Con un gesto decisamente controcorrente, il giovane designer portoghese João Abreu Valente ha di recente aperto uno studio a Lisbona. Il Paese attraversa un periodo economico e sociale difficile e la maggior parte dei giovani è costretta a lasciare il paese in cerca di occasioni all’estero. Ma Valente, dopo aver completato gli studi alla Design Academy di Eindhoven, ha deciso che era il momento di tornare a casa. Il ventottenne ha sistemato il suo studio al 237 di Rua de Rosa, nel Bairro Alto, vivace quartiere del centro cittadino, e condivide lo spazio dello studio con altri designer e altri architetti, usandolo come luogo di lavoro, sede di laboratori, spazio per manifestazioni e luogo di riunione. In giugno, Valente userà lo spazio anche per ospitare un negozio e una galleria dove esporre le creazioni sue e di altri professionisti locali. Oltre a questo, Valente ha un suo personalissimo punto di vista sul design, che intende sviluppare nei suoi progetti futuri.
Studio visit 06: João Abreu Valente
In un momento economico e sociale difficile per il suo Paese, il giovane designer portoghese decide che è ora di tornare a casa e sistema il suo studio, che condivide con altri designer e architetti, per usarlo come luogo di lavoro e laboratorio, per manifestazioni e riunioni, oltre che negozio e galleria.
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- Inês Revés
- 13 giugno 2013
- Lisbona
Valente nel 2010 si iscrisse ai Master di Contextual Design della Design Academy di Eindhoven. Nonostante avesse concluso con successo il primo anno gli fu consigliato di non continuare con il secondo, perché il suo lavoro veniva ritenuto “troppo poetico”. Per fortuna non accettò il consiglio e il secondo anno si rivelò di importanza fondamentale per consolidare la sua prospettiva progettuale. “Fu allora che iniziai a capire come volevo sviluppare le mie idee”, afferma Valente. “Fu lì che iniziai a mettere a fuoco il processo. Nelle scuole portoghesi non se ne parla affatto.”
Il suo progetto di tesi fu una riflessione sul processo progettuale e consisteva in due progetti: Teapot’set e Wood Casting. Entrambi si fondano sull’idea che il prodotto finale debba in qualche modo riflettere il processo di produzione e quindi creare un dialogo più significativo con l’osservatore. Questa impostazione segue la convinzione di Valente che gli utenti siano estraniati dall’origine dei prodotti che usano, ma che anche i designer siano fondamentalmente scollegati dal ‘mondo fisico” in conseguenza dell’uso dominante degli strumenti digitali. Queste preoccupazioni erano già state espresse nel progetto Another Contemporary Chair sotto forma dell’ombra di una sedia, riflessione sul rapporto tra progettisti e oggetti.
Le parole del filosofo Vilém Flusser in Filosofia del design – in cui l’autore afferma che la fabbrica del futuro sarà anche luogo di conoscenza – hanno trovato un’eco nel designer, diventando il punto di partenza del suo progetto di tesi e del lavoro che sta attualmente conducendo. Valente cerca di analizzare il potenziale conoscitivo del processo progettuale. “Il processo del futuro permetterà di capire come sono fatti gli oggetti”, afferma, sottolineando come la funzionalità debba trasferirsi nel processo come in Teapot’set, in cui lo stampo di una singola teiera produce l’intero servizio da tè, dando vita a un processo intrinsecamente funzionale. In Wood Casting, d’altra parte, un armadio crea il proprio specchio in fusione d’alluminio e “il processo di trasformazione genera la propria decorazione e funziona attraverso l’interazione tra materiali”.
In entrambi i progetti Valente non sapeva quale sarebbe stato l’aspetto del prodotto finale. “Non ho fatto che mettere in contatto i materiali e lasciar fare a loro”, dichiara, sottolineando che accetta il risultato finale qualunque sia. Valente ammette che non gli piacciono le cose leccate e che preferisce la riconoscibilità del materiale grezzo. Non disprezza gli strumenti digitali ma li usa con parsimonia, sostenendo che i linguaggi digitali non sono l’unica risorsa a disposizione dei designer e che la conoscenza dei materiali viene dal “mondo fisico”. Nel suo processo Valente privilegia il contatto diretto con il materiale con cui intende lavorare, in un'ossessiva analisi della sua fisicità, seguita solo in un secondo tempo da un esercizio di progetto.
È una caratteristica in armonia con il contesto portoghese cui Valente ha fatto ritorno. Il paese possiede ancora una notevole quantità di produttori che usano metodi artigianali. Dato che si tratta di piccole industrie, permettono contatti e interazioni con i processi produttivi. “Nonostante quel che dicono tutti io credo che ogni paese abbia la propria identità materiale, e la nostra è molto interessante”, afferma Valente. Valente ha terminato da poco di lavorare a una collezione del suo Teapot’set per Anthropologie. Attualmente, sta analizzando le piastrelle di ceramica di una fabbrica locale e presto inizierà l’analisi di un altro materiale: il vetro.
Per ora il progetto più importante è lo studio di Rua da Rosa 237. Lo studio è condiviso con altri designer, come il collettivo multidisciplinare Subvert e la designer Mafalda Fernandes. Rua da Rosa 237 ospita anche un appuntamento informale settimanale dove i giovani possono presentare i loro lavori. Con il titolo Conversas (“Conversazioni”), il ciclo è iniziato con Fernandes e con l’artista Constança Saraiva, e di recente ha raggiunto il cinquantesimo appuntamento. In corso di realizzazione è Arquivo, negozio e galleria integrato nello spazio dello studio, che si apre direttamente sulla strada. Lo scopo di Valente è di esporre progetti che in qualche modo facciano riferimento all’idea di processo, e attualmente sta invitando a partecipare autori di lavori di questo genere. Quel che il designer lamenta in questo caso è la mancanza a Lisbona di centri dove si possa presentare un’impostazione più sperimentale, e con Arquivo vuole offrire una piattaforma per innescare discussioni fruttuose.