Dove va il design? 5 progetti candidati al Compasso d’Oro lo raccontano bene

L’Adi Design Index è stato presentato a Milano, e 5 dei candidati raccontano un’innovazione non formale, tra la sfera digitale e la circolarità dei processi.

L’invenzione del Compasso d’Oro nel 1954, da un’idea di Gio Ponti, ha automaticamente generato un’altra idea che prima non c’era, per quanto oggi la possiamo trovare ovunque: quella di premiare il design.
Quindi, oltre a formalizzare l’esistenza del design stesso come disciplina e come mondo, si è trattato di esplicitare cosa significasse “qualità” per i prodotti, di restituire le tendenze del contemporaneo, e a volte di indirizzarle.

Durante il nuovo millennio, l’ADI Design Index, arrivato alla venticinquesima delle sue edizioni annuali, si è occupato di ampliare questo tipo di missione: ha costituito uno spazio di ricerca sul design di oggi che va al di là del Compasso come premio, mentre di fatto funziona come la sua anticamera.

Ogni anno esce infatti una nuova edizione, e ogni due edizioni si vanno a individuare tra i selezionati i vincitori del Compasso. Lungo il 2024, gli oltre cento specialisti dell’Osservatorio permanente del Design di ADI, coordinato da un comitato scientifico (Laura Badalucco, Makio Hasuike, Domenico Sturabotti, Laura Traldi e Francesco Zurlo) hanno selezionato 241 progetti tra prodotti e servizi, andando a coprire una diversità di categorie sempre più ampia, e sempre più aperta verso il non-tangibile, sia come tipologia di progetto sia come valore decisivo nel fare la differenza.

Philippe Starck per Kartell, A.I. Lounge. Courtesy Adi

Abbiamo voluto interrogare l’Index 2024 come ritratto in movimento del design oggi, e quello che ci restituisce è uno scenario dove le priorità cambiano, e quelle che fin qui erano sembrate poco più che buone intenzioni speranzose paiono prendere, pur gradualmente, piede anche nel mondo della produzione, nel mondo accessibile da un numero di utenti più vasto.

Troviamo questo scenario nelle parole della giuria, che parla di un momento in cui è il processo ad avere la priorità rispetto alla forma – “l’innovazione c’è ma non si vede” – dove sostenibilità diventa più condizione di base imprescindibile per la produzione, che non label da incollare sulle confezioni.

Virgil Abloh per Alessi, Conversational Objects. Courtesy Adi

E lo troviamo anche e soprattutto nella distribuzione del grosso atlante dei progetti premiati tra le diverse categorie e i diversi temi. Tra queste, prendono sempre più spazio quelle di inserimento recente, che si allontanano di più dalla definizione classica di design come prodotto, se non direttamente come arredo.

Sempre più spazio va a progetti che agiscono sulle pratiche, dalle posate pensate da Virgil Abloh per essere “allestite dai commensali” fino ai servizi digitali che facilitano l’accesso alle cause legali o ai servizi sanitari; al lavoro e alla sua messa in sicurezza per tutte le persone che coinvolge; alla circolarità e al ciclo di vita in prodotti formalmente consolidati come potrebbe essere un divano; alla biomimesi e alla progettazione biofilica, dalle componenti che danno alla ceramica il comportamento elastico delle piante fino agli oggetti d’arredo su cui abitano licheni; ad un’estensione del digitale che abbraccia la forma, come con le sedie AI di Starck per Kartell, ma soprattutto l’allargamento delle sue applicazioni, come con la traduzione di un ormai noto dispositivo quale il bodyscan da camerino virtuale al mondo della cura medica.

Leggi anche: “Il Compasso d’Oro porta in Cina la storia del design italiano”

Senza alcuna pretesa di esaurire un mondo, abbiamo pretestuosamente scelto 5 progetti per raccontare 5 di queste storie di cambio di paradigma.

Immagine di apertura: Grumetto. Elena Salmistraro per We Do Living – Busnelli

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