazione tramite machine learning e AI.
Non è raro, soprattutto nelle strade delle grandi città, notare qualcuno con una reflex al collo, magari a pellicola; o che al tavolo di fianco al tuo in un caffè sia appoggiata una Olympus mju, una Yashica T4 o qualche altra vecchia compattina analogica. Per ogni grande tendenza, ci sono sacche di resistenza. E negli anni i media hanno sottolineato spesso con enfasi eccessiva l’amore delle nuove generazioni – gen z, gen alpha, gen vattelapesca – per le retrotecnologie di una volta, dalla musica in vinile al walkman, dai telefoni “dumb” a conchiglia alle collezioni di volumi cartacei di manga a qualsiasi altro oggetto che probabilmente rasserenava soprattutto il giornalista pre-nativo digitale davanti all’irreversibile dissoluzione di tanta parte del mondo materiale con cui era cresciuto in un tutto sommato banale oggettino che si tiene in tasca.
Immagine di apertura: Steve Jobs. Foto Justin Sullivan da GettyImages
Lo smartphone è il re dei dispositivi da gioco, tanto che si gioca più sul telefono che sulle console, oramai, e ci sono anche modelli dedicati. Il telefono ha realizzato il sogno del GameBoy: la maggior parte dei giochi che facciamo, li facciamo li. Anche gli scacchi… o i Pokémon.
Più che le mappe vere e proprie, quelle se le erano già mangiate i navigatori gps, lo smartphone con Google Maps ha quasi definitivamente eliminato una importante connessione tra chi è di un luogo e chi lo visita: la richiesta di informazioni. Oggi, se ti chiedono dove si trova una strada o un particolare edificio in zona, ti chiedi subito se ci sia dietro una batteria scarica… o una truffa.
Per un breve periodo si pensava che l’editoria sarebbe diventata tutta digitale, magari come replica su iPad. Beh, non è successo. Libri e fumetti stampati stanno benissimo. E anche le moleskine. Tuttavia, vediamo sempre meno carta intorno a noi. E ne vedremo sempre di meno. Perché è cambiato il nostro modo di leggere, radicalmente: più compulsivo, frammentario e comunque tantissimo sul telefono. Ma se hai l’abbonamento al cartaceo di Domus puoi stare tranquillo che continuerai a riceverlo per un bel po’.
Perché occupare spazio nella borsetta, quando per darti una rifilata di gloss stick puoi semplicemente aprire la fotocamera del telefono in modalità selfie?
Non è solo per i soldi, cash o carta di credito, i biglietti del treno o dell’aereo, i biglietti da visita o l’app dell’Esta. Il telefono ha via via assorbito praticamente tutte le funzioni del portafogli, in attesa che anche i documenti di identità si trasferiscano definitivamente lì. Anche quelle che forse non ricordi, come conservare quei bigliettini dove avevamo preso un appunto veloce o le foto dei familiari. Del resto passeremo alla storia come le generazioni che avevano le foto dei figli sul blocco schermo dello smartphone.
Anche loro sono finiti dentro il telefono. Qualcuno non ne esce mai. Altri li continui a trovare anche nella vita reale. Spesso sono parecchio diversi. C’è anche una certa difficoltà a distinguere “amico” e “follower”. Ma questa è un’altra storia.
Oggi è una tab della app Note, un tempo era un foglio di carta in cucina, spesso appeso a parete o sul frigorifero, che veniva aggiornato via via che finivano le cose. La spesa non si ordinava online, ai tempi, la si andava a fare in questi luoghi molto vintage chiamati “mercati” e “supermercati” di cui resta in verità ancora qualche traccia.
Il primo iPhone, narrano le cronache, poteva essere molto più simile all’iPod rispetto a quello che conosciamo. Di sicuro, in casa Apple, lo smartphone ha ucciso il lettore musicale. Ma la vera rivoluzione è stata il cloud: la musica oggi è da-qualche-parte, prima dovevi comprarla o rubarla, trasferirla sul telefono.. uno sbattimento totale che a qualcuno piace ancora, metti il caso di Cindy Lee e del suo osannatissimo Diamond Jubilee, giudicato con uno stellare 9.1 su Pitchfork, uscito quest’anno in formato .wav e scaricabile su Geocities, un sito che sa così tanto di y2k che neanche ci ricordavamo esistesse ancora.
C’è stato un tempo glorioso (e peloso) di videocassette e riviste che oramai hanno il sapore irresistibile del vintage, tanto da essere diventate oggetto da collezionismo. Per decenni, molte edicola avevano un’area inaccessibile ai minori. Ma le edicole non ci sono più, in compenso abbiamo Pornhub, YouPorn, un’esplosione di porno reality e amatoriale e l’apoteosi dell’erotismo DIY su Onlyfans. E poi diciamolo, tante volte basta Instagram.
Eh sì, un tempo era un oggetto a parte, non una funzione del telefono.
La tv si guarda a letto dal portatile e l’unico schermo utile è quello attaccato alla PlayStation: se parli con un millennial, la vita oramai pare questa da almeno un decennio. Aggiungiamo un elemento: è cambiato completamente il modo di fruire la televisione. Non solo perché l’on demand del modello Netflix ha stravinto sul palinsesto, ma perché la tv è diventata i reel di Instagram e TikTok, dopo essere già abbondantemente stata i video di YouTube. E la partita la segui ovunque dal cellulare esattamente come la ascoltavi sulla radiolina.
La grande stagione del romanzo epistolare è nel diciottesimo secolo, si chiude simbolicamente con Dracula (1897) e ha alcuni notevoli trascinamenti postmoderni nel ventesimo (vedi Carrie o Casa di Foglie). Lettere, abbiamo continuato a scrivercene. Quelle che ricordiamo con più passione sono quelle d’amore, che spesso includevano disegni o foto o addirittura fiori secchi e profumazioni. La carta era scelta spesso con cura maniacale. Un tempo il follow-up a una rottura sentimentale era un plico di fogli, oggi un paio di audio e un dm su Instagram.
Ehi, le macchine si aprono dal cellulare! E anche casa… ma se si scarica la batteria?
Con Siri, Alexa, Google Assistant, Bixby e tutti i loro compari, una figura che associamo al lusso (e soprattutto a Batman) si è digitalizzata in forma democratica, per tutti. Prossimo step, AI sempre più potenti. Finché non sarà l’AI a sostituire proprio lo smartphone.
Che senso ha averne uno se tanto l’ora la leggi sul telefono? È diventato un accessorio di moda o un tracker per prestazioni sportive. Ma puoi lasciarlo a casa e la vita non ti cambia.
Vai tu a spiegarglielo a un Gen Z che un tempo era un oggetto fisico che di solito stava giusto di fianco a quel “telefono fisso” di cui tutti ancora parlano.
Eh sì, anche questo era un oggetto un tempo e non una funzione del telefono. Aveva anche una variante, la radiosveglia, che integrava una radio… come? In che senso non sai cos’era una radio?
Non fare finta di niente, anche tu compri tanto, tantissimo online. Che sia su Amazon, la spesa dell’Esselunga o un vestito usato su Vinted o un vinile di Discogs, cambia poco.
Con la pandemia è diventato un QR code. Ma in fondo perché uscire a mangiare, quando puoi ordinare a casa dal telefono?