Può esserti capitato, attendendo l’imbarco a Schiphol, lo sconfinato nodo aeroportuale alle porte di Amsterdam, che ti cadesse lo sguardo sui grandi schermi digitali dove in prossimità dei gate si affastellano informazioni sui voli; e che il flusso di quelle informazioni venisse interrotto da una giostra di opere d’arte digitali che prendevano il sopravvento sullo schermo. Le immagini di biologie oceaniche di Entangled Others e Robert Thomas, o i paesaggi surreali di Libby Heaney dove la crisi climatica incontra la fisica dei quanti, per esempio. “For the next minute you’re not in an airport but in a Museum”, è la scritta che introduce le opere d’arte. Il museo in questione è nuovo anche per una città ad altissima concentrazione di spazi espositivi come Amsterdam: il Nxt Museum, il primo dei Paesi Bassi dedicato ai new media, aperto nel 2020. Fino al giugno dell’anno prossimo ospita la prima, grande mostra dedicata alle pionieristiche opere del collettivo britannico Random International.
Intelligenze artificiali e umane, basse risoluzioni e boids: 20 anni di Random International ad Amsterdam
Il collettivo artistico esplora i temi più controversi della tecnologia, dalla sorveglianza alle Ai alla blockchain. Ora è protagonista di “Life in a Different Resolution”, una grande esposizione all’Nxt Museum, il primo museo olandese dedicato ai new media.
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- Alessandro Scarano
- 23 ottobre 2023
Life In Our Minds: Motherflock / III (2023) by Random International with sound by Masahiro Hiramoto – exhibited in ‘Life in a Different Resolution’ at Nxt Museum, The Netherlands. Photo Maarten Nauw
Life In Our Minds: Motherflock / III (2023) by Random International with sound by Masahiro Hiramoto – exhibited in ‘Life in a Different Resolution’ at Nxt Museum, The Netherlands. Photo Maarten Nauw
Life In Our Minds: Motherflock / III (2023) by Random International with sound by Masahiro Hiramoto – exhibited in ‘Life in a Different Resolution’ at Nxt Museum, The Netherlands. Photo Maarten Nauw
Aprire un museo nel pieno dell’anno in cui è scoppiato il Covid può sembrare una mossa azzardata. Ma un museo come l’Nxt è una storia un po’ diversa. Soprattutto se si considera l’esplosione dell’arte digitale durante la quarantena. Lo spiega a Domus la cofondatrice (con l'attuale managing director Merel van Helsdingen) e direttrice artistica Natasha Greenhalgh, in una mattina d’ottobre sorprendentemente calda, a un tavolino del Metro, l’elegante caffè-ristorante del museo, nel sobborgo molto cool di Amsterdam-Noord, dall’altro lato della città rispetto a Schiphol. Ricavato da un ex studio televisivo (“quale posto migliore per un museo di new media?”, sorride Greenhalgh) riconfigurato completamente da lei stessa, la direttrice artistica sottolinea l’urgenza di un luogo come l’Nxt Museum. Ovvero di uno spazio espositivo fisico dedicato ai new media, dove prendono luogo narrazioni artistiche che riflettono su metaversi e Nft, blockchain e intelligenze artificiali, crisi climatica e altri temi urgenti, offrendo uno spazio per esplorare tutto questo anche attraverso esperienze di danza, performance e installazione, come in occasione della partecipazione di Nxt Museum all’Amsterdam Dance Event. Greenhalgh estrae lo smartphone per mostrare i video dove musica, visual, corpi in movimento di artisti e pubblico si avviluppano in una coreografia spontanea. Già, il corpo. Del resto, che senso avrebbe un museo senza i corpi che lo attraversano?
Ha inaugurato simbolicamente anche la monografica di Random International una performance danzante, quella di Sedrig Verwoert nella grande installazione che ricorda una gabbia di luci interattiva Living Room; e insieme, sembra una danza quella di Greenhalgh, quando accompagnandomi in visita alla mostra attiva i movimenti dello sciame di oggetti digitali di Life in Our Minds: Motherflock III, un’opera ispirata ai boids, le schegge virtuali che si comportano come uccelli create a metà anni Ottanta dal maestro della CGI Craig Reynolds, poi riutilizzata in svariati contesti dai videogiochi ai film. Un affaccio all’intelligenza artificiale attraverso una forma di vita collettiva che nell’interpretazione di Random International reagisce alla presenza dei visitatori attraverso tre sensori che ne tracciano i movimenti. E si intreccia con la blockchain, perché ogni singolo boid ha una diversa identità.
“Venti anni fa opere come queste difficilmente sarebbero entrate in un museo”, spiega a Domus il curatore freelance di Nxt Bogomir Doringer, tracciando con una serrata conversazione tra email e vocali su whatsapp l’arco creativo del pionieristico collettivo artistico, tutto rivolto all’esplorazione dell’impatto della tecnologia sulla condizione umana. E con una fortissima influenza da parte della ricerca scientifica. Fondamentali sono state le cene nate sulla scia di un documento pdf elaborato dalla dramaturg di Random International, Heloise Reynolds, sul futuro dell’umanità. Cene che sono diventate vere e propri simposi, con il coinvolgimento di tanti ospiti esterni in quello che Bogomir definisce come “il rituale del mangiare”. Da lì sono scaturiti molti dei progetti in mostra. “Le cene erano un modo perché le idee potessero essere messe alla prova”, dice. E sono state anche la scintilla dei progetti ora in mostra all’Nxt Museum.
La mostra è composta da 6 grandi installazioni separate da quelle che Doringer definisce “stanze di transizione”, wunderkammer dove trovano spazio le idee che arrivano dritte da quelle cene, spiegate nelle belle tavole informative digitali elaborate dal museo con chiara ispirazione al layout dei magazine. Sono anche luoghi di decompressione, queste stanze, dove il visitatore può ricentrare la propria presenza nel circuito sottilmente paranoico installato da Random International. La prima opera, Presence and erasure, si presenta come una innocua stampa di volti su un grande pannello. Presto il visitatore si accorgerà che i volti sono quelli di chi è appena entrato nella stanza.
“È affascinante quando poco usano per raccontare qualcosa di così complesso”, sottolinea Doringer, analizzando il linguaggio di Random International. “Life in a Different Resolution” non a caso è il titolo di questa esposizione che si dipana tra storie “raccontate con informazioni visuali ridotte”. Questo non vuole dire che si tratti di opere semplici per tecnica, tecnologia e concezione. Ci sono voluti anni per formalizzarle e installare la mostra ha preso ben 3 settimane di lavori senza sosta. Ma il risultato è quello del minimale e della semplicità, come simbolizza per esempio l’opera che chiude il percorso, Fifteen Points/ii. Un robot scorre su due binari ricostruendo una figura umana creata da 15 punti luminosi, che bastano a descriverne il carattere, lo stato d’animo, il genere. Frutto di una residenza ad Harvard, l’opera ci informa su quanto poco al cervello umano per leggere una identità partendo da dati minimi. Può essere paurosa o affascinante. Qualcuno magari non ci vedrà neanche un essere umano. Del resto siamo umani, non macchine.
Intelligenza artificiale, sorveglianza, decentralizzazione sono alcuni dei temi messi in campo da Random International nel loro percorso lungo più di quindici anni. “Avere queste opere l’una vicina all’altra e questa idea di uno spazio delle menti possibili, significa vedere come possiamo partecipare o decidere il futuro di questa tecnologia”, riassume Doringer. Il tema della vita e di cosa possiamo definire come vivente, o intelligente, è il sottotetto di tutta l’esposizione. Il percorso della mostra apre alla prospettiva un futuro in cui più intelligenze si troveranno insieme. L’umana e l’artificiale, per iniziare. Ma ci sono anche altre che potrebbero entrare in gioco: quella extraterrestre, quella delle biomacchine. Con l’ovvio interrogativo che accompagnerà il visitatore anche fuori dall’esposizione: cosa succederà quando tutte queste intelligenze si troveranno a coesistere?
Immagine di apertura: Life In Our Minds: Motherflock / III (2023) by Random International with sound by Masahiro Hiramoto – exhibited in ‘Life in a Different Resolution’ at Nxt Museum, The Netherlands. Photo Maarten Nauw