La panchina è in assoluto l’elemento di design più impiegato nelle locandine dei film ed evidentemente il più amato da scenografi, registi e direttori della fotografia. Non solo perché, banalmente, agevola le riprese frontali e laterali durante i dialoghi a due - ancora l’espediente narrativo più comune ed efficace per confessioni e grandi rivelazioni - ma perché assolve ormai a una funzione allegorica: la panchina è il luogo della pausa, della riflessione, della presa di coscienza e infine del confronto. La vicinanza fisica dei protagonisti, laddove seduti l’uno accanto all’altro, muove all’azione o all’espressione, ed è sulla panchina che questi si aprono, si confessano, si guardano, si toccano o anche solo condividono il silenzio. Ecco perché la panchina si tramuta in luogo-chiave e momento-clou del film, diventandone il manifesto. Vediamone qualche esempio, tra cult passati alla storia, pellicole d’autore e produzioni indipendenti.
Panchine, una storia attraverso i film
La panchina nei film non è un elemento d’arredo qualsiasi: assiste all’inizio o alla fine di un amore, è teatro di grandi rivelazioni o luogo di profonda ispirazione. Vi raccontiamo la sua storia attraverso 10 film che la vedono protagonista.
View Article details
- Marta Milasi
- 14 febbraio 2020
Sutton Park, nell’Upper East Side di New York di fronte al Queensboro Bridge, è il luogo prescelto da Woody Allen per dichiarare il suo amore a Diane Keaton ma soprattutto alla sua città, indiscussa protagonista del film. Sulla panchina trascorrono la notte parlando fino all’alba. Un momento di svolta, dopo il quale Isaac/Woody comincerà la sua relazione con Mary/Diane.
“Ho visto di meglio” risponde Mia/Emma Stone a Sebastian/Ryan Gosling di fronte alla vista mozzafiato sulla San Fernando Valley. Di lì a poco i due cominceranno a ballare dando vita all’ormai iconica locandina del film. Il luogo è Cathy’s Corner a Griffith Park, Los Angeles, ma la panchina e i lampioni sono finti.
Il primo capitolo della Trilogia dell’Incomunicabilità di Antonioni vede una panchina al centro di una scena di quattro minuti di silenzio in cui il protagonista, l’architetto Sandro, piange e Claudia/Monica Vitti, prima sua amante e ora compagna tradita, lo compatisce. Tutt’attorno, non a caso, le rovine di Taormina, simbolo di bellezza effimera e gloria perduta.
Una panchina di Paterson, New Jersey, è il luogo da cui l’autista di autobus Paterson – non a caso omonimo della città – trae ispirazione per le sue poesie. Tutt’altro che un film sulla poesia del quotidiano, l’ultimo lavoro di Jarmusch è in realtà una riflessione raffinatissima sulla poesia come metodo e chiave di lettura della realtà. Soprattutto se squallida.
L’inquadratura più rappresentativa del film è quella del travestito Rayon/Jared Leto seduto su una panchina accanto al cowboy omofobo Ron/McConaughey. Due mondi che mai si sarebbero avvicinati se non fosse stato per un destino comune, l’AIDS. La panchina è qui un luogo simbolico e di condivisione: la prospettiva è la stessa e si guarda nella stessa direzione.
La panchina di legno alla fermata dell’autobus da cui inizia e dove finisce il racconto in medias res di Forrest Gump lancia un messaggio preciso: la sua è una storia che merita di essere raccontata a tutti e che avvince talmente tanto da perdere gli autobus e aspettare quelli dopo. E siamo a Greenbow, in Alabama.
Gran parte di questo film vede la protagonista Michelle Williams, in bilico tra un matrimonio rassicurante e la curiosità verso il nuovo e l’ignoto, seduta: nel patio della sua villetta nel quartiere portoghese di Toronto, su una giostra al luna park, sullo sgabello di un bar e su due diverse panchine colorate. Il suo tradimento con il vicino di casa si compie così, da una panchina all’altra.
È su una panchina di Cambridge, Boston, non lontano dal MIT, che avviene uno dei più bei dialoghi tra Robin Williams/Dr. Maguire e Matt Damon/Will Hunting (gli stessi che valsero a Damon e Ben Affleck l’Oscar 1998 per la Miglior Sceneggiatura Originale). In quell’occasione lo psicologo Williams dice al paziente, il genio matematico Damon: “Di Michelangelo hai letto tutto, lavoro, aspirazioni politiche, orientamento sessuale… ma non sai dirmi l’odore che si respira nella Cappella Sistina”.
Tom/Joseph Gordon Levitt è un giovane architetto e la panchina ad Angels Knoll Park, nel downtown di Los Angeles, è il luogo da cui trae ispirazione per i suoi lavori. È lì che porta Summer/Zooey Deschanel per introdurla il suo mondo ed è lì che i due si rincontrano, alla fine, per fare bilanci e dirsi addio, questa volta per sempre.
Adèle e Emma si conoscono in un club di Lille ma, come tutti gli adolescenti al loro primo amore, si baciano su una panchina al parco. Qui la panchina assurge a simbolo di una fase esistenziale: gli anni del liceo, che spesso coincidono anche con la prime esperienze sentimentali.