La dottrina teologica musulmana prevede che, dopo la morte, al fedele che non abbia seguito la retta via sia inflitto un anticipo corporale della pena, in attesa del Giorno del Giudizio. Secondo l’Islam, del resto, anche i fedeli delle altre religioni di ispirazione divina possono accedere al Paradiso, perché sarà solo Allah, alla fine dei giorni, a decidere la loro sorte. È possibile, allora, che un popolo messicano di discendenza maya ma convertitosi alla religione islamica possa godere oggi di un anticipo del premio divino? È quello che si domandano le fotografie che Giulia Iacolutti ha realizzato in Chiapas all’interno di una piccola comunità di musulmani tzotzil, che ha abbracciato il nuovo credo grazie all’arrivo dalla Spagna, a metà degli anni ’90 del secolo scorso, di alcuni musulmani Mirabitum. Eredi di una millenaria tradizione indigena, le donne e gli uomini che hanno accolto Iacolutti nelle loro case e nel vivo dei loro riti, professano oggi una forma di sincretismo che ha qualcosa da insegnare a tutti, e che la fotografa friulana lascia trasparire serenamente e mai forzosamente da ritratti, paesaggi e dettagli armoniosi e compassati. Capitolo più recente di un percorso professionale incentrato su identità, dignità e senso di appartenenza, “Jannah” (ovvero il giardino del paradiso islamico) è una rappresentazione intima e diretta dove tutto, dai colori al formato delle fotografie, dagli sguardi alla compostezza delle persone ritratte, racconta di una convivenza pacifica tra istanze diverse ma evidentemente non così dissimili. Con questo lavoro, in mostra alle Antiche Carceri di San Vito al Tagliamento dal 22 giugno al 1° settembre, Giulia Iacolutti si è aggiudicata il Premio Friuli Venezia Giulia alla migliore autrice regionale, indetto dal Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia di Spilimbergo (Pordenone) e giunto quest’anno alla trentatreesima edizione.
Il giardino del paradiso islamico esiste, e si trova in Messico
L’ultimo lavoro della fotografa Giulia Iacolutti racconta la coesistenza di religione islamica e tradizioni Maya in una piccola comunità del Chiapas.
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- Raffaele Vertaldi
- 17 giugno 2019
15 Maggio 2016. La moschea dei Musulmani Spagnoli, San Cristobal de las Casas, Chiapas, Mexico. Il gruppo di Musulmani Sufi Murabitun arrivati dalla Spagna comuniciò a costruire la moschea, attualmente ancora incompiuta, più o meno nel 2012. L’edificio ha un minareto alto 17 metri, visibile da più di tre chilometri di distanza. Da qui viene chiamato l’azhan adhan (preghiera) cinque volte al giorno. Non si sa ancora se l’accesso verrà concesso anche ai musulmani indigeni.
15 Maggio 2016. Moschea Ahmadi, Nuevas Esperazas, San Cristobal de las Casas, Chiapas, Mexico. L’ Ahmadiyya è un movimento islamico fondato nel Punjab (India Britannica) alla fine del XIX secolo, ispirato alla vita e agli insegnamenti Mirza Ghulam Ahmad (1835-1908). Il movimento si identifica come musulmano e segue le regole del Corano. È però cosniderato eretico dai musulmani ortodossi, perché non crede che sia Maometto il profeta mandato a guidare l’umanità.
14 Maggio 2016. Molinos de los Arcos, San Cristobal de las Casas, Chiapas, Mexico. Una sajjāda, il tappeto da preghiera usato dai musulmani, posto tra il suolo e il fedele per assicurare la pulizia duramte le varie pratiche delle preghiere islamiche. Yahya, l’Imam della moschea sunnita Alkawzar, ha comprato questi tappeti come regalo durante il suo pellegrinaggio alla Mecca
12 Settembre 2016. Molinos de los Arcos, San Cristobal de las Casas, Chiapas, Mexico. Salama Palamo Diaz è nata nel 2000; a March del 2016 ha dato alla luce la sua prima figlia, Asia. Nella foto indossa la tradizionale gonna tzotzil in lana e posa davanti a un campo di mais, alimento principale delle comunità indigena messicane
24 Novembre 2016. San Cristobal de las Casas, Chiapas, Mexico. Domingo López Ángel è il secondo indigeno convertito, e anche il leader del Consiglio Indigeno di Rappresentanza delle Highland del Chiapas (CRIACH).
14 Maggio 2016. San Cristobal de las casas, Chiapas, Mexico. Vitellini siamesi imbalsamati in una macelleria.