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Che cos’è il lusso?
Dedicata più alla produzione che all’intermediazione e al consumo, la mostra curata da Jana Scholze e Leanne Wierzba al V&A mette in discussione l’idea stessa di che cosa sia il lusso oggi.
Un museo colmo di tesori in uno dei quartieri più ricchi di una delle città più care del mondo. Una città che ha i più alti livelli di povertà in un paese la cui politica accresce le disuguaglianze socioeconomiche. Ecco il palcoscenico di “What is Luxury?” (“Che cos’è il lusso?”), la mostra che si è da poco inaugurata al Victoria and Albert Museum di Londra. Avrebbe potuto essere una spettacolare celebrazione dell’industria del lusso che fiorisce nell’epoca della disuguaglianza. Invece questa intensa mostra mette in discussione l’idea stessa di che cosa sia il lusso e di che cosa significhi oggi.
Realizzata congiuntamente dalla curatrice del V&A Jana Scholze e dalla ricercatrice ospite Leanne Wierzba, “What is Luxury?” è l’ultima di tre mostre allestite in collaborazione dal V&A e dal Crafts Council. L’iniziativa è partita nel 2007 con “Out of the Ordinary: Spectacular Craft” (“Fuori dell’ordinario: artigianato spettacolare”), che analizzava la tendenza alla manualità degli artisti contemporanei, ed è proseguita nel 2011 con “Power of Making”(“Il potere del fare”), imponente mostra divulgativa a celebrazione dell’attuale revival dell’artigianato. Benché distinte per obiettivo e per taglio, condividevano la stessa centralità delle competenze artigianali che viene sottolineata qui: “What is Luxury?” è dedicata più alla produzione che all’intermediazione e al consumo, benché queste prospettive vengano affrontate dai pezzi esposti.
La mostra si organizza intorno a quattro sezioni tematiche, tutte basate sull’analisi del lusso. La prima, “La creazione del lusso”, è quella più scopertamente lussuosa: vetrine illuminate da faretti in una sala oscura sottolineano il carattere prezioso degli oggetti. Le vetrine sono etichettate con parole chiave come “Precisione”, “Esclusività”, “Competenza”, che le curatrici saggiamente propongono in luogo di ogni definizione prescrittiva del lusso. Benché l’accento cada sulla contemporaneità, questa sezione comprende esempi storici provenienti dalle collezioni del V&A, creando alcuni interessanti accostamenti. Collocati insieme sotto il titolo della “Precisione” ci sono un paramento ecclesiastico settecentesco veneziano in seta e merletto e un orologio meccanico della società svizzera Vacheron Constantin (2007). Creati a distanza di secoli e per clienti radicalmente diversi, gli artefatti condividono la medesima ricercata perfezione.
L’orologio è il simbolo di uno dei temi guida della mostra: il tempo. Lo si ritrova nei dieci anni che l’orafo italiano Giovanni Corvaja ha impiegato a padroneggiare la filatura dell’oro come nelle 2.500 ore che ci sono volute per realizzare, con questa tecnica, il capolavoro del Vello d’oro (2009), fatto di 160 chilometri di filo d’oro. L’assurdità dell’impresa è un dato che le curatrici ammettono: spesso chi produce gli artefatti del lusso lo fa null’altro che per se stesso. Il concetto di tempo è anche lo sfondo dell’opera centrale di questa sezione: Time Elapsed (“Tempo trascorso”) del designer canadese Philippe Malouin (2011) per Lobmeyr. Questa scultura cinetica dell’èra spaziale delinea lentamente un motivo circolare sulla sabbia: materiale adatto a rappresentare sia la componente immateriale sia quella materiale delle ricche vetrerie della società austriaca.
Ma tra questi oggetti spettacolari ci sono proposte più sovversive. Repair is Beautiful (“Riparare è bello”) celebra l’efficacia delle riparazioni su piccola scala di fronte a fenomeni apparentemente irreparabili come l’attuale crisi finanziaria (ma curiosamente questa fondamentale componente nell’etichetta del pezzo è stata omessa). Un’analoga critica materiale di un sistema astratto è presente anche nella seconda e più limitata sezione, A Space for Time (“Uno spazio per il tempo”). Ne fa parte A Rematerialisation of Systems, Body I and Body II (“Rimaterializzazione di sistemi, Corpo I e Corpo II”), del 2014, di El Ultimo Grito. L’installazione creata dai due designer, con due recipienti di vetro trasparente collegati, è stata ideata per illustrare la natura illusoria dell’apparente trasparenza del vetro e la libertà del mondo in cui viviamo.
Nella sezione intitolata “Il futuro del lusso” è illustrata la combinazione di materialità e negatività. Molti degli oggetti presentati qui adottano il linguaggio paranarrativo del design concettuale per commentare la realtà dell’industria del lusso di oggi, di cui il visitatore (in quanto consumatore) è complice. A Comprehensive Atlas of Gold Fictions (“Atlante generale dei racconti dell’oro”, 2011) analizza le conseguenze dell’estrazione dell’oro sulle comunità e sul paesaggio dei territori interni australiani. L’opera è stata realizzata insieme con Unknown Field Division, cui si deve uno dei pezzi più potenti della mostra. Rare Earthenware (“Terrecotte rare”) è una terna di recipienti fatti con il fango radioattivo che costituisce il pernicioso sottoprodotto della fabbricazione di prodotti tecnologici di massa come i computer portatili e gli smartphone. Che parecchi di noi considerino questi oggetti indispensabili anziché di lusso non fa che sottolineare il tratto preoccupante del danno causato dalla nostra frenesia tecnologica e dalla scissione che si verifica tra produttori e utenti di questi prodotti.
La sezione finale, “Qual è il tuo lusso?”, comprende un solo pezzo: un filmato realizzato dal London design studio Committee. The Last Man (“L’ultimo uomo”) è un progetto in corso d’opera che invita lo spettatore a immaginare di essere l’unica persona sulla Terra. Che fare, con il mondo a disposizione e liberi da ogni vincolo socioculturale, economico e politico? Il film – con la continua creazione, distruzione e trasformazione di oggetti in nuovi artefatti – è una specie di inno all’effimero in movimento. Nella sua qualità di pezzo finale The Last Man è il manifesto di una scelta di ricerca della mostra di cui si sarebbe voluto vedere qualcosa di più. Occorre più dibattito pubblico sul contesto socioeconomico in cui si muove il lusso. All’uscita dal museo, nelle vie londinesi, non era chiaro il fatto che l’industria del lusso e di tutto ciò che esso rappresenta è purtroppo destinata a risentire ben poco di questo intervento analitico e riflessivo.