Negli anni Trenta il movimento progettuale dello streamlining si impone come un linguaggio magico che sfida differenze culturali, sociali ed economiche con un’estetica di facile interpretazione. Sviluppatosi quasi contemporaneamente sia oltreoceano, sia nel Vecchio Continente, è stato una scelta dettata senza dubbio da ragioni funzionali, ma anche dalla necessità di donare al mezzo di trasporto in questione — automobile, aereo o treno che fosse — forme più eleganti e seducenti. Già negli anni Venti avevano preso corpo diverse scuole di pensiero volte all'applicazione alla progettazione dei principi aerodinamici fondamentali; questi concetti, di matrice statunitense, gettavano le proprie radici nel lavoro di visionari come Buckminster Fuller e Norman Bel Geddes.
Streamlining, le automobili degli anni Trenta che viaggiavano sulle ali del vento
Quando la ricerca dello stile è in funzione alla velocità: il periodo tra le due guerre ci ha lasciato in eredità alcune delle vetture più belle di sempre. Scopri i 5 modelli chiave sfogliando la gallery.
Foto Archivio Quattroruote
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- Federico M. Fabbri
- 23 agosto 2022
Bel Geddes era solito affermare che “la velocità è il grido della nostra epoca e la maggiore velocità è uno degli obiettivi del futuro prossimo”; le teorie di Fuller, invece, erano molto semplici e facevano perno sulla considerazione che, per ottenere la maggiore velocità di un veicolo bisognasse ridurre, se non eliminar del tutto, la sua resistenza aerodinamica. Aumentare la potenza di un veicolo era un buon espediente, ma di fatto una pratica vana senza una linea pensata per renderlo efficiente nel suo moto rettilineo uniforme. Questo bisogno atavico di velocità — che già si era manifestato negli anni Dieci del ventesimo secolo con la poetica Futurista — condusse presto a una convergenza di stili che spuntarono, destando sicura meraviglia, nei Saloni dell’auto ai due lati dell’Atlantico, producendo quattro ruote iconiche e caratterizzate da forme senza tempo. Sembravano essere scolpite da Eolo e, ancora oggi, vengono prese in considerazione dai Centri Stile delle Case automobilistiche di tutto il mondo per i concept dei loro nuovi modelli.
L’aerodinamica, contando anche sull’invenzione delle prime, rudimentali gallerie del vento, faceva breccia nel design trasformando radicalmente i mezzi di trasporto, rendendoli più simili a veri e propri siluri che a oggetti d’uso quotidiano. Forme monoblocco sinuose, con angoli smussati, superfici metalliche levigate e panciute erano quasi all’ordine del giorno. Lo streamlining curvò le linee rette, fuse le cromature con il colore, generò dettagli di stampo nautico e/o aeronautico che venivano utilizzati come elementi decorativi, per la prima volta, sulle carrozzerie di macchine destinate alla strada pubblica. Così facendo, queste somigliavano ad eleganti navicelle spaziali arrivate da una galassia parallela, con proporzioni protese verso il futuro, che ispiravano potenza e velocità: ali di ogni forma e dimensione, forme coniche, bombate o a goccia — che mimavano un falco pellegrino in picchiata — divennero stilemi con i quali plasmare quasi ogni cosa. Nella moltitudine di proposte fiorite all’epoca, ne abbiamo scelte cinque che rappresentano meglio di altre il movimento dello streamlining applicato alle quattro ruote. Ecco quindi, in una sorta di kermesse automotive Art Déco all’insegna di eleganza ed efficienza aerodinamica: la Stout Scarab del 1932, la Bugatti Tipo 57 Coupé Atlantic del 1936, la Phantom Corsair del 1938 la Hispano-Suiza H6B Dubonnet Xenia e la più recente Saab Ursaab del 1945.
La Stout Scarab fece la sua prima apparizione nel 1932, introducendo — anticipandolo di cinquant’anni — il segmento delle monovolume. Nacque da un’intuizione di William Bushnell Stout, ingegnere automobilistico ed aeronautico, che reinterpretò la Dymaxion Car, concept ideata qualche anno prima dal già anticipato Fuller. L’idea era quella di creare un ufficio semovente e le sembianze della Scarab, opera di John Tjaarda, ricordavano la fusoliera di un aereo. Un motore Ford a otto cilindri venne sistemato sull’asse posteriore, mentre sterzo, volante e strumentazione su quello anteriore: ne risultava una cabina estremamente spaziosa cui s’accedeva tramite un’unica porta laterale. I sedili della seconda fila potevano essere ruotati di 180°, era presente un pratico tavolino reclinabile e, grazie alla carrozzeria in alluminio, l’ago della bilancia si fermava a 1.400 kg
La Bugatti Tipo 57 Coupé Atlantic fu commercializzata tra i 1936 e il 1938 in soli quattro esemplari. Il primo scomparve durante la Seconda Guerra Mondiale, il secondo venne distrutto da un treno in corsa durante un incidente avvenuto nel 1955, il terzo è oggi di proprietà dello stilista Ralph Lauren e il quarto — costruito per il banchiere Victor Rothschild — è ora conservato al Mullin Automotive Museum. I finestrini laterali hanno una forma definita “a fagiolo”, il portellone posteriore ad arco vanta un vano per la ruota di scorta — talmente ben abbinato al resto della vettura da essere appena visibile — e la carrozzeria è percorsa una dorsale longitudinale che dimezza lunotto e parabrezza. È da molti considerata la prima supercar della storia: grazie al suo otto cilindri in linea sovralimentato, infatti, raggiungeva i 210 km/h.
Questo concept purtroppo rimase tale per via dell’improvvisa morte di Rust Heinz — erede della famiglia titolare dell’azienda omonima che produce le famose salse — che aveva stilizzato la Corsair a quattro mani con Maurice Schwartz. Oggi è esposto al Museo Nazionale dell'Automobile di Reno, Nevada. Tra le peculiarità di questo modello, spiccano la scocca realizzata in acciaio e alluminio completamente priva di sporgenze, le porte apribili elettricamente tramite un comando posto sul cruscotto e gli interni in sughero. Il telaio deriva da quello della Cord 810, così come il propulsore V8 Lycoming da 190 cavalli abbinato a un cambio servoassistito a quattro rapporti. Anche per merito della sua silhouette estremamente aerodinamica. la Corsair poteva spingersi fino a 185 km/h.
Venne confezionata nel 1938 dal marchio spagnolo Hispano-Suiza in una sola unità su richiesta di André Dubonnet, pilota francese nonché padre delle sospensioni anteriori indipendenti a braccio trasversale e del sistema di sterzo che porta il suo nome. La Xenia sfruttava il telaio della H6B, era mossa da un sei cilindri in linea — frazionamento di un V12 aeronautico — da 8 litri accoppiato ad un cambio 4 marce — contrariamente alle H6B che ne aveva solo 3. Sfiorava i 180 km/h grazie alla sua carrozzeria disegnata per fendere l’aria come un fuso. La Xenia, oggi, è di proprietà del collezionista americano Peter W. Mullin e fa parte della collezione del Mullin Automotive Museum di Oxnard, California. Ha vinto numerosi Concorsi d’Eleganza, tra cui quello di Pebble Beach nel 2000 e di Amelia Island nel 2001.
La UrSaab, nota anche come 92001 e X9248, è il primo di quattro prototipi costruiti dal 1946 e presentati ufficialmente alla stampa dalla Casa automobilistica svedese il 10 giugno 1947. Qualche anno prima Saab AB, specializzata nella produzione di aeroplani, aveva messo insieme un team guidato dall'ingegnere Gunnar Ljungström e dal designer Sixten Sason per produrre un’autovettura originale e di qualità. La UrSaab aveva la trazione anteriore, montava un propulsore DKW due cilindri a due tempi da 18 cavalli ed era dotata di un cambio a tre marce. Questo prototipo anticipava quella che sarebbe diventata la prima Saab di serie della storia: la Saab 92. Il caratteristico design del montante C diventerà un elemento distintivo per le successive autovetture marchio scandinavo. L'unico esemplare di UrSaab rimasto è custodito gelosamente al Saab Car Museum di Trollhättan